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 2016  febbraio 20 Sabato calendario

È giusto e sensato attaccare la politica dell’Unione europea, come fa con crescente energia il presidente Matteo Renzi? Nel merito sì e anche nella forma, se non fosse che l’Italia ha un pericolosissimo punto debole, una sorta di peccato capitale che la rende vulnerabilissima: il suo enorme debito pubblico, che continua a crescere

È giusto e sensato attaccare la politica dell’Unione europea, come fa con crescente energia il presidente Matteo Renzi? Nel merito sì e anche nella forma, se non fosse che l’Italia ha un pericolosissimo punto debole, una sorta di peccato capitale che la rende vulnerabilissima: il suo enorme debito pubblico, che continua a crescere. Negli ultimi giorni, dopo alcuni presunti scoop su presunti viaggi a Berlino degli ex presidenti del Consiglio Romano Prodi, Mario Monti ed Enrico Letta per preparare un ricambio di governo in Italia, si è verificata coram populo una scenetta che ha eccitato molto la penna e il microfono di vari commentatori. Lo scoop sul pellegrinaggio di ex capi di governo a Berlino è stato fatto da un giornale un tempo assai credibile per l’indipendenza che poteva garantire il suo fondatore. Oggi quell’autonomia e indipendenza sono meno certe, ma a far apparire credibili gli incontri con la cancelliera Angela Merkel è stato il ricordo di quel viaggio, questo certo, che il professore e senatore a vita Monti fece proprio a Berlino un mesetto prima della caduta del governo Berlusconi, della sua nomina a vita in Senato e del suo incarico da parte del presidente della Repubblica di allora, Giorgio Napolitano. E un ulteriore livello di credibilità è stato aggiunto proprio dalla scenetta coram populo o meglio coram senato. Con dovizia di sfumature è stato descritto che quando, mercoledì 17, il presidente Renzi si è presentato in Senato per dibattere proprio sui rapporti con l’Unione europea e il suo azionista di maggioranza, la Germania, sugli scranni dei senatori a vita sedeva proprio Monti, ben attento alle parole del più giovane presidente del Consiglio della storia repubblicana. E quando Renzi aveva da poco iniziato la sua filippica contro Bruxelles e Berlino, chi è andato a sedersi accanto a Monti se non il senatore a vita Napolitano, padrino costituzionale sia di Monti che di Renzi quando era presidente della Repubblica? Le minuziose cronache della scenetta indicano che quando il presidente Renzi ha finito di parlare, i due ex presidenti e senatori a vita sono rimasti con le braccia conserte, appoggiate sui banchi invece di applaudire. Deduzione ovvia: il più presidenzialista dei presidenti della Repubblica e il meno amato dagli italiani dei più recenti presidenti del Consiglio non concordano e non gradiscono la linea aggressiva (o schietta?) del terzo presidente del Consiglio fiorentino da quando esiste la Repubblica. Caro Renzi, sembrano aver detto con quelle braccia conserte, non conosci le regole della politica internazionale: sei un ragazzino (quarantenne!) che in maniera sconsiderata tratta con dure parole istituzioni e personaggi che costituiscono nientemeno che l’altissima casta del quasi fallito progetto di un’Europa unita. Dire che l’Italia porrà il veto sul progetto scellerato sostenuto dal ministro dell’Economia tedesco, Wolfgang Schaeuble, di porre un limite al possesso di titoli di Stato da parte delle banche dei Paesi del Sud Europa, è forse un segno di mancanza di buone maniere politiche e di senso delle istituzioni? Ridicolo. È realtà che la gestione dell’Europa da parte dell’attuale e della precedente Commissione Ue e del maggiore azionista, la Germania, non solo attraverso Schaeuble, stia portando molti Paesi europei, non solo la Grecia, a una crisi interminabile. Certo, in vari casi, compreso quello dell’Italia, i governi degli stessi Paesi hanno dato un significativo contributo al prolungamento della crisi esplosa con il fallimento della banca americana Lehman brothers. Ma ciò non toglie che mentre gli Stati Uniti, rei di aver generato la crisi, hanno attuato provvedimenti con cui sono usciti da almeno due anni dalla recessione, con ripresa consistente e una riduzione della disoccupazione ai livelli più bassi mai visti, l’Europa è stata condannata alla recessione e alla deflazione dal rigorismo tedesco, dietro il quale si nasconde un intollerabile egoismo. Le iniquità in Europa sono molte: dal macroscopico disimpegno degli Stati più ricchi nei confronti degli oneri economici e organizzativi della gestione dei prepotenti flussi di migrazione a tutto danno dell’Italia e della Grecia alla meno evidente ma ancora più grave discriminazione di trattamento dei differenti sistemi bancari, alla tolleranza in Paesi centrali come il Belgio di normative fiscali che hanno accentrato nel Paese che ospita il governo europeo larga parte delle multinazionali (solo ora il Belgio è stato sanzionato), alla dominante e prevalente assegnazione dei posti della struttura burocratica della Ue unicamente a tedeschi, francesi, olandesi, finlandesi e via dicendo, cioè di esponenti dell’azionista di maggioranza e dei suoi cortigiani. Si dirà, specialmente per il tema dei super burocrati che poi determinano in buona misura le scelte di politica comunitaria: colpa dell’Italia, che pur essendo il terzo (e quasi secondo) Paese europeo per dimensione economica, oltre che da sempre il più convinto dell’idea dell’Europa unita, non ha mai ben gestito l’invio a Bruxelles di uomini preparati e autorevoli. Anche Renzi, che pure in un discorso schietto nei saloni della Borsa di Milano aveva denunciato alcuni mesi fa la necessità di un piano di formazione triennale per recuperare spazio nella burocrazia europea, al momento della scelta di chi mandare a far parte del vertice, cioè della Commissione, ha commesso il grave errore di chiedere per l’Italia il posto di responsabile della politica estera, designando Federica Mogherini. L’errore non è stato tanto nella scelta della persona, quanto nel non chiedere di poter avere un posto di commissario nell’area economico-finanziaria. Quindi anche l’Italia e Renzi stesso devono recitare il mea culpa ma ciò non toglie che il potere prevalente di Germania e Francia ha consentito ai due Paesi nel passato lontano e recente di godere di deroghe sugli obblighi relativi al bilancio: la Germania quando con slancio Helmuth Kohl decise l’unificazione delle due Germanie consentendo alla parte ex comunista di avere la parità delle due monete, facendo salire di colpo il livello di disponibilità dei connazionali che per decenni avevano dovuto subire il regime comunista; la Francia anche di recente. Lo slogan di Renzi è diventato: flessibilità. Poiché l’Italia sta finalmente facendo le riforme, essa merita flessibilità di bilancio, unica via per avere più risorse da destinare allo sviluppo. Il fatto è che queste risorse comportano lo sforamento dei parametri, pur avendo l’Italia, fra i pochissimi Paesi europei, un saldo primario (cioè prima degli interessi passivi sul debito) positivo. E a forza di combattere su questo fronte Renzi e il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan hanno potuto far accettare a Bruxelles la legge di Stabilità per il 2016. Ma questa legge sta in piedi se viene centrato il target di crescita del Pil all’1,6%, assunto come riferimento per calcolare le entrate. Ora si dà il caso sfortunato che l’andamento della crescita sia rallentato nell’ultimo trimestre del 2015 e che quindi la velocità di avvio del 2016 non sia così sostenuta come sarebbe stato necessario. Ci potranno, cioè, essere entrate fiscali più basse, e a primavera Bruxelles potrebbe chiedere una manovra integrativa. E per far sentire il proprio potere, cercando così di mettere sotto scacco l’Italia, da Bruxelles ma soprattutto da Francoforte e Berlino sono arrivati richiami continui appunto a quello che rimane il vero, pesantissimo, punto debole dell’Italia. A ricordare che l’Italia ha il debito più alto di tutta Europa e uno dei più alti del mondo sono stati, quasi fosse una gara, prima Schaeuble, poi gli uomini della Bundesbank ma anche il commissario all’Economia, il francese Serge Moscovici, in maniera meno netta il presidente della Commissione, Jean-Claude Juncker. Sommando questi richiami alle minacce di ridurre la possibilità delle banche di avere più di un tot di titoli di Stato in portafoglio e negando la possibilità di usare il fondo interbancario di garanzia (privato perché creato con soldi delle banche italiane) per salvare quattro istituti di credito che rappresentano meno dell’1% del sistema, è stata scatenata una tempesta perfetta sull’Italia, con il crollo dei corsi dei titoli bancari e appunto con l’obiettivo di far apparire Renzi paradossale, impreparato, arrogante quando critica la politica europea in atto. Se si aggiunge che Renzi certo non si è fatto amici neppure nella burocrazia nazionale, sia per le sue centrate dichiarazioni sulla necessità di ridurre lo strapotere dei consiglieri di Stato e della Corte dei conti nei ministeri, sia per la volontà di togliere arcaici privilegi ai dipendenti dello Stato, si capisce come effettivamente, più o meno concertata, si stia delineando una manovra che vorrebbe preparare un cambio di governo. E l’atteggiamento di Monti e Napolitano sembrerebbe far parte di questo disegno, quasi che Renzi sia un ragazzino discolo a cui tagliare le unghie. In realtà le prese di posizione verso l’Europa da parte del giovane presidente del Consiglio sono più che giustificate, a prescindere dai modi in cui spesso le espone. Certamente, e gliene ha dato atto anche Lamberto Dini, secondo presidente del Consiglio fiorentino prima di lui e critico su altri comportamenti governativi, Renzi ha coraggio da vendere e una voglia instancabile di fare, girando mezzo mondo per promuovere l’Italia. Ma è vero che ha forse troppo esasperato il suo comprensibile obiettivo di avere a fianco solo persone di cui sa di potersi completamente fidare. Ma questa scelta assoluta, che ha fatto nascere l’immagine del cerchio magico contraddistinto dal giglio fiorentino, gli ha impedito, assieme all’idea di tenere lontani tutti quelli che hanno più di 50 anni, di poter contare anche su uno staff di consiglieri e aiutanti con esperienza e sapienza collaudate. Su questo fronte, la prova più difficile deve ancora superarla. Infatti non ha potuto ancora far arrivare a palazzo Chigi Marco Carrai, il suo amico sicuramente più dotato, più preparato e con relazioni in tutto il mondo. Carrai è un imprenditore di successo e al momento della costituzione del governo aveva con garbo ma con fermezza rifiutato di entrare a farne parte. Non voleva abbandonare le numerose iniziative di successo che ha intrapreso ancora trentenne fra Italia, Stati Uniti e Israele, soprattutto nel campo dell’informatica e del digitale, dove anche personalmente è un vero maghetto. Aumentando le difficoltà, Renzi ha riproposto a Carrai di trasferirsi a palazzo Chigi, offrendogli un ruolo, responsabile della cybersecurity, un’attività diventata fondamentale per tutti i governi grazie all’evoluzione della scienza del Big Data, cioè l’elaborazione di miliardi di dati secondo una precisa logica di algoritmi che consentono di fare previsioni fondate e di verificare prima di attuarle scelte importanti, oltre agli aspetti relativi di intelligence. Per un ruolo del genere Carrai si è reso disponibile, sapendo di poter dare un forte contributo di conoscenza e previsione al governo. C’è stata, però, una fuga di notizie e il procedimento di nomina (all’interno del Dis, il dipartimento di sicurezza) si è bloccato. Infatti Carrai non è disponibile a un ruolo di mera consulenza, sapendo bene che per il compito deve avere potere operativo. È facile immaginare la reazione che l’apparato tradizionale può aver avuto, anche perché, a sentire voci interne al Dis, Renzi voleva contemporaneamente cambiare alcune decine di agenti dell’intelligence. Una mossa, ancora una volta coraggiosa ma pericolosissima, come ha cercato di fargli sapere anche l’ex presidente Dini. Per questo i rischi di complotti aumentano, ed è un vero peccato che Carrai non sia potuto ancora arrivare a palazzo Chigi, perché l’imprenditore di Greve in Chianti è uno dei più convinti assertori della necessità indilazionabile di compiere quell’atto che da solo può dare a Renzi la forza di essere vero leader anche in Europa e di potersene infischiare delle critiche e degli attacchi di inadeguatezza al ruolo perché privo del senso delle istituzioni europee. Carrai, infatti, come ha avuto modo anche di scrivere alcuni mesi fa su MF-Milano Finanza, è per attuare un taglio netto del debito pubblico facendo rientrare almeno 250-300 miliardi di immobili devoluti dallo Stato agli enti locali, che concorrono a formare il debito pubblico calcolato da Eurostat per almeno 400 miliardi di euro. Questi immobili, assieme a piccole partecipazioni che garantiscono dividendi e quindi liquidità, andrebbero immessi in un fondo o in una holding per scambiare quote o azioni con titoli di Stato in possesso di cittadini. È più o meno la ricetta sostenuta dai media di Class Editori attraverso l’associazione spontanea L’Italia c’è. Con un taglio così netto nessun governante, nessun burocrate, nessun capo di Stato o di governo europeo potrebbe più permettersi di celiare su Renzi e sull’Italia. E soprattutto verrebbe scongiurato ogni pericolo che al grido «Il debito italiano è insostenibile» nessun speculatore, neppure il più violento e il più protetto, potrebbe scatenarsi contro i titoli di Stato italiani. Contemporaneamente, con minor debito scenderebbe anche il costo di gestione dello stesso e quindi si libererebbero risorse per investimenti e quindi per atti utili a uno sviluppo reale e robusto. Carrai è forse l’unico che può sostenere Renzi in una tale scelta che gli economisti conformisti scoraggiano per amore delle varie tecniche di previsioni (il loro incipit preferito è: «Assumiamo che...») che mai si avverano, mentre siamo vicini a un decennio di crisi quasi ininterrotta se si eccettua il decimale di crescita del 2015. P.S. Se qualcuno avesse ancora dubbi su quanto ha scritto questo giornale a proposito della volontà della Germania e della sua cancelliera Merkel di recuperare il potere sul sistema bancario attraverso il controllo assoluto della Vigilanza unificata, si legga l’ordine del giorno approvato poche ore fa dal Bundestag, il Parlamento tedesco: la Vigilanza unificata va totalmente separata dalla Bce, visto che Mario Draghi, sia pure controllando solo la politica monetaria, va avanti sul suo disegno americano, l’unico che possa far sperare in un rilancio effettivo dell’economia del continente, non solo di pochi Stati. (riproduzione riservata) Paolo Panerai