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 2016  febbraio 19 Venerdì calendario

SPOON RIVIERA CANZONI, STORIE E MUSICISTI DIMENTICATI


In 66 edizioni, dal 1951 a oggi, sul palco dell’Ariston abbiamo visto Nunzio Filogamo e Carlo Conti, Riccardo Fogli e Il Volo, ma pure creature dalle lenti artificiali azzurre, melodramatic bimbos e artisti in copricapo saudita che cantano il dio dell’Islam. Per ricostruire questa spoon river sanremese di canzoni, storie e musicisti dispersi, abbiamo dato mandato a sei druidi della Sanremo Appreciation Society, detta S.A.S, gruppo chiuso su Facebook, setta religiosa, club delle vacanze e squadra di ballo, che da anni forma una sala stampa parallela a quella di Luzzato Fegiz e Marinella Venegoni. Ecco le storie dimenticate che ci hanno inviato. (Fanno eccezione Jovanotti e Camerini, ma non è detto che di loro sappiate già tutto). Buona lettura.


Le figlie del vento
Vegan pop
Anno 1973. La canzone demenziale incontra il Festival di Sanremo. La portano sul palco Le figlie del vento, un quartetto formato da Ledi, Rosa, Tonia e Piera (lombarda la prima, pugliesi le altre). Il brano si intitola Sugli sugli bane bane. È un nonsense che mischia ritmi afro-beat, ritornelli in tempo di valzer, break rallentati alla Beck Hansen. Ma quello che c’interessa è la sfilza di primati ascrivibili alle Figlie del vento. 1) Incarnano la prima girl band moderna creata a tavolino – le Spice Girls firmeranno il loro primo contratto discografico solo 22 anni dopo. Conosciutesi al Festival di Castrocaro nel 1972, in meno di un anno siglano un accordo con l’etichetta CAR Jukebox, gareggiano sul palco del casinò di Sanremo, pubblicano 4 EP nel solo 1973, esordiscono con distribuzione internazionale (in Sud America diventerà celebre Dulce dulce bana bana), dispongono di una rosa d’autori prestigiosa: Paolo Tomelleri (Jannacci, Tenco, Gaber, Cochi e Renato) e Roberto Vecchioni. 2) Le figlie del vento hanno come musa la verdura. Sugli sugli bane bane (tu miscugli le banane / le miscugli in salsa verde / chi le mangia nulla perde) e I carciofi son maturi se li mangi poco duri (i finocchi delicati puoi trovarli surgelati / le ciliegie nel paniere quasi sempre sono nere) recitano due dei loro brani più celebri. 11 anni prima della conversione vegan di Moby. 28 anni prima del saggio sul vegetarianesimo Se niente importa. Perché mangiamo gli animali? di Safran Foer. 3) Vogliamo Cikati Cikà / ha lasciato la pantofola sul treno / fa l’ignaro l’ostricaro di Sanremo (Cikati Cikà). Basta questo stralcio di testo per testimoniare che sono proprio Le figlie del vento a sdoganare il pop demenziale al festival. Elio e le storie tese (1996), Francesco Salvi (1989), Marco Carena (1991), rincorrono. 4) Nel 1975 viene pubblicato E che c’entriamo noi con i guai del mondo, il secondo album. La sesta canzone del disco s’intitola L’onorevole Dudù. Il 16 dicembre 2012 nascerà il barboncino di Palazzo Grazioli.
Alberto Motta



Franco Fanigliulo
W Las Spezia
In una strofa di A me mi piace vivere alla grande, la canzone che presentò a Sanremo nel 1979, Franco Fanigliulo cantava “ho un nano nel cervello, un ictus cerebrale”. E fu proprio un dannato ictus quello che dieci anni dopo lo portò via, a soli 45 anni. L’aria un po’ profetica Franco ce l’aveva sempre avuta: un’aria buffa e sensibile, al tempo stesso ironica e maliconica, da fricchettone stralunato, sembrava appena uscito da Ecce Bombo.
La sua canzone, che sembrava una filastrocca ma in realtà evocava vari tipi di malessere, cadde immediatamente tra le grinfie della censura: citava foglie di cocaina, che vennero sostituite con più tranquillizzanti bagni di candeggina, inserendo nonsense in un punto del testo che forse un senso ce l’aveva. Franco viveva davvero come gli piaceva a lui: aveva girato il mondo come marinaio, e poi era andato a vivere in campagna, dove allevava cavalli, oche, conigli e galline. Intanto, suonava la chitarra e componeva canzoni. Personaggio difficile da inquadrare, dallo stile un po’ francese, sospeso tra la musica leggera, il cantautorato e il cabaret, con i suoi pochi album ha sempre riscosso grande successo di critica. L’ultimo stava per essere prodotto dal suo amico Vasco Rossi, ma non c’è stato tempo. A 23 anni dalla scomparsa, la sua città natale, La Spezia, gli ha dedicato una via.
Simonetta Roncaglia

Timi Yuro
Rocchetta ti ama
Vissuta a lungo a Los Angeles dove i genitori gestivano un ristorante italiano (At Volturno’s) molto amato da Elvis Presley, Rosa Maria Aurro, in arte Timi, inizia a cantare da molto giovane e si perfeziona con la stessa insegnante di canto di Liz Taylor e di molti altri grandi attori di Hollywood. Dopo qualche anno trascorso a cantare nel ristorante dei genitori, firma con la Liberty Records di Al Bennett esprimendo il desiderio di cantare un po’ di rhythm’ n’blues. Incide così Hurt di Roy Hamilton che venderà un milione di copie e che anni dopo diventerà, nel suo adattamento italiano, A chi, la canzone che porterà al successo Fausto Leali. I suoi pezzi verranno prodotti, tra gli altri, da Clyde Otis e da Phil Spector. Nel 1965 partecipa a Sanremo per la prima volta, si presenta al festival con la madre e non vince (quell’anno il vincitore sarà Bobby Solo con Se piangi, se ridi). Ci tornerà altre due volte, l’ultima, nel 1968, cantando Le solite cose di Pino Donaggio, già allora compositore di colonne sonore note anche oltreoceano. Tra abbandoni e ritorni alla Liberty Records, Elvis che incide una versione struggente di Hurt e i Manhattans che ne fanno una loro versione disco, Timi Yuro abbandona lentamente il mondo della musica, si sposa e si trasferisce a Las Vegas dove morirà per una forma grave di cancro alla gola. A Timi Yuro è dedicato un festival estivo a Rocchetta a Volturno, il paese del Molise di cui la cantante di Chicago era originaria.
Giulia Cavaliere

Sterling Saint-Jaques
Un giorno questo dollaro sarà tuo
La storia di Sterling Saint-Jaques è quella multiforme di un moderno Proteo. A partire dalla sua partecipazione al festival nel 1981 con il brano Tutto è blu (Blue), la sua vita è un intreccio di notizie contrastanti. Non verificabili. La canzone, ad esempio, richiama l’attenzione sugli occhi di ghiaccio del cantante, ma si scoprirà che il colore è dato dalle lenti a contatto. Nato Sterling Colter a Salt Lake City, è ripetutamente accreditato come figlio – adottato ma non riconosciuto – dell’attore americano di b-movie James Arthur Johnson (è il predicatore nel film di John Carpenter Essi vivono). Arthur Johnson smentisce però le origini statunitensi del figlio, affermando di aver conosciuto Sterling in Brasile. O in Giamaica? L’adozione, a sua volta, sarebbe solo una copertura per la storia d’amore tra i due. Sterling, intanto, è attore, modello per Givenchy e ballerino dello Studio 54 (almeno dal 1975). Dalla fine degli anni Settanta è in Europa, in cerca di successo. In Italia e Germania registra della prescindibile italodisco, nel 1979 si esibisce allo stadio Marassi di Genova. Nel 1990 Arthur Johnson muore per AIDS. Lascia in eredità a Sterling un dollaro. L’erede è deceduto però prima del testatore. Nel 1984, pare, anche lui per AIDS. Nessun atto di nascita o di morte certifica l’esistenza del cantante dagli occhi di ghiaccio.
Alberto Motta

Giulio Libano
Addio re Faruk
Giulio Libano nasce a Vercelli nel 1923. Studia tromba e arrangiamento al Conservatorio di Milano. Chiamato alle armi, nel 1943 parte per la Sardegna, da cui tornerà come membro degli Asternovas del suo commilitone Fred Buscagliene. Nel 1947 entra a far parte dell’orchestra di G.B. Martelli e salpa verso la Turchia, dove lavora a Smirne, Istanbul e Büyükada. Nel 1950 si sposta in Egitto e vedrà, dal palco dell’Hotel Semiramis, Il Cairo bruciare per il colpo di Stato contro re Faruk. Da lì, insieme alla moglie Caterina (del trio Capinere) tra il 1953 e il 1955 si stabilisce a Beirut.
Di nuovo a Milano, dal 1956 Giulio si afferma nella scena jazz suonando con Cerri e Intra in locali come la Taverna messicana. Da arrangiatore, firma le Milano Session di Chet Baker nel 1959; contemporaneamente, da A&R per diverse etichette italiane, sarà lui a provinare e mettere sotto contratto Baby Gate, meglio conosciuta come Mina, Adriano Celentano, di cui curerà il disco d’esordio, Adriano Celentano con Giulio Libano e la sua orchestra, Tony Dallara e Fausto Leali. Nume tutelare degli Urlatori, nel 1961 la sua Mare di Dicembre è in gara al Festival, e, negli anni successivi, ne dirigerà più volte l’orchestra. Nel 1969 vince il Leone d’oro per le musiche di uno spot Brionvega; successivamente firma come Ray French le sue collaborazioni internazionali e viaggia in USA, Canada e Sud America. Nei decenni 80 e 90 lavora in teatro con Walter Chiari ed Ernesto Calindri. Dagli anni Zero cura le orchestrazioni per Paolo Fresu.
Guia Cortassa

PJ Proby
The melodramatic bimbo
James Marcus Smith nasce a Houston (Texas) nel 1938. Inizia giovanissimo a frequentare Elvis Presley, all’epoca flirt della sorella. Dopo l’accademia militare si trasferisce a Los Angeles per tentare la carriera di attore e cantante con il nome Jett Powers. Nel 1962 si sposta a Londra e diventa P.J. Proby. Appare in TV in uno speciale sui Beatles di Brian Epstein e piazza diversi singoli nella Top 20 inglese, compresa una canzone scritta da Lennon e McCartney, poi da loro scartata. L’idillio britannico si incrina nel 1965, quando, durante due diversi concerti, i pantaloni gli si strappano. Dopo lo scandalo sulla stampa viene bannato dalla messa in onda su ABC e BBC e interdetto nei locali pubblici. A Sanremo canta nell’edizione vinta da Modugno e Gigliola Cinquetti, nel 1966, con Per questo voglio te. Testo di Mogol. Subito dopo torna negli USA, dove registra un album di ballate country-blues con i New Yardbirds (poi Led Zeppelin) come backing band. Negli anni Settanta si dedica al musical, mentre nel decennio successivo “the man of many voices” inizia a incidere cover “confidenziali” di brani pop, tra cui Heroes, Anarchy in the UK e Love Will Tear Us Apart. Dal 1992, dopo un infarto, torna sui palchi teatrali da protagonista, interpretando, tra gli altri, Elvis e Roy Orbison; nel 1997 è parte del tour mondiale di Quadrophenia con gli Who. Definito dalla stampa “melodramatic bimbo”, Damon Albarn pensa a lui scrivendo Country Sad Ballad Man, e Van Morrison incide, nel 2002, il brano What Happened to P.J. Proby?, diventato, l’anno scorso, un duetto.
Guia Cortassa

Daniel Sentacruz Ensemble
Allah è grande
Anno 1977, XXVII Festival di Sanremo. A più di tre anni di distanza dalle domeniche a piedi, dal crollo delle immatricolazioni auto, dalla crisi dei carburanti causata dall’embargo dell’OPEC, lo storytelling a tema petrolifero raggiunge il suo acme pop grazie alla blasfema Allah Allah dei Daniel Sentacruz Ensemble. La canzone è ingenua come il Serafino di Adriano Celentano (1969) e genuina come Il ragazzo di campagna di Pozzetto (1984). Citiamo: Allah Allah, la Lira se ne va / in tutto il mondo c’è sete di petrolio / rapine, furti a domicilio / ridacci oggi il pieno quotidiano. Erano del resto anni in cui le discoteche di paese si chiamavano La Mecca. Leggerezze su cui non soprassederebbero oggi i terroristi di fede islamica. I DSE, invece, sono tutt’altro che sprovveduti. Ciro Dammicco (piano e tastiere) fonderà nel 1984 Videomusic, la prima emittente musicale italiana. Dopo due anni, lui e il fratello Stefano (chitarra, chitarra/basso) fonderanno la celebre compagnia di produzione e distribuzione cinematografica Eagle Pictures. Cubeddu (voce), a Los Angeles coniugata Cubeddu Radi, è Marketing Promotion Officer dell’Agenzia per la promozione all’estero delle imprese italiane. Del 1977 fu la prima edizione del Festival trasmessa a colori.
Alberto Motta

Bertín Osborne
El conquistador
Bertín si è sempre dato da fare: figlio della piccola aristocrazia spagnola (è un discendente del conquistador Francisco Pizarro), studia dai Gesuiti, ma a 18 anni non ne può più, va via di casa e inizia a cantare nelle discoteche. È un ragazzone belloccio e gioviale, gran seduttore e raccontatore di barzellette: un conquistatore, per l’appunto. Per mantenersi fa vari lavori, poi finalmente nell’81 esce il suo primo disco, e nell’83 approda alla TV italiana presentando il programma Sotto le stelle. Nello stesso anno va a Sanremo con il pezzo Eterna malattia, che canta tenendo elegantemente il microfono come fosse un gelato. Si piazza all’ottavo posto e vince pure il premio della critica per la miglior voce maschile. In seguito si trasferisce a Miami, dove spera di diventare più famoso di Julio Iglesias, suo naturale antagonista, ma non ce la fa mai veramente: il suo più grande successo resta quello con le donne. Pare che ne abbia avute più di mille, finché nel 2006 sposa una modella venezuelana e diventa un marito perfetto. I due hanno un figlio (per lui è il quinto) che nasce con una grave lesione cerebrale. Bertín e la moglie creano una fondazione che si occupa di bambini con problemi simili e suggerisce terapie alternative. Intanto continua a fare mille cose: il cantante, il presentatore, l’attore, l’imprenditore nel settore alimentare e vinicolo. E un giorno erediterà il titolo nobiliare del padre, e sarà anche conte de Donadío de Casasola.
Simonetta Roncaglia


Luis Miguel
Cuore di mamma
Luismi arriva a Sanremo nel 1985: ha 14 anni e in Messico è già una star. Pare che il padre-manager, il chitarrista spagnolo Luisito Rey, gli faccia prendere cocaina da quando ha 11 anni, cioè dall’inizio della sua carriera, perché riesca a star dietro ai mille concerti che deve fare. L’Italia ovviamente non lo sa, e quello che vede sul palco dell’Ariston è un ragazzino superbravo, elegantissimo, che si muove sul palco come un uomo. Ma ha lo sguardo triste, e quando ogni tanto abbassa gli occhi sembra che stia per mettersi a piangere. Canta Noi, ragazzi di oggi e arriva secondo. Il successo è travolgente: diventa l’idolo delle quindicenni. La mamma è una modella italiana, di Carrara, che nel 1986 sparisce senza lasciare tracce. Parte dall’Italia, forse proprio per raggiungere il figlio in Messico, ma non arriva da nessuna parte. Le ipotesi sono molte, e tutte con un sottofondo torbido. Il padre e la zia Adua si rivolgono anche a Chi l’ha visto? e pare che Luismi abbia speso una fortuna in detective per rintracciarla, ma invano. Nei 30 anni successivi diventa il più famoso cantante dell’America Latina, vince di tutto (anche due dischi di platino negli Stati Uniti) e Frank Sinatra lo invita personalmente a duettare con lui. La sua musica non conosce frontiere, i suoi fan sono in tutto il mondo: sembra che, al momento della cattura, Saddam Hussein conservasse tra le sue cose l’album Segundo Romance.
Nel 2010 un abuso di droghe lo porta ad essere ricoverato in un centro di riabilitazione, sembra che muoia, ma ce la fa. Oggi Luis Miguel è ancora un idolo. È ricco, grassoccio, sempre troppo abbronzato, e ogni tanto finisce in qualche scandalo. Continua a non sembrare felice.
Simonetta Roncaglia

Danilo Amerio
Allam è grande
Astigiano, classe 1963, Danilo Amerio inizia la sua carriera di autore dalle vendite a sei cifre appena quattordicenne, componendo per Nicola di Bari e Morris Albert, con cui conquista un disco d’oro nel 1975. Nel 1983 collabora con Oscar Prudente alla versione italiana dello spot natalizio della Coca-Cola, “Vorrei cantare insieme a voi...”. Negli anni Ottanta, membro del team di Giancarlo Bigazzi, scrive per Umberto Tozzi e Raf brani come Cosa resterà degli anni Ottanta e Gente di Mare; firma nel 1990 Donna con te, pensata per Patty Pravo ma affidata poi ad Anna Oxa per incompatibilità di carattere. Nel 1992 debutta come interprete solista e nel giro di pochi anni trionfa al Cantagiro e a Sanremo, pur non ottenendo mai il primo posto. Con Mietta e I ragazzi di via Meda canta a Sanremo nel 1993. Nel 1994 è tra i produttori del successone sanremese Signor Tenente, di Giorgio Faletti, e proprio in quegli anni raggiunge il picco di popolarità, tanto da essere scelto come vittima dagli autori di Scherzi a Parte. La sua carriera vira poi verso l’impegno. Nel 2001 regala un suo brano a Telefono Azzurro, l’anno dopo presenta un pezzo per una fondazione per la distrofia muscolare. Poi una crisi, personale e spirituale, dovuta a un album difficile, nel 2003, lo porta lontano dalle scene, in viaggio tra Thailandia e Singapore, fino ad arrivare in Africa, dove si ferma in una comunità Masai. Al ritorno in Italia, nel 2011 scrive l’inno per il Movimento di Responsabilità Nazionale e, nel 2012, Io amo l’Italia per il movimento omonimo di Magdi Cristiano Allam.
Guia Cortassa

Sibilla
Con il cuore felice
Storia di una carriera andata in fumo per una distrazione evitabile. Sibilla nasce Sibyl Mostert in Zimbabwe. Il curriculum era breve: aveva partecipato alla colonna sonora di Keoma, western del maestro Enzo Castellari e, come attrice, all’ambiguo capolavoro di Fellini Prova d’orchestra. Nel 1983 arriva l’opportunità di esibirsi a Sanremo: l’esordiente è terrorizzata. Ci si mettono anche un errore tecnico con la base musicale preregistrata e la pessima acustica del palco a compromettere la performance. Sibilla è fuori al primo giro ed è un peccato perché la voce è interessante e la canzone, scritta da Franco Battiato insieme a Giusto Pio, notevole. Il ritornello è melodicamente memorabile quanto impronunciabile (Uru b’lev sameach, “svegliatevi con il cuore felice” preso in prestito dalla canzone ebraica Hava Nagila) e sarebbe stato bello sentirlo canticchiare nelle strade con parole inventate. Il resto del testo segue il rodato meccanismo in cui Battiato compone la soggettiva di un personaggio anonimo del passato a partire da brevi lampi di memoria: “Cartagine era bella in mezzo ai melograni”, “L’equilibrio di quel tè alla menta alla Medina” e “A quel tempo l’oppio ci costava meno di una birra”. La débâcle al festival accorciò i tempi per la cantante: dopo Oppio, un altro 45 con gli stessi autori – Plaisir d’amour – poi il silenzio o quasi. Nell’impossibilità di tornare indietro nel tempo e far partire la base giusta, ascoltatela su YouTube e canticchiate parole inventate.
Francesco Tenaglia

Armando Stula e Maria Sole
E un trio con Marisa?
Armando Stula è il Luigi Tenco che non riuscì a diventare Luigi Tenco, salvato da una Dalida, la sua compagna e partner in crime Maria Sole (AKA Mara Vittoria Solinas) che non fu mai vera Dalida. Nel 1967 Tenco si spara, ci dicono – ma ancora non ne siamo del tutto sicuri – a causa di una forma di male che possiamo denominare agilmente “depressione sanremese”, il dolore di non essere stati compresi da un pubblico poco avvezzo alle forme nuove, come quell’anno era quella della sua Ciao amore, ciao. Tenco non sopravvive e la sua epopea, infine nera, si incide eternamente nelle sfere celesti e maudit della canzone italiana. La depressione sanremese colpisce ancora nel 1970 quando Armando Stula presenta un proprio brano al festival, ma la commissione non gli concede di partecipare. Stula, disperato, tenta il suicidio senza successo, salvato in extremis dalla moglie Maria Sole che, a differenza di Dalida, scopre il corpo del suo uomo ancora in vita.
Stula e Maria Sole, entrambi attori e cantanti, attraversano gli anni 60 e 70 italiani stabilendosi con costanza negli antri più sconosciuti dello spettacolo: canzoni demenziali dai ritmi inquietanti, adattamenti di lovesong erotiche francesi, uno spettacolo sui giochi proibiti dei Marchesi Casati Stampa, ma pure copertine di 45 giri in cui i due suggeriscono, nudi, il ménage à trois con la sorella di lei, Marisa Solinas. A incipriare il naso alla potenziale fama c’è una manciata di straordinarie vicende personali che avvolge questa coppia: mentre lei cerca di levarsi di torno una figlia attraverso il disconoscimento legale, lui cerca di dimostrare che Che sarà di José Feliciano è il plagio di un suo brano. Accusata di atti osceni in luogo pubblico lei, lui non è mai da meno e prova a difendersi dall’accusa di furto di gioielli trovati a casa della madre dell’attore Lou Castel, finendo nuovamente in depressione.
Giulia Cavaliere

Oscar Prudente
Hippie, merendero e goleador
Mike Bongiorno spiega che bisogna fare un po’ di spazio sul palco, poiché “il complesso dei Delirium è molto numeroso”. Il gruppo, capitanato da un Ivano Fossati pre-barba, per l’esecuzione di Jesahel ha portato con sé una quindicina di persone che sembrano prese dal cast di Hair. È il 1972. Donne e uomini vestiti con camicie indiane, fasce nei capelli e magliette con scritto peace, si sistemano sul lato destro del palco. Quando inizia la canzone la loro funzione è chiara: scandiscono il tempo con le mani, accompagnando bongos e chitarre, e intervallano le parole di Fossati con un “oo-oo-oo” dal sapore spiritual. Cantano anche il ritornello: “Jeeesahel!” L’effetto è notevole e i Delirium con questo pezzo otterranno un buon successo commerciale. Poi Fossati lascerà la band, che prenderà una direzione prettamente prog-rock. Nel coro, oltre al riccissimo Mario Lavezzi dei Camaleonti, c’è soprattutto Oscar Prudente. Prudente è l’autore di Jesahel insieme a Fossati, e quest’ultimo sei anni dopo riscriverà per lui il testo di Pensiero stupendo. Prudente si firma anche Merendero, ed è lui ad arrangiare la musica di Vangeli della pubblicità Barilla anni 80. Inoltre il finto hippie dei Delirium scriverà un classico della TV italiana: Stadium, sigla della Domenica sportiva, quella che nell’immaginario collettivo canta “Viva viva il goleador”, anche se in realtà le voci del coro – improvvisato da tecnici rimediati nei corridoi RAI – sembrano ognuna dire una cosa diversa.
Federico Lai “Flai”

Maria Monti
Benzina e cerini
Nel 1960 Maria Monti è la fidanzata di Giorgio Gaber. Attrice, ha recitato nei primissimi cabaret milanesi e ha scritto canzoni destinate a lui. Non arrossire, ad esempio, è una sua grande idea. Personaggio chiave di una Milano in ascesa, quella del teatro-canzone, di Giorgio Strehler, della mala cantata dalla Vanoni e di Quella cosa in Lombardia di Franco Fortini, Maria Monti convince Gaber ad andare a Sanremo. La canzone con cui salgono sul palco è Benzina e cerini, scritta da Enzo Jannacci, Umberto Simonetta, Mariano Rapetti e dallo stesso Gaber: una canzoncina irresistibile, con una punta di amarezza, come già d’abitudine accade nelle canzoni firmate da Jannacci, ma anche un brano romantico nell’originario significato del termine, per via del macabro che si unisce alla dolcezza. Dopo questa prima volta, Gaber tornerà al festival altre tre volte mentre Maria Monti reciterà in uno spettacolo di Carmelo Bene, in Giù la testa di Sergio Leone e in Novecento di Bernardo Bertolucci. Si dedicherà al jazz e al minimalismo elettronico con l’album Bestiario e parteciperà all’opera rock Alice dei Perigeo, al fianco di Rino Gaetano.
Giulia Cavaliere

Growing Concern
Sanremo Punk HC
Quando un artista è in un tour promozionale non sempre si porta dietro la band. Così la casa discografica trova dei musicisti in loco. Gianni Pantaloni, batterista dei Growing Concern, storica band dell’Hardcore Punk italiano degli anni 90, è sempre stato della partita. Lo avevo già visto con Lene Marlin al Festivalbar. A Sanremo 2011 suona per Katy Perry, che è venuta a presentare la sua Hot’n’cold, nonostante un mal di gola preso a Las Vegas. Accendo la TV e trovo, oltre a lui, Andrew Mecoli – anch’egli dei Growing Concern – alla chitarra. Al basso c’è Sean Fabi, fratello americano di Niccolò in vacanza a Roma. All’altra chitarra Betani Mapunzo, stella delle notti romane e di alcuni episodi di The Pills. La band che sale sul palco con Katy Perry solo per quella sera riceve lo stesso trattamento che avrebbe ricevuto quella ufficiale: camerini, ristoranti, camere in hotel a Montecarlo. Immagino che abbiano dovuto fingersi americani per tutto il tempo, ma certamente chi li poteva riconoscere li ha riconosciuti. Tra questi il fonico di palco del festival, che suonava in un altro gruppo romano, i Dehumanize. Vedendo le due colonne dell’hardcore punk all’Ariston inizia a salutare ad alta voce. Gianni e Andrew gli rispondono: “Ao’ statte zitto, siamo americani”.
Federico Lai “Flai”

Jovanotti
Giù il cappello
Lorenzo Cherubini è stato l’antesignano dei fenomeni musicali nati in TV – abbiamo preso confidenza con il presentatore, prima che con l’artista, a Deejay Television – e veicolo attraverso il quale l’idea di rap si palesò al grande pubblico italiano. Vero: era di un paio di anni prima, la trovata di due olandesi che spopolarono anche da noi interpretando Holiday di Madonna in chiave hip-hop, ma fu Jovanotti il primo grande divulgatore dei fatti del South Bronx in terra patria. Fu scoperto dalla vecchia volpe Claudio Cecchetto e la musica mostrava chiaramente tic produttivi e furbizie riconducibili alla factory dell’inventore del Gioca jouer: il primo disco dell’88 ascoltato oggi è, sostanzialmente, il canto del cigno della italo-dance alla Sandy Marton, Tracy Spencer, Via Verdi e compagnia bella. A Sanremo, Jovanotti arriva nel 1989 con Vasco. Formalmente un tributo al rocker di Zocca, il brano è uno spot anti-droga impostato sull’algebra rock +rap di Run DMC e Aerosmith in Walk This Way: celebra quelli che “la notte ritornano alle tre”, ma che non “ci lasciano la testa” o, comunque, “non ci cascano”. Jovanotti invece cade davvero, inciampando tra i fiori adagiati sul palco: se ne frega, si rialza e sorride. Recupera il cappello Stetson da cowboy, riattacca con le mossettine pelviche alla Elvis e scherza con i chitarristi vestiti in stile metallaro pop. Più sole che luna, caciarone e innocuo, più realista del re.
Francesco Tenaglia

Alberto Camerini
Strano ma piace
L’arlecchino elettronico è stato l’apice della stagione synth-pop in Italia. Alberto Camerini aveva già una storia lunga: a vent’anni partecipa a Volo Magico N.1, un bel miraggio di Claudio Rocchi del 1971 e, di lì a poco, accompagna Ornella Vanoni, Equipe 84, Patty Pravo e altri big negli studi di registrazione e in tour. Bazzica il giro Re Nudo e incide tre album per la casa discografica underground Cramps Records. Nel 1980, si accende la proverbiale lampadina: perché non unire la new wave elettronica con la recente, grande passione per la commedia dell’Arte e per le sue maschere? Casacca multicolore e ciuffo scarmigliato, Alberto irrompe sulle copertine affamato di futuro quanto di fiabe. Nel vecchio cuore hippie s’irraggiano vene di plastica. Il bello di Camerini ce lo racconta, en passant, il testo del suo brano più noto Rock’n’Roll Robot: “c’è questo tipo strano / vedrai ti piacerà”. Le parole da evidenziare sono “strano” e “piacerà”: la classifica seguirà questa sua piccola, strana fissa, concedendogli un successo clamoroso. Il Camerini degli anni 80, come il corrispettivo tedesco Klaus Nomi, era figlio di David Bowie, ma contrariamente all’irraggiungibile punto di riferimento, non riuscì a cambiare pelle per cavalcare i tempi. Nel 1984, la notorietà è in fase calante e lui porta a Sanremo La bottega del caffè: questo bel brano omaggia la strana accoppiata Carlo Goldoni e Brasile, terra d’origine e antico amore musicale del nostro.
Francesco Tenaglia

Pandemonium
“Una cosa che va di moda”, Mike cit.
L’edizione del 1978 con Beppe Grillo, Vittorio Salvetti del Festivalbar, Maria Giovanna Elmi, Stefania Casini, e El Pasador a dirigere l’orchestra, è scoppiettante e piena di baffi. I Pandemonium salgono sul palco facendo un trenino e fanno il coro finale di Gianna di Rino Gaetano (“Dove vai-cosa fai-con chi ce l’hai”). I Pandemonium nascono come laboratorio artistico interno alla RCA, la stessa etichetta di Gaetano. Dario Farina, che lascia il gruppo prima del 1978, comporrà poi i più grandi successi dei Ricchi e Poveri e anche Felicità di Al Bano e Romina. Dei quattro che salgono sul palco il più riconoscibile è Gianni Mauro: ha i baffi e i capelli di un Frassica ante litteram, e un completo e cappello grigi che indossa anche nel 1979, quando i Pandemonium portano a Sanremo Tu fai schifo sempre. In quel caso si presentano in tantissimi sul palco e Mike Bongiorno dirà che è una cosa che va di moda. I Pandemonium lavorano con Rascel, Proietti, Gabriella Ferri, Pippo Franco, e sono attivi ancora oggi. Negli anni 80 sono in tanti programmi RAI e ospiti fissi al Gino Bramieri Show. Dall’incontro con Detto Mariano nascono le sigle di Astroganga e Mazinga Z. Venivano sempre annunciati come il momento davvero comico del programma. Purtroppo i Pandemonium, forse indecisi sulla direzione da assegnare al loro teatro-canzone, non facevano ridere.
Federico Lai “Flai”