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 2016  febbraio 19 Venerdì calendario

LE MIE AUTO, UN’OPERA D’ARTE

L’uomo che sognava di dare forma al vento ha due ossessioni: Leonardo da Vinci e il Tempo. Ma visto che lo scorrere del tempo era anche per lo scienziato rinascimentale il nemico più incalzante, una sola resta ispirazione, guida, e segno del genio adottato a filosofia di vita e di lavoro. «Leonardo è vivo, ed è qui con noi», scandisce Horacio Pagani, fondatore e chief designer di Pagani Automobili, auto preziose come gioielli rari e uniche come pezzi d’arte, dai nomi immaginifici: Zonda, il vento che spira sulla Pampa; Huayra, il dio che comanda le tempeste che investono le Ande.
«Leonardo è per me l’inizio di tutto: l’arte che si allea con la scienza, l’umanesimo che si salda con la tecnologia», dice nel suo quartier generale a San Cesario sul Panaro, nel cuore modenese del lusso automobilistico. «Alle parole di Leonardo torno di continuo», ribadisce, tirando giù dagli scaffali libroni in spagnolo, effettivamente consunti come breviari: «Oggi realizzo i sogni di bambino, dopo aver scoperto lui». Macchine. Vendute da un minimo di un milione di euro all’infinito. Abiti su misura per i più facoltosi clienti del pianeta. Capricci da super ricchi, che scandiscono la "grande frattura" descritta da Joseph Stiglitz: la smisurata disuguaglianza tra l’uno per cento della popolazione mondiale e tutti gli altri. Emiri del petrolio e plutocrati della Silicon Valley, rampanti cinesi ed esteti giapponesi, la lista dei miliardari di Forbes in carne e ossa arrivano puntualmente qui, smaniosi di trasferire su una di queste auto la loro storia.
Quella di Pagani è la più sorprendente di tutte: origini umili, l’obiettivo di costruire la vettura più bella, l’incontro con un pilota mito come Juan Manuel Fangio. La tenacia, come lezione per chiunque abbia un sogno controcorrente.
«Sono nato in Argentina, a Casilda, paesino vicino a Rosario, 60 anni fa. Mio padre, Mario, è un fornaio: ha cominciato a fare il pane a 12 anni. E tutti i giorni lo consegnava, casa per casa, con la sua bicicletta. Ancora oggi, a 87 anni, lavora: il rigore l’ho appreso da lui. Le mie origini sono in Italia: mio nonno era emigrato da Appiano Gentile, a pochi chilometri da Como. Mia madre, anche lei di origini italiane, era una pittrice: le devo il gusto del bello e il piacere dell’arte. Mi guardava disegnare auto forsennatamente, mentre le ripetevo: «Io prima o poi andrò a Modena e costruirò la macchina più bella del mondo». Modena, la terra promessa. Il miraggio di quei brand - Maserati, Lamborghini, Ferrari - che evocano successo ed eleganza.
«Sono cresciuto nella semplicità di un Paese in quegli anni felice. Il mio passatempo era costruire modellini d’auto, con qualunque materiale: una scatola di Nesquik, un pezzo di legno». Il suo preferito era quello di balsa, il più leggero possibile, presagio di quella leggerezza che sarebbe stato tratto distintivo delle auto Pagani. «Ero curioso e riflessivo. Mi piacevano la musica, la poesia, ma ero anche interessato alle materie scientifiche. Non sapevo che studi prediligere. Finché non ho incontrato Leonardo», dice, con quell’intimità degli appassionati - dalla regina Elisabetta a Bill Gates, che per il Codice Leicester spese 31 milioni di dollari - che trattano il genio come un contemporaneo. «Mio padre leggeva "Selezione del Reader’s Digest". Non dimenticherò mai un servizio su Leonardo: la genialità, la curiosità, la passione, lo spirito dei tempi. Fu una folgorazione: capii che non dovevo necessariamente scegliere tra l’ingegneria meccanica o le Belle arti, ma che potevo conciliare il bello con l’utile, la forma con la funzionalità più innovativa».
All’insegna dell’intellettualità manuale, Pagani costruisce minimoto, con pezzi recuperati qua e là. Studia Industrial Design. A 22 anni costruisce l’auto da corsa Pagani Formula 2 Nazionale. Ed è lì l’incontro decisivo con l’idolo degli argentini, quel Manuel Fangio cinque volte campione di Formula 1, e poi al top del management di Mercedes. È lui, un altro figlio di emigranti italiani, a riconoscere nel giovane il talento («Ti guardava e ti proiettava nel futuro»). È lui a raccomandarlo alla Ferrari e alla Lamborghini. E quando in Lamborghini cambiano idea, rispetto all’iniziale offerta di un lavoro, Pagani non si abbatte: convince la giovane moglie Cristina a partire lo stesso per l’Italia. «Facciamo il viaggio all’incontrario dei nostri nonni: due valigie, due biciclette, una tenda. È stato un periodo durissimo: lavoravo in un vivaio, facevo il saldatore, vivevamo in un campeggio. Poi abbiamo trovato casa a Sant’Agata Bolognese: per qualche anno abbiamo vissuto lì, in 40 metri quadrati, due figli piccoli e i sogni intatti». La bicicletta è nel suo ufficio, tra i dipinti della madre e le foto d’infanzia, la biografia ottocentesca di Leonardo di Jean Paul Richter, il modellino di un Aquarama Riva, Stradivari delle barche. «Sono entrato in Lamborghini come operaio metalmeccanico di terzo livello». In breve, la scalata: lavora con i team che progettano la Diablo, la P140, la L30. Si getta nella grande scommessa: la ricerca sui materiali compositi, leggeri e resistenti. Impiega i soldi che non ha in un’autoclave per lavorarli. «Studiavo, sperimentavo, non mi fermavo mai». Al Salone di Ginevra del 1999 esordisce con un’auto tutta sua in fibra di carbonio: Zonda, da allora 130 esemplari in tutto, mania per i dettagli e personalizzazione estrema: come l’auto ispirata alla Pantera rosa voluta da Rod Stewart, oppure quella viola come la sua prima bicicletta chiesta da Lewis Hamilton. O quella richiesta da un miliardario nello stesso colore dei capelli della moglie.
Nel 2011 arriva la Huayra, un milione e 300 mila euro, oggi alla numero 97, a 100 lo stop. L’attesa è ora per la Huayra BC, in onore di Benny Caiola, siciliano d’America collezionista di Ferrari e di Pagani, prezzo base 2,350 milioni di euro. Fatta a mano, nel tempo che ci vuole: nel 2011 in azienda erano 36 persone; dagli anni della crisi a oggi sono diventate 122, sedi a San Francisco e a Hong Kong. «Il mio team ha un’età media di 30 anni. In loro cogli il senso di quella leonardesca "mente che pensa, l’azione che passa agli arti attraversando il cuore"». Pagani ha due figli, Leonardo e Christopher. «Niente gli è regalato. Come mi ha detto un uomo ricchissimo, dargli i soldi, senza che si rendano conto del valore, equivale a dargli cianuro». Lavorano con lui, consapevoli del business in ascesa: l’assetto societario si è allargato, per il 10 per cento, a Pierluigi Zappacosta, ex patron di Logitech; tre anni di commesse, con acconti già versati, sono una bella prospettiva. «Di recente abbiamo venduto la Zonda più costosa: sei milioni di euro». Cifre da vertigine: compatibili con una cultura dell’auto in declino con la sostenibilità? «La ricerca della leggerezza va in direzione ambientalista. Chi compra una Pagani non lo fa per status: acquista un’opera d’arte». Ma il successo non cambia il suo stile di vita: «Mi sveglio tra le 4 e le 5 di mattina, evito la mondanità, non leggo i giornali, niente Internet, pochissima tv. Un’ora di nordic walking al mattino. Cerco di non sprecare il tempo: la barba sotto la doccia, per fare prima. La siesta per leggere: sto leggendo la biografia di Adriano Olivetti e un libro di Tiziano Terzani. Apprezzo negli altri l’umiltà. Che cos’è, per me? La consapevolezza di ciò che sai fare, nel rispetto di tutto ciò che non sai fare. Una coscienza necessaria: come dice Salomone, ricco ma indifferente alla ricchezza materiale, nella Bibbia: "Vuoi essere saggio? Riconosci di essere ignorante"». Un impegno gli sta a cuore, oggi: una scuola per ragazzi in difficoltà a Casilda. Un modo per restituire all’Argentina le suggestioni ricevute. A partire dal vento. "Viento de Los Andes", lo spruzza nell’aria. Profumo d’erba appena tagliata. Brezza che sa di gemme d’alta quota e richiama poteri sciamanici, guaritori, visionari. E con i soldi che ci fa? «Finalmente posso comprarmi una Ferrari».