Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2016  febbraio 19 Venerdì calendario

DUE ANNI DOPO, NODI, PETTINI

Da due anni mi domando (non sempre, eh, penso anche ad altro) se sull’andare al governo in quel modo prepotente abbia avuto ragione Matteo Renzi o se avessi ragione io. In generale io tenderei – come tutti noi – a pensare di avere ragione io, di solito: però ho dovuto via via constatare che a Renzi gli è andata piuttosto dritta, finora. È al governo ormai da due anni; ha di certo fatto diverse cose; continua abbastanza a imporre la sua agenda senza apparenti cali di consensi salvo un “fisiologico” logoramento da governo, che al momento non appare preoccupante; le opposizioni non lo mettono in difficoltà; gli alleati non lo intimoriscono. Dovrei quasi dire che ha vinto lui, dal suo pragmatico punto di vista, e torto io, dalla mia posizione privilegiata di quello che commenta e si permette di dire che bisognava fare diversamente, tanto io faccio un altro lavoro.
Ma non mi convinco (anche perché non sono tanto convinto dei trionfali giudizi sui risultati, pur constatando che delle cose sono cambiate: è come se un pezzo di Italia fosse già in una nuova storia, e un pezzo ancora in quella vecchia, mi pare). Dev’essere per quella tendenza a voler pensare che ho ragione io, mi dico, e rinuncio ad arrivare a una risposta, e torno a pensare alla sconfitta del Napoli, dannazione.
Poi però succede la cosa della legge sulle unioni civili. Che è uno scandalo impensabile, non fosse che viviamo dentro uno scandalo impensabile e quindi ci siamo abituati non solo a pensarlo, ci siamo abituati quasi ad abituarcivisi. Chissà se ho messo i pronomi giusti. E in questi spazi di rassegnazione che lo scandalo ci lascia, ho cercato di capire cosa sia successo: mi sono detto che se c’è uno scandalo, una cosa impensabile, un’eccezione alla civiltà occidentale, ci dev’essere qualche fattore che lo spieghi, e che potenzialmente si può rimuovere, capendo come.
In questo mi ha convinto molto l’editoriale di giovedì del direttore di Repubblica, anche se ho preso atto di opinioni diverse che ho sentito: che mette in fila quattro ragioni che hanno portato all’attuale incombente fallimento della legge sulle unioni civili. Le prendo a prestito ma le spiego con parole mie:
1. c’è stato un “tradimento” da parte di un partito di inaffidabili inadatti, manifesti incoerenti, turisti della responsabilità nei confronti del paese e della serietà istituzionale. Tratti così scontati e riconosciuti che ciò che aveva meravigliato era stato proprio il loro partecipare all’approvazione della legge: il concorrere ad affondarla li riconsegna alla loro essenza reale, che in molti avevano voluto rimuovere più per wishful thinking che per lucidità.
2. c’è stato appunto un ingenuo affidamento da parte del PD pro unioni civili verso quell’appoggio inconsueto, associato a una complementare incapacità di quella parte del PD di costruire una maggioranza più affidabile sulla legge con gli strumenti della politica e della capacità di persuasione che dovrebbero essere propri di una forza progressista vincente. Il partito di maggioranza ha avuto di fronte uno scandalo e non l’ha saputo sconfiggere.
3. c’è stata un’eccessiva delega della questione al parlamento da parte di Matteo Renzi. Se il contesto è quello descritto sopra, con le sue fragilità e debolezze, la forza che ha più potere reale e contrattuale deve spendersi e spenderlo per superarle e attenuarle, non sperare che messa una zattera in mare quella arrivi col suo carico dalla parte dell’oceano, incrociando le dita. Ancora di più se ti sei proposto come il leader del cambiamento e se hai dato da tempo estese garanzie sul risultato, su cui sei già molto in ritardo: le aspettative sono alte, nei confronti di Renzi, e un “è colpa dei grillini traditori” non è accettabile. Non hai parlato di grillini quando due anni fa hai cominciato ad annunciare la legge sulle unioni civili e sulla stepchild adoption.
4. c’è stata una campagna di bugie e mistificazioni sul contenuto della legge e sui suoi effetti, da parte della comunicazione politica e giornalistica del centrodestra, campagna che ha vinto. Non meraviglia di certo me che notizie che non lo erano abbiano prosperato sui media – con una quota, bisogna dirlo, propalata per scelleratezza anche da quelli che si dicono favorevoli alla legge – e che abbiano attecchito in giro, ma in questo caso viene quasi da inchinarsi ammirati di come sia stata data a bere a tantissimi italiani svogliati di approfondimenti la balla sull’utero in affitto, sul dove andremo a finire, sulla fine della famiglia. Quello che è uno scandalo a vederlo da qualunque paese occidentale civile, qui è stato raccontato come un’indispensabile saggezza e protezione dei bambini minacciati. Complimenti.
Detto questo, tornando al tentativo di capire, si può/poteva fare qualcosa per annullare qualcuno di questi fattori? Non per quanto riguarda il primo, temo di dover dire, per quanto sia persino io tentato dal wishful thinking: ma bisogna anche essere realistici.
Per quanto riguarda il quarto, probabilmente si poteva lavorare meglio sulla comunicazione seria e veritiera in contrapposizione a quella degli ingannatori: i giornali che si dicono più autorevoli potevano probabilmente evitare di concorrervi, e di dare uguale spazio alle bugie e alla verità come se fossero due equivalenti opinioni argomentate. E chi aveva cara questa legge forse poteva evitare di cadere in certe trappole della contrapposizione tra curve, considerato che sta andando a finire che vincerà la curva dei provocatori: era meglio lavorare di più di diplomazia e proselitismo, e attenuazione della paure assurde.
Ma veniamo al terzo e secondo fattore, per cominciare a chiudere questo lungo ragionamento che – se siete ancora qui – ricorderete essere partito da due anni fa. Li metto insieme in un fattore solo, quello che riguarda il Pd di Matteo Renzi, sul quale diverse persone con cui ho parlato sono più indulgenti di me, argomentando in sostanza che non si potesse fare altrimenti che appoggiarsi agli infidi grillini o consegnarsi agli esigenti alleati di centrodestra: o si rischiava per vincere, o si cedeva per pareggiare (perdere, di fatto).
E può darsi, dico io (anche se ricordo che non fu menzionato, due anni fa, che la scelta sarebbe stata questa). Ma è una condizione che non è accettabile, a priori: dover fare questa scelta, per sconfiggere uno scandalo e ottenere una cosa sacrosanta, vuol dire essere già sconfitti, e che al momento della vera e indiscutibile dimostrazione che in due anni qualcosa è cambiato, quella dimostrazione non arriva. E che stavolta – quando il gioco si fa duro – non sei nemmeno in grado di dirmi, cinicamente: “vedi che alla fine vinco io?”.
Questa situazione di scelta tra un fallimento o l’altro è la dimostrazione che non puoi cambiare le cose e l’Italia governando con l’NCD e con un gruppo parlamentare che non ti appoggia: e che i risultati che hai eventualmente ottenuto finora sono dei risultati limitati da questo guinzaglio. Possiamo decidere che siano meglio un po’ di metri di guinzaglio piuttosto che stare chiusi nel canile, ma non era questo il progetto che la rivoluzione renziana si era venduto, a suo tempo. Allora ridimensioniamola, con rispetto e lealtà verso il lavoro che sta venendo fatto: ma diciamocelo.
Per me, che sono quello per cui Renzi non doveva accettare di andare al governo in quel modo e che forse ho avuto torto, la cosa da fare è invece un’altra: Matteo Renzi si dimette, preso atto dell’indisponibilità di parte del suo partito e dei suoi alleati a sostenerlo in una scelta che è concretamente e simbolicamente centrale nel progresso civile del paese. E spiegando che non può essere capo di un governo e di un partito che non sono in grado di garantire un diritto elementare ai suoi cittadini e ai suoi bambini. E per ottenerlo investe tanto da presentarsi alle elezioni, cercare di vincerle – in questo momento è discretamente probabile – e rompere quel guinzaglio. Se Renzi si dimette da aprile-maggio non esiste nemmeno più l’obiezione di allora, che la legge elettorale non gli avrebbe consentito maggioranze solide: dal primo luglio si vota con l’Italicum (se si accelera sull’iter riforme bene, se no si vota anche il Senato col “Consultellum“).
E così mettiamo una pezza su quella scelta di due anni fa, e questo periodo si sarà dimostrato un proficuo prodromo a quello in cui si cambia verso. E avremo avuto ragione tutti e due, mettiamola così.