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 2016  febbraio 19 Venerdì calendario

I PRIMI DELLA CLASSE E LO STATO ISLAMICO


Come si spiega il successo dello Stato Islamico nel reclutare i primi della classe, la gioventù brillante dei Paesi ricchi e democratici, il ragazzo di Marsiglia con «ottimi voti a scuola», gli immigrati modello della città californiana di San Bernardino, la «giovane coppia del Mississippi», le tre studentesse inglesi? Insomma, quelli che non sono spacciatori, teppistelli e detenuti? Posso svelare questo mistero, che ha molto poco a che fare con la politica internazionale o con i pregiudizi che gli immigrati musulmani devono sopportare. La chiave non è nemmeno da cercare nei problemi psicologici o nell’infelicità personale, dal momento che tutti abbiamo i nostri periodi bui. L’unico requisito richiesto è che quei giovani siano ingenui, impavidi e sensibili alla teologia.
È tutta una questione di come si legge il Corano. Quei giovani devono essere arrivati alla conclusione, perfettamente normale, che nello studio del Corano l’approccio di una volta, o quello che considerano tale, sia il migliore e le interpretazioni letterali siano da preferire. Perché lo pensino non ha importanza. Forse, essendo giovani e ignoranti, non hanno mai sentito parlare di altri modi di leggere il Corano. Forse sono nostalgici nei confronti dei loro avi, che immaginano grandiosamente devoti alla parola divina presa alla lettera. Oppure sono dei convertiti e non hanno nessun antenato musulmano, ma si divertono comunque a inventarseli. Forse sono persone sofisticate, che hanno scoperto le tradizioni mistiche e neoplatoniche dell’Islam e sfogliano le pagine delle sacre scritture in cerca dell’Unicità sacra di tutte le cose, nella convinzione che ogni segreto dell’esistenza sia lì di fronte a loro.
Ma che cosa dicono di fare questi segreti dell’esistenza? È qui è il problema. Giovani creduloni possono essere sensibili a suggerimenti in tal senso. Lo Stato Islamico dei suggerimenti ce li ha. Lo Stato Islamico, che si prepara attivamente per l’apocalittica Ora Finale, li invita a partecipare.
Naturalmente, ai più salta subito all’occhio quale follia sia il messaggio dello Stato Islamico. Ma supponiamo che gli concedano una seconda occhiata. Michael Weiss e Hassan Hassan, nel loro libro Isis: Inside the Army of Terror, intervistano alcuni adepti del movimento, e ce n’è uno in particolare che dovrebbe darci da pensare.
Si tratta di un siriano di diciannove anni, che ha iniziato combattendo contro la dittatura di Bashar al-Assad e soltanto gradualmente, e con una certa esitazione, si è spostato verso lo Stato Islamico. Il ragazzo spiega di essere stato influenzato «dall’intellettualismo e dalla capacità dello Stato Islamico di diffondere la religione e combattere l’ingiustizia». Weiss e Hassan sottolineano il termine intellettualismo: è stata la ragione a spingere questo ragazzo verso la sua scelta irragionevole. «Quando incontri un religioso o un combattente straniero dell’Isis e ti siedi con lui un paio d’ore, credimi, riuscirà a convincerti», dice il ragazzo. E ancora: «Ogni volta che guardi un loro video, provi un sentimento strano che ti spinge verso il jihad». Ma qual è esattamente questa qualità persuasiva dello Stato Islamico, l’argomentazione che, a detta del ragazzo, riuscirebbe a convincere anche i suoi intervistatori?
Penso che qualsiasi professore universitario smaliziato e spregiudicato saprebbe riprodurre questa qualità.
Primo passo: ricordare al giovane (o alla giovane, va da sé) che ha già acconsentito a leggere i testi sacri alla lettera.
Secondo passo: richiamare l’attenzione su vari passi del Corano e di altre scritture sacre islamiche che promuovono una moralità semplice, in modo da far diventare il ragazzo ancora più accondiscendente.
Terzo passo: richiamare l’attenzione su un passaggio più ostico, per ricordargli che le scritture contengono anche elementi che mettono alla prova.
Quarto passo: sottolineare che i passaggi facili sono alla portata di tutti, ma quelli più difficili offrono al credente l’opportunità di mostrare autodisciplina. Il ragazzo è capace di accettare l’ordine di amputare le mani ai ladri? Ci pensa su. Poi accetta.
Quinto passo: passare ad altri brani delle scritture e ottenere il suo assenso anche su quelli, senza fare alcun riferimento al mondo moderno (per esempio quei brani che parlano delle persone che ripudiano l’Islam o di quelle che rimangono fedeli a credenze pagane o che si lasciano andare ad abomini). Assicuratevi che ne colga il significato esplicito.
Sesto passo: indirizzare la conversazione sui problemi del mondo moderno. Gli sciiti abbracciano l’eresia: che cosa si dovrebbe fare con loro? E con gli yazidi, considerati una setta satanica dallo Stato Islamico? La schiavitù: è veramente in contraddizione con la vera religione? Il problema degli omosessuali. La questione delle punizioni da applicare per questo o quel crimine. Il ruolo delle donne. Su ogni punto, lo studente attento dovrebbe essere in grado di capire che ha già studiato un passo specifico delle sacre scritture che prescrive una soluzione: sterminio degli sciiti; sterminio degli yazidi; riduzione in schiavitù delle donne yazide in preparazione all’Apocalisse prossima ventura; eliminazione degli omosessuali, buttandoli giù da edifici alti; decapitazione di certi prigionieri, crocifissione di altri, smembramento di altri ancora; opportunità di confinare le donne in casa. Il punto fondamentale: la necessità di abbracciare il jihad e la morte. Lo studente stesso snocciolerà le politiche dello Stato Islamico riguardo a tutti questi punti: sarà contento di fornire ogni volta la risposta giusta, assaporando la propria capacità di ricollegare i problemi reali del presente alle fonti coraniche. Gli sembrerà per un momento di essere anche lui uno studioso islamico; ricollegando la realtà moderna agli antichi testi avrà l’impressione di aver compiuto il più grande sforzo intellettuale della sua vita.
Naturalmente, un reclutatore scaltro sarà consapevole che cinque minuti dopo il ragazzo si ribellerà contro tutto quello che è appena stato indotto a dire. Forse rifletterà sul fatto che un Islam rigidamente jihadista può andar bene per qualcuno, ma che non tutti sono tagliati per una simile dottrina. Forse si affameranno nella sua mente dubbi sulla sensatezza dell’intero progetto. Magari si chiederà se da qualche parte nel mondo non potrebbero esserci degli studiosi islamici che hanno opinioni opposte (e in effetti ci sono). Oscillerà da una parte e dall’altra, incerto. Ma il reclutatore avrà una risposta pronta per queste esitazioni: e la risposta escogitata per primo dal fondatore dello Stato Islamico, Abu Musab al-Zarqawi.
Il libro di Weiss e Hassan ci offre un ritratto di quest’uomo. Al-Zarqawi iniziò come un teppistello tatuato nel suo Paese, la Giordania, poi andò a combattere con i jihadisti in Afghanistan, tornò in Giordania, finì in prigione e, con l’aiuto degli iraniani, si ritrovò in Iraq, giusto in tempo per l’invasione del 2003. Il suo gruppo si chiamava Jamaat al-Tawhid wal-Jihad: si schierò con al-Qaida e si rinominò al-Qaida in Iraq; poi, nel giugno del 2006, al-Zarqawi fu ucciso in un raid aereo americano. Ma l’organizzazione è sopravvissuta, prima con il nome più magniloquente di Stato Islamico dell’Iraq, poi con il nome ancora più magniloquente di Stato Islamico dell’Iraq e del Levante (cioè la Siria). L’organizzazione ha rotto con al-Qaida, è diventata lo Stato Islamico e alla fine è emersa come grandioso e preapocalittico Califfato. Ora a guidarla è Abu Bakr al-Baghdadi, il califfo, che, a differenza del tatuato al-Zarqawi, può vantare un dottorato con tutti i crismi all’Università di Studi Islamici Saddam Hussein, in Iraq.
Fu però al-Zarqawi, lo «sceicco dei macellai», ad apportare l’innovazione cruciale. Lo fece mentre era impegnato a fomentare la guerra civile fra sunniti e sciiti: tale innovazione si basò sulla diffusione di un video che mostrava qualcuno, forse lui stesso, intento a decapitare un americano di nome Nick Berg. Questo fu l’inizio dell’industria cinematografica dello Stato Islamico, quella raccapricciante serie di video che ritraggono distese di giovani jihadisti morti con fori di proiettile in fronte, distese di vittime dei jihadisti e decapitazioni di singoli individui e di interi gruppi. Sono i film più orrendi che siano mai stati girati. Terrorizzano il mondo. Ma assolvono anche a un’altra funzione, che rappresenta il successo finale di al-Zarqawi. Mettetevi nei panni di un giovane che è stato indotto, sulla base dello studio delle scritture, a prendere in considerazione l’idea del jihad, ma è titubante. Spinti dalla curiosità, guardate i video. Sulle prime vi ripugnano, ovviamente, e tuttavia sollevano un problema. Rifletterete sul fatto che sono stati girati da persone che considerate devote. E penserete che se c’è qualcosa di fondato nelle argomentazioni dello Stato Islamico, ciò deve basarsi su qualcosa che va al di là di qualche semplice corrispondenza tra frasi del Corano e circostanze del mondo di oggi. Le sacre scritture, se hanno un senso, devono evocare un qualche universo alternativo, diverso dalla realtà di tutti i giorni. E questo universo non può che essere l’universo dell’Unicità e del divino, quell’universo che, come spiega il Corano, fu rivelato alla Mecca e a Medina. Eppure, per quanto abbiate studiato il Corano, non avete mai visto con i vostri occhi un universo alternativo. Ma non può forse essere che proprio in questi video assurdi e sconvolgenti si stia cominciando a rivelare, finalmente, un universo alternativo? Lo Stato Islamico sostiene di operare in una dimensione sacra. E se questi video fossero scene da questa dimensione? E se lo shock che provate mentre li guardate fosse lo shock di vedere, finalmente, una realtà più profonda?
Vi fate coraggio e date ancora uno sguardo.
E iniziate a rendervi conto che in realtà state guardando uno scenario completamente diverso da quelli che avete visto finora.
È lo scenario della morte. È santificato dalle citazioni del Corano e dalla musica vocale, intensa e lievemente isterica che accompagna i video. I cadaveri, le teste mozzate, le guance pallide e le fronti forate dalle pallottole: questo è l’universo alternativo. Sono personaggi della dimensione dell’eterno. Il brivido che provate vi dice che state davvero vedendo quello che pensate di vedere.
Quando finisce il video siete pallidi come un cencio, naturalmente. Ma vi rendete anche conto che, a forza di guardare, siete cambiati. Le scene di morte vi hanno messo davanti a una prova, che avete superato tutti da soli, voi e il vostro dispositivo elettronico. In passato vi siete tirati indietro. Ma ora siete stati capaci di guardare perché ne avete accettato l’aspetto sacramentale. Avete imparato ad accettare tutto, non soltanto le parti moderatamente difficili. E iniziate a rendervi conto delle implicazioni. Se potete rimanere religiosamente tranquilli davanti allo spettacolo della morte di altre persone, potete fare lo stesso di fronte allo spettacolo immaginato della vostra morte. Questi pensieri vi invadono. Siete già diventati una specie di zombie e, quando i vostri amici di Facebook vi inviteranno a raggiungerli nella terra degli zombie, cioè la Siria, inizierete a pensare che, sì, andare in Siria sarebbe una buona idea. Oppure che potete trasferire la terra degli zombie direttamente nella vostra città.
Forse vi ricordate vagamente che un’ora prima le idee del jihad vi sembravano una follia. Ma sarete consapevoli che, accettando i video, vi siete lasciati il buon senso alle spalle. Perché buon senso e Unicità sono incompatibili. Dire che i vostri pensieri dovrebbero essere guidati dal buon senso sarebbe come dire che i vostri pensieri dovrebbero essere guidati da qualcosa di diverso dalla verità rivelata. Sarebbe una sorta di politeismo. E così vi preparate a partecipare al massacro di gruppi etnici di cui prima non avevate mai sentito parlare, o delle persone che vivono accanto a voi. Vi immaginate come sarà bello il vostro volto quando toccherà a voi apparire in un video come un corpo senza vita. E questi pensieri vi riempiono di gioia. Siete ascesi a una devozione meravigliosa, e lo testimonia la nascita in voi di un desiderio nuovo e trasgressivo, il desiderio di massacrare. E il senso di liberazione che proverete vi farà scoppiare in una risata.
Un articolo di Richard Fausset, pubblicato dal New York Times l’estate scorsa e intitolato La giovane coppia del Mississippi legata all’Isis lascia tutti sconcertati, racconta di una ragazza americana di diciannove anni, figlia di un veterano dell’esercito e convertita all’Islam. La ragazza ha commentato il massacro jihadista di cinque militari nella base di Chattanooga scrivendo: «Alhamdulillah (Allah sia lodato), il numero dei sostenitori è in crescita». Le vittime di Chattanooga erano uomini tali e quali a suo padre. Eppure lei trovava quella strage confortante.
Un altro articolo del New York Times, sempre pubblicato l’estate scorsa, questa volta a firma di Katrin Bennhold e intitolato Jihad e Girl Power: come ha fatto l’Isis a irretire tre ragazze londinesi, racconta di una studentessa inglese che in patria ha scioccato tutti scegliendo di andare in Siria insieme a due amiche. La ragazza «aveva schernito il minuto di silenzio in memoria delle vittime, in gran parte inglesi, della recente sparatoria in Tunisia rivendicata dallo Stato islamico con un “Looooool”, l’acronimo usato su internet per esprimere ilarità». I turisti britannici morti sulla spiaggia tunisina erano gente comune della società che si era lasciata alle spalle. Questo la faceva ridere.
Un articolo del londinese Telegraph dello scorso settembre, a firma Steven Swinford, parla di «uno studente modello di Cardiff» che, quando era piccolo, «aspirava a diventare il primo premier britannico di origine asiatica». Invece è andato in Siria.
Nel luglio 2014 lo studente ha twittato: «Giustiziati molti prigionieri ieri». E qualche giorno dopo: «Probabilmente ho assistito alla più lunga decapitazione della storia. E ci eravamo assicurati che il coltello fosse affilato». E ancora: «C’è qualcuno che vuole sponsorizzare la mia cintura esplosiva? Gucci, se ci sei fammi un fischio».
In un articolo uscito su Le Monde a fine gennaio, Luc Leroux cita quanto riportato dai verbali di polizia sul quindicenne che a Marsiglia ha cercato di decapitare un ebreo. Il ragazzo ha dichiarato agli agenti: «Peccato che il machete non fosse affilato bene, perché l’avrei tagliato in due». Anche questo ragazzo ci trovava qualcosa di divertente.
Ha confessato ai poliziotti che gli sarebbe piaciuto visitare Palmira e il poliziotto ha sottolineato che «ci guardava con un sorriso beffardo».
Le ragazze del Mississippi e di Londra, i ragazzi di Cardiff e di Marsiglia: tutti questi giovani provavano piacere per le loro trasgressioni. Lo Stato Islamico ha aperto una porta per loro. L’hanno attraversata e la loro reazione è stata euforica. Sicuramente hanno avuto l’impressione che in quel modo hanno imparato a venerare Dio. In altre parole: sono entrati nella setta.