Salvatore Carrubba, IL - Sole 24 Ore 3/2016, 19 febbraio 2016
TANTE INFORMAZIONI, MA POCA CONCENTRAZIONE
In inglese, è diventato un acronimo: Tmi, che vale per Too Much Information. È la sindrome di cui soffriremmo nell’era del diluvio di informazioni, di cui diamo la colpa (o il merito) alle nuove tecnologie e alle nuove piattaforme. Ma il problema è antico. In un recente articolo su The American Interest (la rivista nel cui comitato di direzione siedono Francis Fukuyama e Zbigniew Brzezinski), un sociologo della conoscenza ideologicamente molto orientato a sinistra, Frank Furedi, osserva che il problema è antico quanto l’uomo: aveva cominciato Platone, ricorda, a deplorare il pericolo rappresentato dalla circolazione di testi scritti. E quando si diffuse la stampa, uno scrittore inglese (Barnaby Rich) denunciò nel 1600 come una delle piaghe dell’epoca l’eccessivo numero di libri che avrebbero finito col confondere – con le idee spesso contrapposte che veicolavano – il pubblico. Chissà che cosa direbbero oggi. Quello che li stupirebbe di più, tuttavia, sarebbe il paradosso che i “nativi digitali”, quanto più sono bombardati di informazioni, tanto meno diventano capaci di concentrarsi su di esse. Le nuove generazioni sembrano stiano diventando incapaci di maneggiare testi complessi. Nelle università americane, dice sempre Furedi, è ormai quasi impossibile pretendere lo studio di grandi opere classiche, perché voluminose ed eccessive rispetto ai parametri di attenzione degli studenti. E così, anziché far leggere quei testi, i docenti, rassegnati, preparano dei “bignami” (chissà se negli Stati Uniti conoscono il termine) o addirittura li riducono in pillole visive, purché “stimolanti”. I loro studenti, infatti, non accettano programmi che contemplino più di un solo libro di una certa dimensione.
L’eccesso di informazioni, ammesso che si tratti davvero di un fenomeno inedito nella storia dell’umanità, rischia insomma di renderci più superficiali e ignoranti. E, fatalmente, cittadini meno responsabili. La soluzione al problema ha a che fare col sistema informativo che sapremo costruire, e col modello di democrazia cui esso darà vita: nel quale, auspicabilmente, i cittadini dovranno ritrovare la capcità di filtrare, gerarchizzare e dare senso alle notzie. Ammesso di trovare sul mercato chi offrirà loro questo servizio: buon futuro, media!