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 2016  febbraio 18 Giovedì calendario

I DISONOREVOLI

Il disonorevole traffico di deputati e senatori si palesa nella casbah della Repubblica italiana. È un corridoio lungo 56 metri e largo 12 che ostenta la grandeur dell’epoca liberty: marmi, stucchi e arredi da favola scelti uno ad uno dal progettista palermitano Ernesto Basile. Correva il 1918 e a quel bizzarro architetto venne l’idea di riprodurre in un edificio pubblico e che edificio le grandi navi da crociera d’inizio Novecento. Così creò il lussuoso Transatlantico della Camera dei deputati, la prima classe di chi naviga in politica.
Faccendieri, sfaccendati, avventurieri, lobbisti, factotum, portaborse, giornalisti, potenti, impotenti, ex potenti: in 672 metri quadrati si concentra la più varia umanità italiana. Tuttavia, le principali attrazioni della crociera restano sempre loro, i parlamentari, altrimenti detti «peones». Tali braccianti della politica ciondolano e bivaccano tutti qui, senatori compresi. Accade da sempre. Pure in questi giorni di tensione sulle unioni civili, è sempre in Transatlantico che i peones mettono all’asta le loro prestazioni, cioè i voti parlamentari. Chi è il miglior offerente? Lo dicono i numeri: Matteo Renzi.
A Palazzo Madama, dove la maggioranza di governo è relativamente fragile, il 30 per cento dei senatori ha tradito il partito dal quale è stato candidato. E il 43,6 per cento dei rinnegati si è alleato con il Partito democratico, un record mondiale. Per capirci bene: a soccorrere Renzi sono stati 43 senatori a fronte di un’unica defezione, quella di Corradino Mineo, uscito dal Pd per entrare nel gruppo misto.
Fanno ancora più impressione, questi dati, perché riferiti a un giovane premier affermatosi sulla spinta emotiva della teoria della Rottamazione, lezioni di civiltà politica comprese. Una la regalò dopo che i Teodem di Paola Binetti, Luigi Bobba e Dorina Bianchi si scissero dal Pd per abbracciare l’Udc di Pier Ferdinando Casini. Correva il 14 febbraio 2010, l’Italia festeggiava San Valentino, ma Renzi fu poco amorevole: «È ora di finirla con chi viene eletto con qualcuno e poi passa di là. Vale per quelli di là, per la sinistra e per tutti». A Porta a p orta, su Rai1, l’allora sindaco di Firenze attaccò de visu Binetti: «Dovevate avere il coraggio di dimettervi dal Pd e dal Parlamento». Un anno dopo, il 22 febbraio 2011, giorno in cui si venera la Cattedra di San Pietro Apostolo («E io a te dico: tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa»), Renzi edificò la sua chiesa politica su Radio2, a Un giorno da pecora: «Se uno smette di credere in un progetto politico non deve certo essere costretto con la catena a stare in un partito, ma questa gente, quando se ne va, deve fare il favore anche di lasciare il seggiolino». È finita così: Binetti, rieletta con l’Udc, sostiene il governo di Renzi; Bobba, rieletto deputato con il Pd, è sottosegretario del Pd; Bianchi, rieletta con il Pdl-Forza Italia, è sottosegretario in quota Ncd.
Insomma, l’apostata Renzi ha fermato la rottamazione a Massimo D’Alema, peraltro superato, e pure di molto, in certe pratiche disinvolte. I trasformismi parlamentari sono infatti diventati consuetudine soltanto con la seconda Repubblica; apripista, nel 1998, fu proprio il governo di D’Alema. Da allora taluni deputati e senatori hanno sì palleggiato se stessi da un gruppo all’altro, ma comunque in numero decisamente più esiguo. Per dire, i «Responsabili» di Antonio Razzi e Domenico Scilipoti, che alla Camera salvarono il governo Berlusconi dalla sfiducia nel 2011, arrivarono al numero di 24 su 630, il 2,7 per cento del totale.
La costante che tiene assieme il tutto sono i transfughi eletti nel Mezzogiorno. Anche nell’era renziana sono quasi la metà. Il dato generale rivela che tra Camera e Senato i camaleonti sono 234, alcuni dei quali capaci però di mutare pelle più volte. E così che il totale arriva alla cifra iperbolica di 329 transumanze. Gli «statisti» meridionali l’hanno esercitata nel 47 per cento dei casi. Qui vale una vecchia ammissione di Clemente Mastella: «Pensare che ci sia una propensione meridionale al tradimento non è del tutto sbagliato. È un fatto di status sociale. Al Sud sei chiamato onorevole e al Nord se ne strafottono. Quando poi decadi sei davvero finito, non ti invitano più nemmeno per un caffè».
Siccome nel Mezzogiorno d’Italia il caffé piace assaje, la gran parte dei voltagabbana sudisti è andata in soccorso del più forte, quindi di Renzi, che li ha accolti pur considerandoli inadeguati a governare: non c’è un meridionale, che sia uno, al quale abbia affidato un dicastero di spesa di peso.
Anzi, con il rimpasto del 28 gennaio 2016, la competenza sul Mezzogiorno è andata a Enrico Costa, un avvocato piemontese del Nuovo centrodestra. Viene da Cuneo, che notoriamente sta nel Sud della Francia. Insomma, l’ennesimo schiaffo in pieno volto ai meridionali. Ma nessuno ha reagito. Perché?
Pesa anzitutto un dato geopolitico: al politico sudista medio la nazione finisce nel territorio del suo bacino elettorale. Marco Di Lello, segretario Pd della commissione parlamentare Antimafia, conferma: «Sì, generalmente è così, e la spiegazione è nelle preferenze. Qualsiasi sia la legge elettorale, nel Sud solitamente i partiti ti candidano solo se dimostri di avere tanti voti personali. Colpa della politica ma anche conseguenza di un certo elettorato. Nel Mezzogiorno il voto d’opinione conta al 20 per cento, nel Nord all’80. Questo ha portato a una deriva evidente: i politici meridionali, invece di sviluppare una visione nazionale, pensano anzitutto alle esigenze particolari». È agli atti: durante la discussione della legge di Stabilità, la gran parte dei parlamentari sudisti si mette a cercare fondi per sagre, fiere e feste di paese. Evidentemente hanno avuto soddisfazione.
Alcuni peones pretendono qualcosa in più, incarichi di sottogoverno, soprattutto vicepresidenze e segreterie di commissioni parlamentari. Nel caso di Renzi va però riconosciuto che il premier evita di sporcarsi le mani, le trattative le conducono i suoi plenipotenziari, soprattutto Luca Lotti e Maria Elena Boschi. In verità, non è che devono darsi un gran da fare.
Ai transumanti tutti interessa anzitutto lo stipendio presente e futuro. Tra una cosa e l’altra, fanno circa 230 mila euro a testa all’anno, 1 milione e 150 mila euro in cinque anni. Anche con la multa da 150 mila euro ipotizzata da Beppe Grillo per chi cambia casacca, in tasca ai transfughi resterebbe comunque un milione secco. Soldi con i quali si possono fare molte cose. Per esempio, quando Antonio Razzi è passato a Forza Italia, è stato esplicito: «Con la rielezione ho potuto finire di pagare il mutuo». Pecunia non olet, il denaro non puzza, quindi, in questo Parlamento come nel prossimo. I transfughi, con i loro voltafaccia, sperano infatti di essere ricandidati associandosi a questo o quel capobastone. Che, di suo, ne ricava potere contrattuale (vedi alla voce Denis Verdini) e pure qualche denaro in più.
La Camera e il Senato stanziano rispettivamente 32 e 21,3 milioni di euro all’anno per i gruppi parlamentari. Ecco, i contributi ai singoli gruppi sono proporzionali al numero dei componenti: più numeroso è il gruppo e più soldi riceve. La stima (a spanne) è di circa 50 mila euro a deputato, e di 67 mila a senatore. Per il 2015, ad esempio, il Pd riceverà 1,3 milioni di euro (circa) in più grazie ai 23 parlamentari catturati in corso di legislatura. Non solo. Ci sono sigle nate soltanto per questo, cioè per la pecunia, tipo il dimenticabile Gal (Grandi autonomie e libertà): al momento conta al Senato su 16 componenti che valgono 1 milione e 72 mila euro. Sempre meno del Misto (26), che alla Camera, con 64 deputati, è il terzo partito dopo Pd e movimento 5 Stelle. E anche questo è un record mondiale.
In genere, gli iscritti al Misto aspettano l’ultimo momento utile prima delle elezioni per puntare sul cavallo ritenuto vincente. Chiaramente, pur mantenendo una corsia preferenziale con Renzi (a cominciare dal presidente del gruppo, Pino Pisicchio), attendono di capirne la sorte politica. Martedì 16 febbraio l’autorevole Financial Times scriveva così del presidente del Consiglio italiano: «La sua fortuna sembra si stia esaurendo».
Dovesse capitare davvero, i naviganti la politica non esiterebbero un secondo a inseguire qualcun altro. D’altronde la (terza) Repubblica dei disonorevoli è fatta così: cambia direzione insieme al vento del potere.