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 2016  febbraio 18 Giovedì calendario

ARTICOLI SUI NUOVI DIRETTORI RAI


ALBERTO INFELISE, LA STAMPA 18/2 –
Andrea Fabiano – Raiuno
Un ex (eterno) enfant prodige come Antonio Campo Dall’Orto non poteva che scegliere un (attuale) enfant prodige per dirigere la rete ammiraglia della Rai. I severi e tradizionali rituali di Raiuno saranno d’ora in poi officiati da Andrea Fabiano, classe 1976, vale a dire un quasi quarantenne (roba che certi dirigentoni di stirpe si staranno rivoltando nel sarcofago). Sarà il più giovane direttore nella ormai sessantaduenne storia del Primo canale. Certo, è più vecchio di Raitre (1979), ma più giovane della riforma della Rai che la istituì. «Barese esportato a Roma», come si legge sul suo profilo twitter, si laurea all’Università di Bari e fa anche un breve master ad Harvard. A Viale Mazzini si occupa di Marketing, prima con la carica di vice responsabile, poi di responsabile. Dal febbraio 2015 è il vice di Leone alla Prima Rete Rai.

Ilaria Dallatana – Raidue
Il curriculum non mente. O almeno, non in questo caso. Ilaria Dallatana, parmigiana, 48 anni, che da oggi sarà il nuovo direttore di Rai2, in vita sua si è effettivamente occupata di televisione. Prima nel campo avverso alla Rai, con gli anni all’ufficio marketing di Mediaset (che qualche talento qua e là l’ha sfornato) e la riorganizzazione di quell’esperimento funambolico che fu Telecinco a Madrid. Nel 2001 sceglie la libertà e si imbarca su un cargo battente bandiera GiorgioGoriana che prenderà il nome di Magnolia: cosa trasportasse quel cargo lo sapevano tutti, format come «L’isola dei famosi», «L’eredità», «SOS Tata». Diplomata al liceo classico, si è laureata in Lettere Moderne all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano e diplomata in Scienza della Comunicazione all’Università La Sorbonne Nouvelle.

Daria Bignardi – Raitre
Con quella faccia un po’ così, quell’espressione un po’ così che hanno quelli che zitti zitti mettono tutti nel sacco con un’alzata di sopracciglio, Daria Bignardi è il nuovo direttore di Raitre: il che pare non essere un azzardo per una che è giornalista, conduttrice, scrittrice (di cinque romanzi), e che a dirla tutta da Raitre era pure partita, nel ’91 (anno nel quale il prossimo direttore di Raiuno affrontava sicuramente con successo il primo anno di liceo) nella redazione di Milano Italia. Da allora tanta tv (ma anche Radio Deejay con Mezz’ora Daria) da conduttrice e autrice (Punto e a capo, A tutto volume, Corto circuito, Tempi moderni) fino alla svolta (per lei e per il resto della tv italiana) del Grande Fratello. Lasciata dopo due edizioni l’incombenza a Barbara D’Urso (wow!), è diventata la prima italiana ad avere un suo programma serale di interviste (le Invasioni barbariche e poi l’Era glaciale).

Angelo Teodoli - Rai4
Più che una nomina, un trasloco. Nato nel 1956 (come Miguel Bosè, quindi un po’ poeta lo sarà anche lui) Angelo Teodoli è di casa in Rai dal 1983, mica bruscolini. Lascia la direzione di Raidue (agguantata nel 2012) dove ha rivitalizzato il palinsesto del pomeriggio e riportato l’informazione in prima serata. La sua lunga gavetta iniziò proprio a Raidue, dove tra la fine degli anni Ottanta e l’inizio degli anni Novanta si occupò dei palinsesti (la parola difficile che quelli della tv usano per descrivere l’insieme di quello che noi guardiamo sui loro canali: Walter Veltroni fu il primo a dirla in pubblico senza vergognarsene). Nel ’96 è capostruttura di Raiuno con delega ai palinsesti e alle promozioni, nel 2002 diventerà vicedirettore della rete sotto la direzione Del Noce. Nel 2009 lascia la rete per passare alla direzione palinsesti.

Gabriele Romagnoli - Raisport
«Romagnoli considera il calcio una metafora della vita», dicono i colleghi che lo hanno visto crescere come giornalista alla Stampa. Il che gli sarà certamente d’aiuto quest’estate quando da nuovo direttore di Raisport dovrà gestirne la grande squadra alle prese con gli Europei di football. Subito dopo ci saranno le Olimpiadi a Rio, altra prova impegnativa da affrontare. Legatissimo alla sua Bologna, in realtà ha zingarato in giro per il mondo tra Torino, il Cairo, Beirut, New York, Roma e molti altri posti di cui ha raccontato in libri e articoli. Attualmente collaborava con La Repubblica. È stato tra le altre cose direttore del mensile Gq, firma di Vanity Fair e «correspondent at large» per il gruppo Condé Nast. Ha scritto molti libri (finalista al Campiello nel 93 con Navi in bottiglia).
Alberto Infelise

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GIOVANNA CAVALLI, CORRIERE DELLA SERA 18/2 –
Accontentare tutti non si può ma certo, quando ha annunciato le sue prime nomine «pesanti», accompagnandole con l’autocertificazione «basate su competenza, esperienza, merito e autonomia dai partiti», l’ad della Rai Antonio Campo Dall’Orto credeva di aver scongiurato le peggiori polemiche. Ecco invece come l’ha salutato, per dire, il segretario della Lega Matteo Salvini: «Signore e signori, ecco a voi... Telerenzi ». E i parlamentari del M5S: «È l’invasione del renzismo in tutte le salse».
Né più e né meno quello che gli ha detto in faccia il consigliere di centrodestra Arturo Diaconale («Impronta renziana un po’ deludente») dopo una pre-riunione del Cda piuttosto animata, con i consiglieri indotti a togliere le batterie ai cellulari per evitare fughe di notizie.
Inutile girarci intorno, la candidatura che ha fatto più discutere, dentro e fuori le segrete stanze di viale Mazzini, è quella di Daria Bignardi. Dicono tutti bene del quarantenne Andrea Fabiano, discepolo di Giancarlo Leone (spostato al coordinamento offerta reti al posto di Antonio Marano migrato a Rai Pubblicità): con Raiuno «CDO» avrebbe gradito fare tris di donne, ma Eleonora Andreatta è voluta restare a Raifiction e ai 300 milioni di budget. Un coro di «grande professionista» ha accolto a Raidue Ilaria Dallatana, ex Magnolia (la voleva anche Gubitosi ma il tetto dei 240 mila euro la demotivò), tutti felici per Angelo Teodoli a Rai4 («Si riparte a 100 all’ora», esulta e infatti presto si prenderà anche Raipremium e Raimovie).
A Raitre sono sottosopra, riporta un inquilino del settimo piano. E prevede che lo stile giornalistico «glam» della Bignardi potrà scontrarsi con i big dell’inchiesta della rete, vedi Gabanelli, vedi Iacona. Si ricordano i suoi flop e i bassi ascolti. Si teme che alla fine non farà meglio di Andrea Vianello, l’ex rimosso senza nemmeno una telefonata, che signorilmente dice: «D’accordo con l’ad individueremo al più presto un ruolo all’altezza del mio profilo professionale».
Se Andrea Salerno, dato per certo su quella poltrona e dismesso con una telefonata alle 8 di ieri mattina, twitta «un grande in bocca al lupo alla rete e a Bigna», il tagliente consigliere Carlo Freccero conferma: «La sua coloritura renziana è molto forte e io ho un pregiudizio personale su questo. Se non altro, ora che è direttore, non potrà più farle,quelle interviste a Renzi, un bel vantaggio, no?».

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PAOLO CONTI, CORRIERE DELLA SERA 18/2 –
Una Rai meno «romanesca» e assai più «milanocentrica» (scelta, volendo, assai «renziana», per il noto disamore del presidente del Consiglio per il Palazzo romano). Una tv pubblica fortemente ringiovanita e capace di attirare le platee under 35 ormai in fuga da tutti i prodotti Rai: grave danno pubblicitario, poiché è il pubblico dei «big spender», quello caro agli inserzionisti.
Insomma, volti lontani dal vecchio «corpaccione Rai» che non si sente rappresentato (l’Usigrai, il sindacato giornalisti Rai, ha parlato di «schiaffo alla professionalità degli interni») e chiaramente teme innesti di corpi estranei.
L’operazione condotta in porto da Antonio Campo Dall’Orto sulle direzioni delle reti Rai sfugge oggettivamente a una catalogazione partitica (c’è chi ha ironizzato sulla solidissima amicizia tra Matteo Renzi e Luca Sofri, compagno di Daria Bignardi, neodirettore di Raitre, ma certe sottolineature sono tipiche dei riti post-nomine). Però ha dinamiche molto precise, ad esempio l’anagrafe, come si diceva. Il neodirettore di Raiuno, Andrea Fabiano, è del 1976 e sarà il più giovane responsabile nella storia dell’ammiraglia Rai. Un master ad Harvard lo catapulta ben lontano dalle antiche mentalità di viale Mazzini.
Capitolo Milano e dintorni. Molto interessante e significativo, visto che proprio Campo Dall’Orto trascorre tre giorni a settimana nella Capitale morale. Uno dei due nuovi direttori di rete, Ilaria Dallatana, ha alle spalle una robusta storia Mediaset e la fondazione di «Magnolia» (società di produzione di format per giovani, eppure longevi, come Masterchef o X Factor) al fianco di Giorgio Gori. Quindi cultura televisiva milanese al cento per cento. Affine a quella di un’altra star del centro di produzione meneghino, Fabio Fazio. E lo stesso si può dire per l’altro direttore, Daria Bignardi, che ha sostituito nello schema nomine all’ultimo momento un apprezzato professionista come Andrea Salerno, indicato da settimane come il futuro direttore di Raitre. Bignardi vuol dire mille mondi milanesi, stretta amicizia con Campo Dall’Orto (che la sostenne fortemente, e la formò, da direttore de La7), un’idea di tv che incarna un modello non certo nato alla Rai.
Basta rileggere un passaggio della prima intervista rilasciata dal direttore generale a Claudio Cerasa direttore de Il Foglio il 2 settembre 2015: «Quando parlo di “discontinuità” per la Rai, parlo di un concetto semplice che riguarda in modo profondo questa azienda. L’impressione è che la Rai, e questo accade ormai da molti anni, sia costantemente rimasta due passi indietro rispetto alla velocità della società».
Se alla terna delle reti aggiungiamo l’outsider Gabriele Romagnoli (scrittore raffinato e sceneggiatore) alla guida di Rai Sport la discontinuità c’è tutta. Angelo Teodoli, titolare di un solido lavoro su Raidue, cercherà di ripensare Rai4. E mentre il destino dell’ormai ex direttore di Raiuno, Giancarlo Leone, è sicuro (coordinamento dell’offerta televisiva), molti si interrogano su quale incarico ricoprirà Andrea Vianello, direttore di Raitre uscente, che ha tentato la strada della sperimentazione ma inciampando spesso nell’ audience.
Ma non è finita. Chi conosce le regole televisive di ingaggio, sa quanto si sia rafforzata la figura di Beppe Caschetto, potente manager-agente di tanti volti. Per esempio di Fabio Fazio, Luciana Littizzetto ma anche Giovanni Floris, Lucia Annunziata, Virginia Raffaele, Neri Marcorè. E Daria Bignardi.
Il legame personale tra Campo Dall’Orto (uomo di prodotto) e Caschetto è antico. E già cominciano le elucubrazioni che scavalcano (altro che canguro) le nomine oggi all’ordine del giorno del Consiglio di amministrazione per immaginare già volti, palinsesti, format. Raitre verrà «rifondata» anche con il supporto di Caschetto, un po’ come avvenne per La7 proprio ai tempi di «CDO», come viene chiamato il direttore generale, per brevità, nei corridoi Rai?
Un nome campeggia su tutti: Maurizio Crozza. E chissà davvero cosa potrà accadere, quando si passerà ai progetti operativi e soprattutto all’appuntamento degli appuntamenti, il piano industriale fissato per aprile, quando la Rai di «CDO» avrà collocato tutte le tessere e bisognerà collegare il budget alla rivoluzione del prodotto, in virtù della discontinuità immaginata dal direttore generale.
Resta da capire come reagirà il «corpaccione Rai» a tanti esterni. Se collaborerà alla partita o se organizzerà forme di resistenza passiva. Quando ci si mettono, le truppe Rai possono triturare anche il più bravo direttore del Pianeta.
Paolo Conti

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ALDO FONTANAROSA, LA REPUBBLICA 18/2 –
Andrea Fabiano da vice direttore a direttore di RaiUno. Ilaria Dallatana al timone della Seconda Rete, con Daria Bignardi invece a RaiTre. E ancora: Gabriele Romagnoli a RaiSport; Angelo Teodoli a Rai4. Infine Antonio Marano alla presidenza di Rai Pubblicità.
Antonio Campo Dall’Orto cambia così lo stato maggiore della tv di Stato con scelte fatte - assicura l’ad - in piena autonomia dalle lobby e dai partiti. «Questi nomi sono la chiara espressione delle nostre ambizioni». Ma il sindacato dei giornalisti (l’Usigrai) critica l’ennesima infornata di esterni. La tornata di nomine - che oggi avrà il via libera in Cda - rappresenta un successo per Giancarlo Leone. L’ormai ex direttore di RaiUno diventerà il coordinatore editoriale di tutti i canali pubblici e intanto vede il suo delfino, il vice Fabiano, succedergli alla guida del primo canale. Fabiano, 40 anni, è il più giovane direttore della rete ammiraglia di Viale Mazzini. Sarà lui a gestire il caso Vespa. La tv di Stato ha rinnovato il contratto del giornalista (che guadagnerà 1,3 milioni in un anno). Ma il contratto «non pone vincoli in termini di format del prodotto». Spetterà dunque a Fabiano confermare “Porta a Porta” così com’è oppure fare scelte diverse «e di discontinuità».
Ilaria Dallatana - a lungo corteggiata dall’ex dg Gubitosi che la voleva a RaiUno - prende il timone della seconda rete. Nel 2001, Dallatana ha fondato la società di produzione “Magnolia”, insieme a Giorgio Gori, e curato trasmissioni come L’isola dei famosi e XFactor. La sua esperienza nell’intrattenimento tv può tornare utile a Viale Mazzini, che cerca un pubblico più giovane. Scettico il consigliere Diaconale che parla di una scelta «in salsa renziana», per la vecchia amicizia tra il premier e Gori. Il consigliere Rita Borioni, invece, esulta perché Dallatana a RaiDue e Bignardi a RaiTre tingono di rosa le nomine. La Bignardi batte sul filo di lana Andrea Salerno, direttore editoriale della “Fandango”, a lungo favorito per l’incarico. Per curriculum, Salerno era il candidato naturale alla guida della Terza Rete. La Bignardi - giornalista e scrittrice di grido - non ha esperienze di gestione editoriale. Il consigliere Franco Siddi la incoraggia: «È una scelta intrigante, la attendiamo alla prova senza pregiudizi». Salerno - combattuto nell’ombra dal consigliere Freccero - esce di scena con signorilità, twittando il suo incoraggiamento alla Bignardi. Romagnoli, collaboratore di Repubblica, ex direttore del mensile GQ, guiderà la redazione - certo turbolenta - di RaiSport. Il suo primo compito sarà aggiornare le tecniche di racconto per le Olimpiadi ed anche per gli Europei di calcio che possono costare 110 milioni alla Rai, tra diritti e spese sul campo. L’ex direttore Carlo Paris resterà a RaiSport, accanto a Romagnoli, in un ruolo “di macchina”, per la gestione operativa delle trasmissioni. Angelo Teodoli (molto stimato dal sottosegretario Giacomelli) si trasferisce da RaiDue a Rai4, canale che ha sostituito Retequattro sul quarto tasto del telecomando di Sky, da settembre. Infine Antonio Marano andrà alla presidenza di Rai Pubblicità, ed è questa l’unica nomina di competenza del Consiglio di amministrazione (per le altre Campo Dall’Orto decide da solo). Marano dovrà creare come un ponte tra la società degli spot e le realtà editoriali di Viale Mazzini.

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PAOLO GIORDANO, IL GIORNALE 18/2 – 
Allora vale tutto. Hai voglia a pensare, o quantomeno sperare, che sia sempre il merito, quello sì, a fare la differenza, specialmente quando in ballo ci sono responsabilità (e denari) pubblici. Poi Daria Bignardi viene nominata direttore di Rai3 e tutti i bei pensieri si sbriciolano come quando anche l’onda più garbata del mare sfiora un castello di sabbia sulla riva. Oddio, nessuno può negare che Bignardi abbia «fatto» tanta tv sin da Milano, Italia in onda oltre vent’anni fa su Rai3 chez Gad Lerner. Poi il Grande Fratello su Canale 5, Le Invasioni Barbariche su La7 e il suo clone L’era glaciale su Rai 2 e di nuovo le Invasioni su La7, che ora spariscono definitivamente per mancanza del padrone di casa con la «ragguardevole» media di ascolti del 3 per cento. Allora tre italiani su cento avevano la televisione accesa sulla Bignardi ma ora cento su cento ne dovranno pagare lo stipendio da direttore, si presume non proprio da metalmeccanico alla Cipputi. Insomma, tra fare un programma tv e gestire una rete tv c’è la stessa differenza che allontana un premier mai votato da uno che invece ha raccolto i consensi uno per uno: la mancanza di «sentimento popolare». In tutte le sue esperienze tv (ma anche editoriali) Bignardi ha solleticato e soddisfatto tutto tranne che il bisogno popolare di essere informato o intrattenuto sui temi concreti, talvolta poveri ma sempre reali, della vita quotidiana. Il suo è sempre stato un talk show d’élite, baciato dai social ma molto meno dall’Auditel, a conferma di quel crepaccio che drammaticamente separa tuttora l’intellighenzia dalla realtà. E nella realtà di tutti i giorni di un direttore di rete c’è il confronto con il personale, la scelta della strategia di palinsesto e l’incontro con i manager dei nomi di punta del canale, generalmente scafati e implacabili specialisti della trattativa. Un contesto ambientale che è da «invasioni barbariche» ma nel vero senso della parola e non in quello più etereo e compiaciuto di un talk show con golosa vocazione all’endorsement. Ricordate quando Bignardi lanciò Monti intervistandolo con il cagnolino Empy in braccio? Ecco, le Invasioni erano quella roba lì. Poco male, in fondo sono salamelecchi e retroscena che all’uomo della strada interessano poco almeno finché non si trova a pagarne il conto. Perciò, anche al confronto dell’altra nomina in quota rosa, ossia quella di Ilaria Dallatana al vertice di Rai2, autentica macchina da guerra della tv con curriculum inattaccabile ed esperienze internazionali da far invidia a quasi tutti gli operatori del settore, quella di Bignardi sembra la sfida impossibile di una ricamatrice di abiti di nozze chiamata a confezionare divise per soldati al fronte. Senza parlare di tutte quelle, chiamiamole così, «aderenze ambientali» con Renzi che lei invitò alle Invasioni sentenziando poco dopo: «Mi sento un po’ come Pippo Baudo, s’intuiva il desiderio di Renzi di cambiare le cose e ce l’ha fatta». Qualcuno disse che Bignardi aveva cucinato «le linguine alla Leopolda». E, tanto per capirci, al termine dell’intervista il marito della conduttrice, Luca Sofri, benedì l’allora solo segretario Pd con un misurato «Ciao capo, ottima, ottima...». Insomma, non è esattamente la garanzia di equidistanza dalla politica che tutti si aspettavano nelle nomine dei vertici Rai. Ma è la conferma che spesso si cambia tutto per non cambiare proprio nulla. Specialmente a Rai3.

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CARLO TECCE, IL FATTO QUOTIDIANO –
Quello che non s’era capito con Daria Bignardi, fin troppo altera per sdoganare lo spettacolo pruriginoso al Grande Fratello o fin troppo seriosa per governare il confessionale e le pulsioni ormonali dei concorrenti (celebri le loro effusioni notturne), è che davvero le carriere passano per le case, i cortili, i salotti, le pubbliche (e private) relazioni. E in fondo, quasi vent’anni fa, cos’era il Grande Fratello se non la Casa (con la C maiuscola) più ambita dagli italiani animati da smodate ambizioni? Così la Bignardi, ferrarese con studi al Dams di Bologna, emblema di una sinistra trinariciuta che sopravvive in se stessa convinta di riflettere la società inibita da chi non comprende e da chi non valorizza, s’è presa pure Rai3.
Quella che Matteo Renzi ancora reputa l’ultima zelante enclave di una sinistra che sbaglia, abitata (ancora per poco) da compagni illegittimi. Tra Matteo e Daria corre una stima profonda e un’amicizia granitica. Forse perché entrambi considerano la sinistra qualcosa da cui attingere per scalare il potere o perché, viene il sospetto, entrambi con la sinistra c’entrano poco. Non importa. Ora non più. Perché la Bignardi, sposata con Luca Sofri, aedo consapevole del renzismo (lo chiamò “capo” a margine di una puntata di Daria), è la prescelta. Quella che deve promuovere la rivoluzione culturale dentro Rai3. La rivoluzione renziana, s’intende. Com’era la Bignardi in conduzione?
C’erano già i prodromi del Partito della Nazione, che mescola il bello e il brutto, la filosofia e il cazzeggio, il cagnolino di Mario Monti e la birretta con la cantante Giorgia, l’intervista a Corrado Augias su Gesù Cristo e il seminario sulle puzzette con Dolce&Gabbana. Il Partito della Nazione in tv non è nient’altro che il prototipo di un programma di Daria Bignardi, che poi è identico da dieci anni, cambia il titolo, cadono gli ascolti, ma lo stile non perisce: Le Invasioni Barbariche a La7, invenzione proprio di Antonio Campo Dall’Orto, rovinoso (breve) trasloco in Rai con L’Era Glaciale, ritorno a La7 con Le Invasioni Barbariche. E fine. Per carenza (o assenza) di spettatori, uno scarnificato 2,9 per cento di share che, la scorsa stagione, ha indotto lo sparagnino Urbano Cairo (la Bignardi è esosa) a non rinnovare il contratto. In giro, però, c’è più di una Bignardi. E spesso non s’assomigliano.
Ha esordito con Gad Lerner, Gianni Riotta e Giordano Bruno Guerri. Ha gestito il Grande Fratello che radunava decine di milioni di italiani. Ha fregato quel ruolo a Canale5 a Catherine Spaak, Elisabetta Gardini, Cristina Parodi e Cesare Buonamici, ma detesta che sia associata con insistenza al Grande Fratello. Ha litigato – e fu divertente – con Barbara D’Urso, che proprio il Grande Fratello ha consacrato. Ha accettato la censura di Viale Mazzini contro Beatrice Borromeo e Vauro che parlavano di Silvio Berlusconi, ma s’è lamentata proprio di censura quando ancora Viale Mazzini ha posticipato la messa in onda di una puntata con Morgan che ragionava sul Cavaliere e la loggia P2. Ha ricevuto una lezione da Renato Brunetta, perché storpiava in “Brandolini” il nome di Giacomo Brodolini: “Non sono cose che contano”. E l’ex ministro inferocito: “Ha detto una bestemmia.
Brodolini è il padre dello Statuto dei lavoratori, morto di cancro mentre faceva approvare una legge fondamentale”. La replica: “Lei è antipatico”. Poi s’è giustificata male: “Se fossi stata Enrico Mentana, nessuno si sarebbe stupito”. Ha provocato Alessandro Di Battista, interrogato sul padre: “È fascista, cosa si prova?”. La nemesi. Rocco Casalino, ex protagonista del Grande Fratello e da un paio di anni con i Cinque stelle, l’ha redarguita: “Cosa provi, Daria?”. Allora per giorni, sui media, s’è discettato di Adriano Sofri, suo suocero, condannato a 22 anni perché mandante dell’omicidio del commissario Luigi Calabresi. E poi anche del babbo di Daria, rievocato per Mondadori in un romanzo di memorie e sentimenti, di ragazzi fascisti durante la dittatura di Mussolini, illusi e disillusi. Ma non c’è da scavare troppo per ricostruire la definitiva ascesa di Daria Bignardi, che fu la prima – otto anni fa – a donare un palcoscenico al rottamatore Renzi.
Il fiorentino l’ha scelta per le campagne mediatiche. Almeno in quattro circostanze: nel 2011 per organizzare l’assalto ai palazzi di Roma, nel 2013 per sfruttare la debolezza di Pier Luigi Bersani, nel 2014 per silurare Enrico Letta (#enricostaisereno, ricordate?) nel 2015 per celebrare l’esecutivo. Quando non si presenta di persona, Renzi manda i suoi. Il ministro Marianna Madia è reticente? Bene, il capo Matteo impiega due minuti due al telefono e la Madia va sorridente dall’amica Daria. Maria Elena Boschi è appena nominata nel governo e va resa empatica e simpatica? Molto bene, lo stratega Matteo organizza la serata dall’amica Daria. E così via. In gergo, l’autore tv che svolge questa mansione è definito “trova ospiti”. Renzi l’ha fatto per la Bignardi. Che poi s’è trovata qualcosa di meglio.

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MARCO CASTORO, IL MESSAGGERO 18/2 –
Tutto si può dire di Campo dall’Orto meno che non ci metta la faccia. Ha preso carico del mandato e va avanti per la sua strada. Non si fida di nessuno in Rai e nella sua squadra vuole solo fedelissimi. È stato così anche per i nuovi direttori delle reti generaliste, arrivati puntuali come aveva promesso. «Scelte basate su competenza, esperienza e merito. Autonome dai partiti», così il dg ha motivato le nomine che oggi il Cda ratifica.
Donne e giovani che fanno un bel balzo in avanti, rispetto alle abitudini di Viale Mazzini. Ilaria Dellatana e Daria Bignardi, rispettivamente a Rai2 e Rai3. Mentre la rete ammiraglia passa a un quarantenne rampante come Andrea Fabiano, attuale vice-direttore, nonché esperto di marketing e palinsesti: il più giovane direttore di sempre a Rai1. Tutto sommato una vittoria anche per Giancarlo Leone, il direttore uscente, che con l’incarico al suo vice vede premiata la continuità del mandato.
DONNE
Leone prende il posto di Antonio Marano al coordinamento dell’offerta editoriale delle reti Rai, mentre Marano torna a Milano con l’incarico di presidente di Rai Pubblicità. L’attuale direttore di Rai2, Angelo Teodoli, trasloca a Rai4, con il compito di rilanciare una rete che nemmeno la presenza sul tasto 104 del bouquet Sky ha fatto decollare.
Campo Dall’Orto probabilmente puntava al tris di donne, perché fino agli ultimi giorni ha provato a convincere Eleonora Andreatta a lasciare RaiFiction per prendere le redini della rete ammiraglia. Ma la diretta interessata si è barricata. E allora è scattato il piano b. Diverso il discorso per Dallatana e Bignardi.
L’OBIETTIVO
La prima è stato un obiettivo della prima ora. Una delle fondatrici della società di produzione Magnolia, braccio destro per anni di Giorgio Gori, consulente Mediaset, grande esperta di format internazionali, quindi preziosissima per i mercati esteri. Eredita una rete rilanciata da Teodoli che può portare a ottimi livelli.
La Bignardi è la nomina che invece ha lasciato tutti di stucco. Che fosse renziana si sapeva (pure l’antagonista Andrea Salerno lo è), così come è ben nota l’amicizia con il premier e con il dg Campo Dall’Orto (fin dai tempi di La7). Tuttavia la sua scelta alla direzione di Raitre si presta a diverse interpretazioni.
Anche nel preconsiglio di ieri più di un consigliere ha espresso perplessità. La Bignardi è reduce da un anno sabbatico che è arrivato in seguito alla più brutta stagione del suo format “Le invasioni barbariche”, i cui ascolti in prima serata su La7 sono stati alquanto deludenti, al punto da non meritare la conferma.
TROPPI ESTERNI
Cambia anche il direttore di RaiSport. Con la nomina di un giornalista-scrittore come Gabriele Romagnoli in pratica Verdelli annuncia una rivoluzione. «Romagnoli è un ottimo scrittore prestato allo sport – spiega il consigliere Mazzuca – ma mi sembra una mossa un po’ azzardata. Non è facile immaginare Brera e Arpino alla guida di una redazione sportiva. Qualche dubbio mi resta».
LE REAZIONI
Altri tre direttori esterni che hanno scatenato al reazione del sindacato Usigrai: «Il dg ritiene che tra gli 11 mila dipendenti Rai non ci siano professionisti in grado di assumere ruoli di rilievo. Nei fatti una sonora sfiducia e delegittimazione di tutti i dipendenti della Rai. Se fossero veri i nomi anticipati dalle agenzie che domani saranno proposti dal Dg al Consiglio di Amministrazione, saremmo di fronte a un fatto grave».
La replica di Campo Dall’Orto non si è fatta attendere: «Queste nomine sono basate sul fondamentale principio del pluralismo culturale. Alcune persone sono state spostate perché fanno bene il loro mestiere e possono interpretare al meglio la missione dei vari pezzi del servizio pubblico e assicurargli un importante futuro».
Marco Castoro