Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2016  febbraio 17 Mercoledì calendario

DRONI, MOKA E ALLENAMENTO

Napoli è lontana. Innanzitutto geograficamente, perché Castel Volturno è un’oasi protetta a quaranta chilometri buoni dalla città. Questa distanza è anche diversità: se Napoli è il caos, gente e voci che si inseguono dovunque, Castel Voltuno, è un letto di cemento che si anima giusto all’ora di pranzo. Dentro il centro sportivo della Ssc Napoli, c’è un mondo che assomiglia a quello appena fuori. Si parla a voce bassa, ci si sorride il giusto. Come se tutto, in qualche modo, venga tenuto fuori dagli uffici e dai campi, dai luoghi della squadra e della società. Come è stato fatto con la città, del resto. Napoli è lontana.
S’è parlato molto dei metodi di allenamento di Sarri. Della tecnologia, della preparazione, della scienza. Qui, per una volta, si può vedere. Il campo predisposto per la seduta di allenamento non è attrezzato per il pubblico, e ci sono tanti palloni gialli oltre la linea laterale. Su un muretto basso, grigio, subito dopo il cancello di ingresso, sono messi uno accanto all’altro i rilevatori gps che indosseranno i calciatori. Maurizio Sarri arriva e subito dopo arrivano sul campo due uomini che trasportano due scatole grosse, nere, di quelle usate dai fotografi per portare il materiale in trasferta. L’allenatore del Napoli, per un po’, sparisce e lavora con loro nascosto da quelle custodie. Subito dopo arrivano i calciatori, che scherzano mentre entrano in campo. Quando sono tutti dentro, un uomo fa il percorso inverso. Indossa una tuta rossa con lo stemma del club, poco prima qualcuno dello staff l’ha chiamato “maestro”. Si avvicina e mi offre del caffè direttamente dalla moka che ha in mano, ed è l’unica volta in tutta la giornata che qualcuno parla in napoletano o ricordi in qualche modo la città partenopea. Napoli, ma solo in questo caso, non è poi così lontana.
L’allenamento comincia con un torello che chiarisce subito la sua natura: è un modo per scaldarsi, ma anche e soprattutto un gioco: tutti i calciatori urlano, applaudono, e cazzeggiano un po’. Quando riescono in qualche giocata più bella o più difficile, finiscono per abbracciarsi. C’è complicità, si sorride parecchio. Qualche esercizio atletico, poi l’abbozzo di una partitella. Sarri è ricomparso a centrocampo per organizzare il dieci contro dieci, e intanto gli uomini delle scatole hanno predisposto i droni al decollo. Uno di loro mi dirà che l’allenatore azzurro fa filmare dall’alto i momenti dell’allenamento in cui si cura la tattica. Vuole che tutto sia registrato, soprattutto nelle sedute in cui lavora sulla fase difensiva. Il suo compito è di pilotare il drone e scaricare il filmato su un pen drive, che poi consegnerà allo stesso Sarri. Mi dirà pure che quella di riprendere l’allenamento con questo sistema è una pratica in crescita, e che pure Conte, a Coverciano, la utilizza da un po’. Non ho modo di vedere i droni in azione, perché invitato a uscire dal campo poco prima dell’inizio delle esercitazioni tattiche. Ho giusto il tempo di capire che la partitella si gioca a due tocchi, che Higuaín per i compagni si chiama “Pipa”, e di vedere un tiro dello stesso Higuaín che finisce sulla traversa.
Dal momento in cui inizia la parte atletica, l’atmosfera diventa subito diversa. L’uomo con la moka, il maestro, è andato via da un po’. In campo nessuno cazzeggia più. Ogni scatto è un’esortazione a fare meglio il prossimo, è un «bravo Manolo!» urlato a Gabbiadini che ha indovinato la partenza dopo il saltello iniziale. Durante la partitella, tutti chiamano il passaggio o indicano, urlando, il movimento al compagno. Mentre lascio il campo e mi dirigo verso la sede, penso al «bravo Manolo!», ai droni e alla partitella. A un club che ha deciso di rappresentare Napoli in un luogo e in un modo così tanto lontani dai cliché e dai luoghi comuni sulla città. Il Napoli di oggi è figlio dei suoi tempi, vuole esserlo. L’ultimo Napoli in testa alla classifica è stato quello di Maradona, che non c’entra niente con questo. Almeno a vederlo da vicino.