Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2016  febbraio 17 Mercoledì calendario

QUESTIONE DI STILE


Oggi non se ne fanno più, di stelle come Robert Redford, icone che riescano a unire raffinatezza, intelletto e fascino rude. Da quando Butch Cassidy gli ha dato fama mondiale, gli uomini vogliono assomigliargli e le donne uscire con lui. Pur non avendo mai recitato in un film d’autore europeo né con grandi registi americani, Redford ha collezionato nel tempo una filmografia impressionante per la varietà dei ruoli. E anche degli stili: ha ispirato tendenze e guidato per anni interi movimenti stilistici, senza neppure doversi impegnare troppo.
La svolta è arrivata con A piedi nudi nel parco, in cui interpretava il ruolo di un avvocato conservatore di buona famiglia, sposato con Jane Fonda, uno spirito libero del West Village. Il suo look era già quello di un leccatissimo Mad Men, mezzo secolo prima che Mad Men apparisse in tv, e infinitamente più seduttivo di Don Draper. Da allora, in mezzo secolo di carriera, Redford ha lanciato diverse tendenze sartoriali, in una continua alternanza fra mondanità cittadina e asprezza del selvaggio West.
Con Il grande Gatsby del 1974, ha dato il via a un gigantesco revival degli Anni 20: camicie edoardiane con i colletti arrotondati, bretelle, berretti e capelli impomatati. Nella scena clou all’Hotel Plaza, nella torrida estate newyorkese, Daisy (interpretata da Mia Farrow) dice a Gatsby-Redford: «Jay, sei sempre così fresco». Nella stessa scena, nel remake di Baz Luhrmann del 2013, Leonardo DiCaprio appare invece sudato e scomposto.
Paradossalmente, il periodo della Grande Depressione è sempre stato un terreno fertile per Bob, il cui successo più grande nonché vincitore di sette Oscar – rimane La stangata del 1973, altra grande affermazione di stile: ogni grande magazzino d’Europa e d’America ordinò immediatamente decine di migliaia di borsalino e di abiti gessati da gangster. Un look, peraltro, sempre assai apprezzato dalle signore, e che io stesso ho seguito, comprando il primo di molti cappelli a tesa larga e varie giacche di gessato. Da giovane, in lana ruvida Huddersfield; più tardi, in cashmere, di Gianfranco Ferré.
Gli echi di Redford si sono sentiti di nuovo lo scorso dicembre, quando le tv di mezza Europa hanno celebrato il centenario della nascita di Frank Sinatra, giusto due settimane prima dei Golden Globes e dell’inizio della stagione losangelina dei premi, quando gli attori girano in smoking. Sinatra, in smoking su un palcoscenico, ci ha praticamente passato la vita, e pochi hanno saputo indossare cravatte nere meglio di “Ol’ Blue Eyes”. Eccetto il nostro Robert, naturalmente. Lo si è visto durante la proiezione di un concerto di Sinatra al Madison Square Garden: prima dello spettacolo, le telecamere hanno vagato per la sala inquadrando le celebrità, e lui era lì, bello come il sole, in smoking e papillon di velluto nero. Oggi, a 79 anni, il suo viso è segnato dalle rughe ma nobilitato dalla solennità, la stessa che lo rendeva irresistibile nel suo film forse più bello, La mia Africa, e che ha lanciato un’altra moda, fatta di un’eleganza coloniale tipicamente inglese un po’ sgualcita. Chi non avrebbe voluto essere Redford con quel cappello malconcio, le giacche di lino logore e le bretelle? La giacca da safari, che Yves Saint Laurent aveva reso celebre ridisegnandola per le donne, dopo il bacio fra Redford e Meryl Streep è diventata il massimo dello chic coloniale per gli uomini. Ma anche all’apice del romanticismo, Redford non mira a conquistare la ragazza: rimarrà sempre un sex symbol, disposto a sacrificare l’amore pur di essere fedele a se stesso, come ne Gli spericolati o in L’uomo che sussurrava ai cavalli.
È difficile da concepire oggi, in un’epoca in cui tanto giornalismo si riduce a seguire le vite delle star, per adularle o dileggiarle. Ma quando Redford si è rimboccato le maniche e ha allentato la cravatta per interpretare Bob Woodward in Tutti gli uomini del presidente – alla ricerca della verità sul Watergate – ha rappresentato il giornalismo al suo meglio, come una nobile lotta per resistere ai poteri forti e smascherarne la corruzione, ed è così che lo ricordiamo ancora.
Ma proprio quando pensavate di averle sentite tutte, in fatto di moda maschile, ecco spuntare l’ultima tribù di fusti sexy: i Lumbersexual. La loro estetica è fatta di virilità urbana: uomini di enorme successo che imitano il look dei taglialegna per guadagnarsi un alone di robusta mascolinità. Come sempre, a capeggiarli è Redford, nel pieno dei 70 anni, anche se le origini risalgono già al 1972, tra le Montagne Rocciose, in Corvo rosso non avrai il mio scalpo. Bob era un leggendario montanaro chiamato “Mangiafegato” Johnson, il primo di una lunga serie di cani sciolti che sfidano il potere e l’establishment interpretati nella sua carriera.
Per le madri che ci leggono, potete scoprire se vostro figlio è diventato un Lumbersexual dai tratti seguenti: barba arricciata, ma pettinata con cura meticolosa; camicie di flanella indossate con il colletto rigirato all’insù; vecchi modelli di jeans, con il risvolto alla caviglia; scarponi Danner o Timberland, meglio se usati. Nella nostra epoca ecologista, il Lumbersexual ha nostalgia dei tempi in cui l’uomo viveva dei frutti della terra. Pensate a un gangster del Midwest con aspirazioni sartoriali, un quasi gay tatuato che ama la vita all’aria aperta, come nella serie di culto Fargo.
La Mecca di questa nuova tribù è inevitabilmente il Sundance Film Festival, dove a gennaio alcuni idoli delle donne, come Ryan Reynolds e Chris Hemsworth, si sono presentati sotto la neve con camicie a quadri rosse e nere, di ottimo taglio ma ruvide il giusto, pantaloni attillati e stivali da lavoro malconci, il tutto coronato da barbe pettinate ad arte. Sempre badando all’accessorio fondamentale: un Hublot o un Rolex d’epoca, per far capire che non ci si guadagna da vivere con il duro lavoro manuale.
Il Lumbersexual rappresenta l’aspirazione a un maggiore individualismo, in un’epoca in cui gran parte degli uomini si sente estraniata dal potere. È l’incarnazione del tipo rude, anche se il monte più alto che scalerà saranno i quattro piani di scale che portano al suo loft sulla Bowery. Oggi, però, se il Principe Azzurro dei Lumbersexual è Ryan Gosling, nei panni di un motociclista mal rasato che dorme in un fienile in Come un tuono, il vero Re è solo Robert Redford.