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 2016  gennaio 07 Giovedì calendario

APPUNTI PER GAZZETTA - NUOVO CROLLO DELLE BORSE ASIATICHE


REPUBBLICA.IT
MILANO - Nuovo drammatico crollo delle Borse asiatiche che arrivano a perdere anche il 7%, facendo scattare il blocco automatico delle contrattazioni per la seconda volta in una settimana. E così mentre Shanghai lasciava sul parterre il 7% e Shenzen crollava dell’8,5%, gli scambi sono stati immediatamente fermati. Le autorità cinesi hanno deciso che sarà l’ultimo intervento, visto che il meccanismo rischia di alimentare ulteriore volatilità.
I mercati Ue hanno reagito con violente vendite nella mattinata, salvo poi recuperare con il petrolio nel pomeriggio. Piazza Affari ha chiuso così in ribasso, ma limitando le perdite all’1,14% e dopo esser scesa sotto 20mila punti, ai livelli di fine gennaio 2015. Londra ha limato l’1,96%, Francoforte il 2,29% e Parigi l’1,72%. Anche a Wall Street, dove i listini sono reduci da una giornata di ribassi, i mercati trattano in ribasso, ma in recupero: alla chiusura degli scambi europei, il Dow Jones cede l’1% come l’S&P 500, mentre il Nasdaq arretra dell’1,4%. Da segnalare l’avvio di 2016 da dimenticare per Apple, che ha perso 40 miliardi di dollari di capitalizzazione in pochi giorni.

A complicare inizialmente la situazione, inizialmente, ha contribuito la decisione della Banca centrale cinese di svalutare ancora lo yuan dello 0,51% nei confronti del dollaro, il livello più basso raggiunto dal 2011. La mossa è stata letta degli investitori, dietro il tentativo palese di Pechino di rilanciare l’export, come un segnale che l’economia cinese potrebbe rallentare più del previsto: di certo la volatilità della valuta orientale non aiuterà i rapporti con l’Occidente, a maggior ragione dopo che lo yuan è entrato nel paniere ufficiale del Fmi. In Asia, Hong Kong ha perso oltre il 3% e Tokyo il 2,33%, registrando la sua quarta seduta di fila in caduta decisa. A preoccupare gli addetti ai lavori, oltre alla debolezza della crescita economica mondiale, sono i venti di guerra che spirano dalla Corea del Nord con la minaccia atomica del paese che annuncia: "Abbiamo fatto esplodere una bomba H". Ad alimentare le tensioni contribuisce anche l’Iran con il governo di Teheran che ha vietato l’ingresso nel Paese di tutti i prodotti sauditi o provenienti dall’Arabia Saudita dopo l’interruzione delle relazioni diplomatiche tra i due paesi.

La situazione resta in ogni caso tesa su più fronti. Pechino ha varato una serie di misure per evitare il tracollo. L’ente regolatore del mercato di Borsa cinese ha annunciato nuove norme per limitare la capacità di vendita dei titoli del grandi azionisti cinesi a un massimo dell’1% del totale delle azioni di un’azienda. In questo mondo, i grandi azionisti (quelli che che detengono il 5% o più di un’azienda) non potranno liberarsi di oltre l’1% del totale nell’arco di tre mesi, e saranno anche obbligati ad annunciare al mercato i loro piani con almeno 15 giorni di anticipo. Queste regole, che entreranno in vigore da sabato, si applicheranno anche al mercato secondario.

La nuova decisione ha allungato il termine di una misura precedente, che sarebbe decaduta domani ed era tra le misure straordinarie prese dal governo per arginare l’ondata di vendite che, in pochi giorni, bruciò migliaia di miliardi di dollari e scosse i mercati mondiali. Secondo gli analisti, il crollo odierno (come quello di lunedì) si spiega proprio con la fine delle limitazioni imposte a luglio. L’estate scorsa, la ’Consob’ cinese aveva vietato ai grandi azionisti la vendita anche di una sola azione per sei mesi; scadendo domani quel termine, il mercato avrebbe reagito prevedendo una ripresa di vendite da parte dei grandi azionisti.

Intanto, la Banca Mondiale ha rivisto al ribasso il Pil: 2,9%, uno 0,4% in meno rispetto a quanto previsto. Pesa, secondo l’organismo centrale, il perdurare della crisi cinese che incide anche sul mercato del petrolio. Oggi i prezzi del greggio sono scesi ai minimi dal 2003, ma poi è tornato un po’ di sereno. Quando in Europa hanno chiuso gli scambi, a New York il Wti a febbraio aveva annullato le perdite e recuperato quota 32 dollari al barile, dopo essere arrivato fino a 32,10 dollari, minimi del dicembre 2003. Dinamica simile per il Brent, tornato a 34,2 dollari dopo sser scivolato fino a quota 32,16 dollari, minimi dell’aprile 2004. Per alcuni analisti la soglia dei 30 dollari non è più così lontana. Intanto il prezzo nel paniere di riferimento dell’Opec è sceso sotto i 30 dollari al barile per la prima volta dal 5 aprile 2004. In Arabia Saudita, il governo valuta la quotazione della compagnia petrolifera statale Aramco. Il crollo dei mercati ridà fiato al prezzo dell’oro, finito in affanno negli ultimi mesi per via del rialzo dei tassi Fed e l’apprezzamento del dollaro: il metallo con consegna immediata risale sopra la soglia dei 1.100 dollari l’oncia (+0,8% a 1.102,85).
Il petrolio vede i minimi dal 2003: pesano l’Iran e il rallentamento dell’economia mondiale
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L’euro ha chiuso in rialzo a 1,0835 dollari sulla scia dei positivi dati sul mercato del lavoro nel Vecchio continente. Aggiustamento per lo yen, che è arretrato a quota 118,18 sul dollaro e 128,14 sull’euro dopo il notevole rialzo segnato in apertura, con gli investitori in fuga dai mercati cinesi che si rifugiavano nell’affidabile valuta nipponica. Lo spread si è stabilizzato poco sopra quota 100 punti base con i Btp che rendono l’1,54% sul mercato secondario.

Sul fronte macroeconomico, la disoccupazione di novembre in Italia segna un calo all’11,3%. Continua a scendere, anche se con il contagocce, il tasso nella zona euro: a novembre era a quota 10,5%, dopo 10,6% a ottobre, al tasso più basso da ottobre 2011. Nella Ue il tasso di disoccupazione era al 9,1%, il più basso da luglio 2009. Sempre nella zona della moneta unica, le vendite al dettaglio sono diminuite dello 0,3% a novembre su ottobre, mentre sono salite dello 0,2% nella Ue a 28 membri. Negli Usa, le richieste di sussidi alla disoccupazione la scorsa settimana sono scese di 10.000 unità e quota 277.000. Il dato è sotto le attese degli analisti, che scommettevano su quota 275.000 (l’agenda dei mercati).

REPUBBLICA.IT
WASHINGTON - Nuova tegola per le già asfittiche prospettive delle economie mondiali. Nel giorno di un altro calo generalizzato delle Borse, la Banca Mondiale rivede al ribasso le stime per la crescita economica di quest’anno. Il Pil globale crescerà nel 2016 al 2,9% (0,4 punti in meno delle stime di giugno). A pesare soprattutto il rallentamento della Cina e delle economie emergenti. La situazione dovrebbe migliorare nel 2017, con un +3,1%. "Il rallentamento simultaneo dei quattro più grandi mercati emergenti, Brasile, Russia, Cina e Sud Africa - si legge nella nota - pone il rischio di effetti di ricaduta anche per il resto dei Paesi", spiega la Banca Mondiale. "L’economia globale dovrà adattarsi a un nuovo periodo di più modesta crescita nei paesi emergenti, caratterizzati dai prezzi bassi delle materie prime e dai flussi diminuiti di commercio e capitale". Nello specifico, l’economia dell’area euro crescerà dell’1,7%: identica stima - per Eurolandia - anche nell’anno successivo, il 2017. La ripresa "continua ma sarà fragile" sostenuta dalla politica monetaria, afferma la Banca Mondiale. L’economia cinese crescerà quest’anno del 6,7% a fronte del 7% stimato in precedenza, e del 6,5% il prossimo. Le revisioni di crescita sono ancora più drastiche per altri due paesi emergenti: il Brasile con un calo di 3,6 punti a una contrazione del 2,5% e la Russia, con 1,4 punti di caduta a uno 0,7% di contrazione. Entrambi i paesi sono stati martellati dal crollo dei prezzi delle
materie prime come il petrolio e i prodotti agricoli. Crescita ridimensionata, sia pure in modo lieve, per gli Stati Uniti: il pil americano salirà del 2,7% nel 2016, meno del 2,8% stimata.

LA DISOCCUPAZIONE CALA
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La disoccupazione cala all’11,3%: ai minimi da tre anni

Aumentano gli occupati, calano i senza lavoro, mentre restano stabili gli inattivi. In discesa anche la disoccupazione giovanile. Crescono i contratti a tempo indeterminato
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07 gennaio 2016
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La disoccupazione cala all’11,3%: ai minimi da tre anni
MILANO - Il tasso di disoccupazione a novembre 2015 si attesta all’11,3%, toccando i minimi da 3 anni, ovvero dal novembre del 2012. Lo mette nero su bianco l’Istat diffondendo i dati provvisori sul mercato del lavoro da cui emerge che le persone in cerca di occupazione sono 2.871.000 in calo di 48.000 unità su ottobre e di 479.000 unità su novembre 2014. Nel dettaglio, gli occupati sono cresciuti di 36.000 unità su ottobre (+0,2%) e di 206.000 su novembre 2014 (+0,9%) portando complessivamente i lavoratori a quota 22.480.000: un segnale in controtendenza dopo i due cali consecutivi di settembre e ottobre. Numeri che, per il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, dimostrano che "il Jobs Act funziona".

I disoccupati sono diminuiti su base tendenziale di 479.000 unità (-14,3%) mentre gli inattivi - coloro che non lavorano, ma neppure cercano un impiego, come gli scoraggiati - sono aumentati rispetto al 2014 di 138.000 unità , ma sono rimasti sostanzialmente stabili rispetto a ottobre quando, invece, erano aumentati rispetto a settembre. Il dato degli inattivi è particolarmente importante perché spesso ingloba ex disoccupati, i quali, scoraggiati, si trasformano in "inattivi" generando un calo del tasso di disoccupazione che però non si traduce in un aumento dell’occupazione.

Il tasso di disoccupazione, infatti, è un rapporto fra i disoccupati e il totale della forza lavoro (occupati+disoccupati). Il calo del rapporto, quindi, non sempre è positivo perché non tutti i disoccupati si trasforma non in occupati. A novembre, però, i dati Istat mostrano segnali in controtendenza e per questo positivi.

Qualche segnale positivo arriva anche dal fronte giovanile, dove la disoccupazione diminuisce di 1,2 punti percentuali su ottobre attestandosi al 38,1% e portando il dato dei giovani disoccupati tra i 15 e i 24 anni al punto più basso da giugno 2013. Nel trimestre settembre-novembre si registra un calo di 1,5 punti rispetto al trimestre precedente.

In particolare, la crescita dell’occupazione nel mese di novembre è determinata dall’aumento dei dipendenti a tempo indeterminato e degli indipendenti, mentre calano i dipendenti a termine. Lo rileva l’Istat spiegando che a novembre i dipendenti a tempo indeterminato sono cresciuti di 40.000 unità su ottobre (+0,3%) mentre quelli a termine sono diminuiti di 32.000 unità (-1,3%). Gli indipendenti registrano nell’ultimo mese un aumento dello 0,5% (+28.000). Su base annua i dipendenti a tempo indeterminato sono cresciuti di 141.000 unità (+106.000 quelli a termine).

Eurostat. Continua il trend in discesa della disoccupazione nell’Eurozona. Secondo Eurostat a novembre è stata del 10,5% (pari a 16,924 milioni di senza lavoro), un decimale di punto meno rispetto al mese precedente (10,6%). Nel novembre 2014 era all’11,5%. In discesa analoga anche il dato nella Ue a 28: 9,1% (22,159 milioni) rispetto a 9,2% di ottobre. La Germania al 4,5%, la Repubblica Ceca al 4,6% e Malta sono i paesi con il tasso di disoccupazione più basso. La Grecia col 24,6%, la Spagna col 21,4% e la Croazia col 16,6% quelli con la più alta percentuale di senza lavoro.

CIRCLE
Giugliano: "Mercati in crisi nonostante economia in ripresa: ecco perché"
Il profondo rosso delle borse mondiali - e il rodaggio delle autorità di controllo cinesi, ancora oscillanti sul blocco degli scambi - sembra in contraddizione con i tassi di crescita dell’economia reale, soprattutto europea. Nell’Eurozona la disoccupazione diminuisce e la fiducia dei consumatori aumenta, eppure le borse sembrano non fidarsi. Perché? Due le letture: i dati migliori si riferiscono a novembre, in futuro la ripresa rallenterà. Oppure i mercati non sono in grado di intercettare l’andamento nuovo, positivo anche se ancora debole.

RAMPINI
Sospensione delle quotazioni alla Borsa di Shanghai: è comprensibile come misura anti-panico, ma ha il fiato corto. A meno di chiudere la Borsa a tempo indeterminato... prima o poi ricomincia a scendere.
Quest’ultimo crollo è stato innescato dalla nuova svalutazione dello yuan quindi da una mossa dello stesso governo. Più che una svalutazione competitiva manovrata da Pechino per rilanciare l’export, lo scivolone dello yuan è la presa d’atto che dalla Cina continuano le fughe di capitali. Ma comunque il nuovo indebolimento della valuta cinese ha un forte impatto sul resto del mondo, vista la stazza economica della Repubblica Popolare e il suo ruolo nel commercio planetario. Si accentuano le tendenze che spingono ad una “guerra delle valute”, con i paesi emergenti che seguono l’esempio della Cina. L’eurozona perde almeno in parte i benefici della sua stessa svalutazione che è una delle conseguenze degli acquisti di bond da parte della Bce: l’euro rimane debole verso il dollaro ma non lo è verso i mercati emergenti.
Un altro aspetto negativo della svalutazione cinese, è quello politico e psicologico. Più la banca centrale di Pechino lascia cadere la sua moneta, più questo “tradisce” la paura dei leader cinesi che il rallentamento della crescita sia grave. La loro preoccupazione, diventa la nostra: si diffonde il timore che la frenata dall’Estremo Oriente sia più brutale del previsto. Non rassicurano neppure le misure prese da Pechino nei confronti della Borsa: acquisiti “politici” di titoli ad opera di banche pubbliche su direttive governative, provvedimenti amministrativi per la messa al bando della speculazione ribassista, esprimono un riflesso dirigista e anacronistico. Prendersela coi ribassisti è come mettere fuori legge il termometro perché non indichi la febbre alta. In quanto alle banche di Stato, hanno già dei bilanci appesantiti dai debiti incagliati senza aggiungerci prese di rischio in Borsa.