Raffaella Serini, Vanity Fair 6/1/2016, 6 gennaio 2016
LA MAGIA DEL SEDERE –
Poche persone al mondo possono stabilire con esattezza il momento in cui la loro infanzia è finita. Daniel Radcliffe è una di queste. «La prima volta che andai in Giappone a promuovere Harry Potter avevo 11 anni, e ad attendermi in aeroporto trovai qualcosa come cinquemila persone», mi racconta con la sua parlantina svelta, seduto in una suite d’albergo a Londra. «C’erano bambine che urlavano il mio nome, una la toccai per sbaglio e svenne. Per me, così piccolo, fu una cosa incredibile, folle. In quel preciso momento capii che la mia vita era cambiata, e che cosa significasse essere famoso».
«Essere famoso» significa che noi della (giovane) vita di Daniel Radcliffe sappiamo tutto o quasi. La sua adolescenza, tra il 2001 e il 2011, è trascorsa sotto i riflettori. E sul grande schermo, da un film di Harry Potter all’altro, lo abbiamo visto crescere e diventare uomo. Non solo per magia.
Radcliffe – attore britannico protagonista di una delle saghe cinematografiche più redditizie della storia, una svolta «impegnata» e nuda nel 2007 sul palcoscenico con Equus e qualche trascorso alcolico di troppo – oggi è un ragazzo affabile, che sfoggia una sicurezza quasi teatrale (la stretta di mano vigorosa, la voce impostata, la gentilezza di altri tempi). Ogni suo gesto sembra voler suggerire all’interlocutore, specie se giornalista, «visto? Non sono più il ragazzino occhialuto di Hogwarts»: il risultato è dimostra anche più dei suoi 26 anni.
Ci incontriamo a Londra per la promozione del film Victor - La storia segreta del dott. Frankenstein, ennesimo adattamento – un po’ fantasy, un po’ horror, un po’ thriller psicologico – del romanzo di Mary Shelley, che arriverà da noi ad aprile. James McAvoy è lo scienziato Victor Frankenstein, mentre Radcliffe, capello lungo e sguardo sensuale, è il suo assistente Igor. Un tipo piuttosto sexy, faccio notare. «Se lei un uomo con i capelli lunghi lo trova sexy…», ride Daniel, che nel frattempo ha dato un taglio al carré. E che, luminosissimi occhi blu a parte, sembra una copia inglese del nostro Giosada. Nelle foto esclusive che gli abbiamo scattato, la somiglianza è impressionante.
Che cos’ha di diverso questo Frankenstein dai tanti precedenti?
«È più incentrato sul rapporto tra Victor e Igor, si vede meno il mostro. All’inizio Igor è un emarginato e Victor, scorgendo in lui intelligenza e potenziale, decide di “salvarlo”. Per questo è un’amicizia sbilanciata: Igor sente di dovere la vita a Victor e non sa fino a che punto possa opporsi a lui, o criticarlo».
A lei capita di sentirsi così «dipendente» da qualcuno?
«Insieme con la mia ragazza (l’attrice Erin Darke, ndr), le persone che mi seguono nel lavoro sono quelle da cui più dipendo, dalla guardia del corpo all’assistente personale. Ci incontriamo tutti i giorni, sono loro “il mio ufficio”. E soprattutto sono miei amici, mica solo un entourage. Senza di loro sarei perduto, non avrei il senso di chi sono».
E i suoi genitori?
«Mia madre e mio padre sono lì da sempre e mi danno un senso di stabilità. Vede, prima le parlavo di quella volta in Giappone: chiunque ne sarebbe uscito “traumatizzato” e invece loro, entrati in macchina, non facevano che ridere e scherzare, cercando di sdrammatizzare la situazione. Se in quella circostanza avessero reagito diversamente, mostrandosi spaventati anziché divertiti, io non avrei avuto la forza di affrontare tutto quello che è avvenuto».
Dell’Italia ha ricordi così folli?
«Purtroppo non siamo mai stati in Italia per promuovere Harry Potter. E chiedo scusa per questo! In quegli anni sono venuto da voi solo una volta, a Venezia, ma ero in vacanza e nessuno lo sapeva».
A Venezia ci siamo visti anche un paio di anni fa durante la Mostra del Cinema, per il film Kill Your Darlings su Allen Ginsberg.
«Per la ressa non riuscivo neanche ad andare in bagno. Italia, Giappone, Messico: non ci sono altri posti al mondo in cui i fan mostrano con così tanta intensità l’amore per qualcuno o qualcosa».
Perché era così amato Harry Potter?
«Ogni film è stato migliore del precedente, e l’ultimo è stato il migliore in assoluto. È la cura con cui sono stati prodotti che ha fatto la differenza: i film incassavano tanti soldi, ma altrettanti ne venivano spesi per farli. Oggi molti produttori di franchise, nel momento in cui scoprono che una saga funziona, pensano che il pubblico la andrà a vedere lo stesso, e non investono per migliorarla».
Oggi da Harry Potter trarrebbero una serie Tv. A lei piacciono?
«Non riesco a stare incollato davanti alla Tv tutto quel tempo. La mia ragazza invece le guarda un po’ tutte, da Mad Men a Breaking Bad. Ma come si fa a seguire sette stagioni da dieci episodi di un’ora l’uno? È come chiedere a qualcuno “guarderesti 40 film con me?”. Mi sono anche arrivate delle offerte, ma io sono già stato impegnato fin troppo tempo su un progetto solo: preferisco variare».
Da tre anni è coinvolto anche in un «progetto sentimentale» a lunga distanza.
«Erin vive a New York e io ancora a Londra. Ma quando sono in America conviviamo, anche se purtroppo non così a lungo per dire “viviamo insieme”».
In compenso vi fotografano spesso mentre vi allenate: siete così fissati con la forma fisica?
«In effetti da quando sto con lei ho messo su un po’ di muscoli (ride). La verità è che, da quando siamo usciti allo scoperto (la storia è rimasta segreta per più di un anno, ndr), non possiamo andare a fare la spesa o uscire a prenderci un gelato senza trovare paparazzi. Non è che ci alleniamo tanto: è che, quando lo facciamo, veniamo sempre fotografati».
Qualcuno dirà che fa parte del gioco.
«È il suo lato oscuro. Qualche tempo fa ho visto su un giornale una foto di Jennifer Garner con la figlia, e il titolo era “Jennifer e sua figlia con gli stessi occhiali da sole”. E allora? Al di là che non erano nemmeno identici, perché uno era nero e l’altro viola, che senso ha? Nessuno, solo che senza una storia sul niente quella sarebbe stata solo la foto di un bambino. È l’aspetto “porno” del mio lavoro».
Confessi: non googla mai il suo nome?
«Mai. La maggior parte della gente che commenta gli articoli online non ha nulla da dire, ma siccome Internet glielo consente, si esprime lo stesso. E io, per la mia sanità mentale, preferisco non leggere che cosa hanno da dire su di me».
Se Erin le chiedesse di trasferirsi a New York?
«Vivere là mi piacerebbe moltissimo, e un giorno lo farò. Ma è complicato, per via dei permessi di soggiorno».
Per facilitare la cosa dovreste sposarvi.
«Ah già, non ci avevo pensato (ride)».
Credo di dovermi complimentare con lei per il titolo di «Miglior sedere del Regno Unito 2015». Se l’è aggiudicato battendo persino Mister 50 sfumature, Jamie Dornan!
«Lei e la collega che mi ha intervistato prima avete fatto la stessa cosa: un’intervista con domande molto intelligenti e questa per ultima... A comunicarmi la “vittoria” è stata la mia fidanzata, che mi ha mandato un messaggio sul telefono, sfottendomi. Io lo trovo solo un po’ strano: quest’anno non ho mai mostrato il mio sedere! Però sono grato a quelli che lo hanno votato, e sarei lusingato se mi candidassero ancora il prossimo anno».