Stefano Andreoli, Linus 1/2016, 7 gennaio 2016
GIANCARLO MAGALLI E L’INDOTTO GERIATRICO
Spiegatore di digitale terrestre a uomini anziani: questo, tra il 2008 e il 2012, è stato il mio lavoro. Ricordo con nostalgia quei tempi: si guadagnava bene, a patto di saperlo fare. E io lo sapevo fare. Bastava presentarsi in un ufficio postale qualunque giorno intorno alle otto del mattino, prendere un numero a caso fingendo di essere in attesa e intanto orecchiare le conversazioni delle nonnine in coda. “Eh, mio nipote mi ha messo il decoder, ma non ci si capisce niente, ci sono due telecomandi, lui non ha tempo di venire”. E qui, con discrezione, entravo in scena. Mi presentavo come disoccupato, con due bambini a carico – fondamentale la storia strappalacrime – offrendomi di dare una mano a risintonizzare l’apparecchio. Dopo qualche resistenza le vecchiette, in astinenza da Magalli, accettavano tutte. “Se abita in zona posso passare anche stamattina”. Abitavano sempre in zona, e in mezz’oretta mi mettevo in tasca venti euro facili, o anche più.
Certo, ci voleva pazienza: perché gli anziani, si sa, non capiscono un cazzo e anche quando ti assicurano di aver capito tu non sai mai se è vero o se lo fanno per la vergogna di essere anziani, e quindi inevitabilmente rincoglioniti. Certo, a quel punto non era più un problema mio, ma l’etica m’imponeva di svolgere al meglio il mio compito: per questo, quando sospettavo che non fosse tutto chiaro, chiedevo loro di ripetere, e anche se mi chiamerete sadico sappiate che non provavo un briciolo di gioia a umiliare i poveretti, costringendoli a biascicare frasi senza senso. Alcuni di questi vecchi di merda pretendevano anche un promemoria con le istruzioni scritte (“Così, per sicurezza, se mi scordo” – e certo che ti scordi, rintronato) che io scrivevo di mio pugno su un blocco di fogli quadrettati dietro modico sovrapprezzo. E insomma, nelle giornate buone tiravo su anche due o trecento euro, e ora che i tempi sono cambiati e pure mia nonna sa usare Spotify (no, scherzo, è morta) quel periodo un po’ lo rimpiango.
Perché questa storia degli anziani che sarebbero un peso per la società, una zavorra, un capestro che impedisce al Paese di galoppare verso la ripresa, ecco, questa storia secondo me è una scemenza bella e buona.
Certo, bisogna saper affrontare la questione nel modo giusto: guardando solo i freddi numeri – spese di previdenza, assistenza sociale, cateteri, anticoagulanti e così via – gli anziani sono indubbiamente dei parassiti che meriterebbero di essere sterminati mediante decreto ministeriale. Ma se ci lasciassimo tentare da questa facile soluzione (impraticabile, ancorché risolutiva, per ragioni di costi e di opportunità politica) tralasceremmo completamente il lato umano del problema anziani. Non dobbiamo dimenticare mai che anche loro, una volta, sono stati persone e meritano per questo tutta la nostra considerazione.
Perché gli anziani sono, innanzitutto, risorse. Da quando questi stronzi hanno smesso di fidarsi delle banche (chiamali scemi) esiste un indotto incalcolabile intorno all’universo geriatrico, un capitale immobilizzato che, una volta rimesso in circolo, potrebbe risanare qualsiasi Paese. Certo, per liberare i bigliettoni da 500 da quei materassi e quelle zuccheriere bisogna innanzitutto conquistare la fiducia del soggetto, e qui servono talento e abnegazione. Oggi, si sa, nessuno ti regala nulla: per fare quel salto di qualità che a me è mancato (da quando mi hanno assunto in RAI non ho più tempo) devi inventarti ogni giorno storie nuove per ottenere attenzione, e poi ascolto, e poi simpatia e infine una mano tesa – tremante e insieme speranzosa – che ti affiderà i risparmi di una vita per la tua inesistente Onlus, o fondazione, o diocesi.
Truffe, le chiamerete. Esagerati. Come se stringersi intorno a un parente anziano negli ultimi mesi della sua vita sperando di incrementare la propria fetta di eredità sia una pratica più nobile; come se partecipare a pranzi domenicali sempre più penosi e svogliati vi sollevi dal senso di colpa per la disattenzione e la superficialità con cui trattate chi vi ha messi al mondo.
Per questo esistiamo noi, e – lasciatemelo dire – ne sono fiero. Siamo rimasti gli unici a dedicare il nostro tempo a perfetti estranei, a cercare empatia con chi da troppo tempo si sente emarginato. Noi regaliamo speranza a chi l’ha persa, e non importa se sono illusioni: sempre meglio del nulla in cui avete lasciato a galleggiare i vostri cari.
Si sentono così soli che spesso si lasciano truffare solo per solitudine: sanno che, regalando 5000 euro al tizio che ha citofonato vestito da Cardinal Bertone, otterranno molto più di quanto stanno perdendo. Sanno benissimo che costui è un truffatore, ma vogliono lasciarsi fregare. Non aspettano altro che lasciarsi cullare dall’ondata di solidarietà del vicinato, sognano una troupe di Studio Aperto a cui mostrare le foto del povero marito, un bel servizio con sottofondo di pianoforte e chissà, magari un’ospitata a gettone dalla D’Urso o ai Fatti vostri. Sperano che i parenti, ormai lontani, vedendo le lacrime sul teleschermo tornino a farsi vivi. E questi lo faranno, e saranno abbracci e pianti come da tempo non se ne vedevano tra quelle pareti, anche se in cuor loro i parenti pensano che avrebbero fatto meglio a internarla, quella vecchia rincoglionita.
E magari qualche nipote drogato coglierà l’occasione per trattenersi un po’ di più, e chiedere per curiosità se in casa ci sono altri soldi, e tra un sorso di tè e una caramella Rossana offrirsi di custodirli in un posto sicuro, e all’ennesima risposta negativa fracassare il bollitore di ghisa in testa alla nonna, finendola a calci dopo essersi fatto rivelare il nascondiglio del denaro.
Questi sono i criminali, non noi. Nipoti che accecati dall’avidità non si fanno scrupolo di massacrare il nonno e la nonna, o magari entrambi, per soldi che avrebbero comunque ereditato di lì a poco. Perché, se uccidere i genitori rappresenta senza dubbio un atto crudele, uccidere i nonni è più che altro sintomo di impazienza.
Stefano Andreoli (SPINOZA.IT)