Fabia Fleri, Pagina99 2/1/2016, 2 gennaio 2016
E L’OVETTO SI FECE SPIRITO
È nato prima l’ovetto sbattuto o lo zabaione? L’origine di quest’ultimo è talmente antica che verrebbe da chiedersi se l’intuizione di unire la cremina gialla di tuorli d’uovo e zucchero con un po’ di vino liquoroso non sia stata immediata come quella di far girare la ruota una volta inventata.
Narra però la leggenda che nel 1563, Pasquale Baylón, futuro santo e patrono di cuochi e pasticcieri, stesse tentando invano di montare le uova con lo zucchero nella cucina del convento di San Tommaso a Torino; dopo l’ennesimo tentativo andato a vuoto, ebbe l’idea di aggiungere alla crema una piccola quantità di vino dolce, e nacque così questa squisitezza, che dal suo inventore prese nome. Si narra pure che il caro frate la consigliasse a tutte le donne che si crucciavano delle inadeguatezze del marito nel talamo nuziale, e che così la fama del prodigioso dolce, ieri e oggi particolarmente apprezzato nei giorni più freddi dell’anno, si accrebbe ulteriormente.
Molte sono in effetti le leggende sull’origine dello zabaione. Certa è invece quella del Vov, il liquore all’uovo di cui più di 150 anni fa venne per la prima volta intrapresa la produzione a livello industriale. Lo zabaione confortante nacque da un eccesso di economia domestica: nel 1845 il pasticciere padovano Gian Battista Pezziol non voleva sprecare i tuorli delle uova, avendone usato gli albumi per confezionare i torroni, e li unì quindi al Marsala.
Il suo liquore fu poi venduto in Italia come potente ricostituente, rigenerante, al punto che durante la seconda guerra mondiale veniva distribuito alle truppe al fronte in cartoni impermeabilizzati, e denominato Vav2 (Vino Alimento Vigoroso). I quaderni dei piccoli balilla oltre alle citazioni del Duce contenevano le pubblicità delle gomme Pirelli e del Vov, e i futuristi Marcello Nizzoli, Aldo Mazza e Quirino De Giorgio lo immortalavano nella cartellonistica tipica di quegli anni, razionale e cubista. Il prestante gallo Arturo negli slogan pubblicitari metteva l’accento sull’alto contenuto di uova, che prima della crociata anni ’80 contro il colesterolo erano ancora ritenute un toccasana. In uno dei suoi sketch Benigni ricorda che il Vov lo prendevano quelli che «avevano appena fatto all’amore, avevano trombato, quella era la ricarica», e del resto le uova crude hanno sempre fatto pensare al maschio forzuto anche se un po’ rustico: si pensi a Rocky nell’immortale sequenza in cui, ancora insonnolito tracanna stoicamente cinque uova appena rovesciate nel bicchiere prima di iniziare l’allenamento su per la scalinata del museo di Philadelphia (è quella scena che gli valse l’Oscar come miglior film?). O pensiamo al nostrano ciclista varesino Alfredo Binda che nel 1926 vinse il podio del Giro di Lombardia mangiando una trentina di uova durante la corsa (c’è chi dice 28, chi 34).
Oggi il consumo maggiore del liquore si riscontra in alta quota, nei rifugi di montagna, dov’è l’ingrediente base per gli energetici bombardini, essenziali per riscaldarsi al volo e affrontare rinvigoriti le piste innevate.
La Molinari, dopo aver acquistato l’azienda nel 2012, ha deciso quest’anno di esportarne il prodotto in America, nonostante lì sia ben radicata la tradizione dell’eggnog, bevanda molto simile (con l’aggiunta di latte e il brandy come alcolico) che fa capolino nelle occasioni di festa invernali. L’eggnog è anche stato protagonista di una delle più grandiose sbronze della storia americana, The Eggnog Riot: nel 1826 alcuni cadetti dell’accademia militare di West Point, nonostante la proibizione del sovrintendente Colonnello Sylvanus Thayer di introdurre alcolici nel campus, decisero di organizzare un magnifico party a base di home-made eggnog, il cui consumo li portò ad assalire due ufficiali, devastare parte delle caserme e rompere diverse finestre. Diciannove cadetti furono poi giudicati dalla Corte Marziale e undici di loro espulsi. Per quanto quindi il liquore all’uovo possa far pensare più a un pacifico e innocuo goccetto da assaporare tra una tombola e un mercante in fiera, in passato al di là dell’oceano è stato simbolo di rivolta e sregolatezza.
Del resto, i parenti stranieri dello zabaione sono tanti: c’è il rompope messicano che impiega il rum, seguendo anche la variante proposta dal nostro Artusi («Se lo desiderate piu spiritoso», dice), e l’advocaat olandese, quello che viene rovesciato sulla giacca di un allucinato Jack nella golden room in Shining.
Senza contare che in patria il Vov dagli anni ‘50 in poi fu impegnato in una costante lotta contro il suo temibile avversario, lo Zabov, che si presentò da subito in una veste più accattivante, in una bottiglia di vetro trasparente, per permettere all’acquirente di vederne il contenuto (quella del Vov invece è sempre stata bianca, prima in vetro smaltato opaco, e ora coperta da uno strato di plastica) e il Marsala fu sostituito dallo straniero e per quei tempi più cool – brandy; infine, il contenuto alcolico minore -15 gradi a fronte dei 17,8 del Vov – lo rendevano un prodotto più gradito a chi desiderava restare leggero. Ancora oggi la competizione tra i due zabaioni alcolici è feroce, e i locali propongono tornei in cui l’esito non è mai scontato.
In ogni caso, il gusto per i drink dal sapore antico è tornato di moda, e se l’estate scorsa impazzava il Moscow Mule, cocktail statunitense popolare negli anni ‘50, ora è la cara vecchia crema liquorosa all’uovo il trend del momento. Con la panna, nel caffè, sopra il gelato in estate o semplicemente scaldato in un pentolino quando fa freddo, nessuna esitazione: in fin dei conti, è una bevanda che (forse) ha inventato un santo, male non può fare.