Nicla Panciera, La Stampa TuttoScienze 6/1/2016, 6 gennaio 2016
GLI SCIMPANZE’ NON RIDONO E I DELFINI NON SORRIDONO. TUTTI GLI EQUIVOCI TRA NOI E GLI ANIMALI
Gli elefanti tornano a visitare ossa e zanne di parenti morti e si agitano, se incontrano i resti di un altro elefante. I corvi schiamazzano alla vista di una carcassa di un loro simile. Si tratta di forme rudimentali di culto dei morti? E quanto a un animale a noi più familiare, il cane, è plausibile che corra sotto il tavolo quando sa di averla combinata grossa? Le cose stanno davvero così?
Tanti sono i fraintendimenti che caratterizzano le nostre interazioni con gli altri animali. Nonostante la conoscenze dell’etologia, infatti, in molti casi non sappiamo neppure dire se di vero malinteso si tratta. Gli animali sociali, in particolare noi umani, sono programmati per pensare in termini di intenzioni: nelle nuvole vediamo un drago e nel fulmine l’intervento di un dio arrabbiato. «Attribuire scopi agli oggetti che incontriamo nel mondo, trattandoli come “agenti” piuttosto che come entità inerti, offre importanti vantaggi evolutivi. Ritenere un fruscio nel bosco come prodotto dal vento anziché da un predatore può essere fatale. Meglio, quindi, correre il rischio di essere impauriti per un nonnulla che diventare il pasto di qualche predatore - spiega il neuroscienziato Giorgio Vallortigara, autore con la biologa Lisa Vozza di “Piccoli equivoci tra noi e gli altri animali”, edito da Zanichelli -. La tendenza a vedere ovunque intenzioni e significati, però, ha riempito il nostro mondo psicologico di agenti invisibili, come spiriti, angeli e alieni, intenti a ordire piani e complotti».
Questa stessa predisposizione scatta quando interagiamo con le altre specie, di cui «spesso sovra-interpretiamo e antropomorfizziamo i comportamenti». Così ci accade di vedere un sorriso nel ghigno di uno scimpanzé che, spaventato, mostra i denti. O di scorgere il sonno nello sbadiglio del babbuino, che minaccia i compagni. Ma i malintesi riguardano anche i 60 milioni di animali domestici che abitano le nostre case: attribuire loro sentimenti umani è azzardato, tanto maggiore è la distanza evolutiva con noi. Dopotutto, nemmeno dei nostri simili possiamo con certezza conoscere le esperienze: dobbiamo fidarci di quanto vediamo e di quanto loro giurano di provare.
Così i miti da sfatare sono davvero molti. Le pecore, animali non noti per le loro capacità, riescono invece a tenere a mente per più di due anni 50 musi di «compagni» non incontrati per un po’. E, se vi stupisce il fatto che un neonato veda dei visi in abbozzi con due macchie al posto degli occhi e una al posto della bocca, pensate che anche i pulcini vengono al mondo con un’idea generale di com’è fatta una faccia. E ancora: chi non ha mai provato tenerezza per il koala abbracciato al ramo del bamboo? Ma non di pigrizia si tratta, semmai della ricerca di refrigerio di un animale incapace di sudare. Contrariamente alla sua fama di animale poco sociale, poi, l’orso sa farsi degli amici quando è spinto da esigenze alimentari, servendosi di posture, odori e versi, oltre che movimenti delle orecchie. E non solo non è vero che il delfino sorride, ma il detto «glielo si legge in faccia», riferito al gatto, proprio non funziona, perché gli animali sono perlopiù sprovvisti dei muscoli facciali che negli umani trasmettono le emozioni.
Spesso gli errori di interpretazione sono il frutto del nostro egocentrismo e di una diffusa ignoranza (nonostante le tante conoscenze accumulate sugli altri animali), eppure possono rivelarsi decisivi quando decidiamo la sorte di tante specie nei corridoi di casa, negli allevamenti oppure nei laboratori di ricerca. «Con molti animali abbiamo perso familiarità e dimestichezza, anche con galline, conigli e altri animali dell’aia con cui abbiamo vissuto per qualche millennio», spiega Lisa Vozza. Anche questo spiega le nostre difficoltà cognitive e sta all’origine di interpretazioni ambigue del comportamento animale che, comunque, «sono la prova di un cervello flessibile, che piega la realtà ai propri bisogni: distorcendo il mondo là fuori, noi umani sopravviviamo a (quasi) tutte le circostanze. A costo di generare equivoci e illusioni, di cadere in incoerenze e contraddizioni di cui siamo raramente consapevoli - confessa la biologa -. Gli altri animali sono uno specchio rivelatore dei nostri equivoci e della nostra forza».