Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2016  gennaio 06 Mercoledì calendario

LE RAGIONI DEI CROLLI PARTONO DALLA PROVINCIA

Il vento non sa leggere è il titolo di un romanzo (e di un film) di successo degli anni della guerra di Corea, titolo che ben si addice all’andamento dei mercati asiatici, specialmente di quello cinese.
Dallo scorso agosto la Cina è passata dall’essere una ’speranza’ all’essere una mina vagante. Numerosi operatori e commentatori si sono illusi che la manipolazione del cambio sarebbe stata un paracadute per un atterraggio morbido. Ebbene: i nodi vengono da lontano. Una ricerca, disponibile unicamente in versione preliminare, fatta da un team di economisti russi che lavorano presso università occidentali – Anton Cheremukhin (Federal Reserve Bank di Dallas), Mikhail Golosov (Massachusetts Institute of Tehnology), Sergei M. Gurien (Science Po) e Aleh Tsyvinski ( Yale University) – studia la crescita e la trasformazione strutturale della Cina dal 1953. Il periodo precedente alle riforme del 1978 (le quattro modernizzazioni) viene utilizzato come metro per valutare il successo delle riforme medesime.
In breve, le riforme del 1978 hanno avuto effetti significativi in termini di crescita e di trasformazione: il tasso di aumento del Pil, ad esempio, è di 4,8 punti percentuali l’anno superiore al periodo precedente le riforme. E la proporzione della forza lavoro in agricoltura è del 24% inferiore. Lo slancio si sta esaurendo. La riduzione della popolazione agricola ha comportato fortissimi investimenti nelle province industriali attorno a Pechino e a Shangai, nonché nel Sud, specie nell’edilizia (5,6 miliardi metri quadri: a titolo di raffronto l’Italia ha una superficie totale di 301.340 km quadrati). L’edilizia ha rendimenti molto differiti nel tempo, ma, per coprire i costi, si sarebbe dovuto vendere gli appartamenti mediamente a un prezzo di 100.000 dollari l’uno, mentre nelle stesse zone industriali il reddito medio delle famiglie raggiunge a stento i 10.000 dollari annui. Per questa ragione chi va in Cina attraversa molto spesso città fantasma, nuovissime e disabitate. Non solo: gli investimenti industriali hanno fruttato molto meno del previsto a ragione dell’inadeguata esperienza dei manager (spesso scelti sulla base di criteri politico-familiari). Quindi, le province che avrebbero dovuto crescere più velocemente sono diventate una palla al piede. Come sempre la Borsa rispecchia l’economia reale.
Ove ciò non bastasse, non solo in Cina (dove il sistema bancario è ancora primitivo), ma anche nel resto del Continente la vigilanza bancaria lascia a desiderare. Uno studio della Banca Asiatica per lo Sviluppo, distribuito proprio il 4 gennaio (working paper No. 443 di Michael J. Zamorri e Minsoo Lee) mette a nudo i ritardi nella normativa bancaria specialmente in materia di vigilanza: rari e spesso superficiali i controlli in loco, poca dimestichezza con l’analisi di rischio. Il documento contiene raccomandazioni, ma il Consiglio della Banca asiatica può solo farle proprie. Sta alle autorità nazionali attuarle: più o meno bene e secondo i loro vincoli culturali. Il vento non sa leggere, ma può diventare molto forte. È consigliabile pertanto tenersi ben saldi.