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 2016  gennaio 06 Mercoledì calendario

I PIANI DI RIAD: PRIVATIZZAZIONI E AIUTI ALLE IMPRESE

L’Arabia Saudita non gode di una buona stampa ed è comprensibile, non solo per le ultime 47 pene di morte: un sistema chiuso, apparentemente irriformabile; un’economia controllata dallo Stato, cioè dai 7mila principi di casa reale; una ricchezza petrolifera garantita dalla natura e usata per sostenere il consenso interno e le ambizioni regionali della monarchia.
L’Iran gode di un’opinione generale migliore. Eppure anche a Teheran s’impiccano gli oppositori, la fede è usata come una clava, la democrazia è leggermente migliore di quanto non sia a Riad. E l’Iran persegue le sue ambizioni geopolitiche con pari cinismo dei sauditi. Ma la differenza sostanziale è l’economia. Mentre l’Arabia Saudita resta un Paese istintivamente refrattario al mercato quando non è l’Arabia Saudita a farlo, la riduzione delle sanzioni dopo l’accordo sul nucleare ha trasformato l’Iran in una nuova meta economica. Come scrive Eugenio D’Auria, ex ambasciatore a Riad, a proposito degli scarsi investimenti italiani in Arabia Saudita, «ciò che manca è la continuità di azione e di presenza che soltanto un sistema Paese pienamente efficace e operativo può garantire» (“Veli d’Arabia”, Università Bocconi). E da parte saudita manca un sistema più aperto.
È a questo che vuole dare risposta un rapporto confidenziale di sostegno al bilancio della settimana scorsa. Per la prima volta il bilancio «offre al regno una roadmap per una robusta economia fondata sulla diversificazione del reddito, la diminuzione dell’affidamento al petrolio, il taglio delle spese», spiega il documento approvato dal principe Mohammed Bin Salman. MBS, come viene chiamato, è il figlio prediletto di re Salman, il vice principe ereditario, il ministro della Difesa più giovane del mondo, il presidente del Consiglio per gli affari economici e dello sviluppo, il capo del Consiglio supremo di Saudi Aramco, la compagnia petrolifera nazionale. All’età non certa fra i 29 e i 32 anni, MBS ha un potere secondo solo a quello del re ottantenne.
Già nel nuovo bilancio si prevede un reddito non petrolifero da 36,4 miliardi di dollari, un aumento del 29 per cento. Ma il greggio continua a garantire il 90% della ricchezza saudita e l’87% delle esportazioni. Il rapporto indica la necessità di «abbracciare un insieme di politiche e procedure intese a conseguire ampie riforme strutturali e a ridurre la sua dipendenza dal petrolio; queste misure, che saranno attuate nei prossimi cinque anni includono: la privatizzazione di un insieme di settori e di attività economiche; il superamento degli ostacoli legislativi, regolatori e burocratici nel settore privato; la riforma e lo sviluppo delle prestazioni del governo; il miglioramento dei livelli di trasparenza e responsabilità; l’accrescimento delle condizioni per gli investimenti, contribuendo alla creazione di nuovi posti di lavoro nel settore privato, provvedendo la collaborazione fra settore pubblico e privato, accrescendo la competitività economica e l’integrazione con l’economia globale».
Come ministro della Difesa (il bilancio prevede che il 26% delle spese sia destinato alla Difesa) Mohammed Bin Salman è il titolare della difficile guerra nello Yemen. Ma la sua responsabilità maggiore riguarda le riforme economiche. «È un giovane uomo che va a 250 chilometri l’ora», spiega un suo collaboratore. La metà dei 18 milioni di sauditi (più 8 milioni di lavoratori stranieri) ha meno di 26 anni. E due terzi della popolazione maschile lavora per lo Stato. Nel precedente bilancio le spese per i salari e i benefici superavano il 50% del totale della spesa pubblica: quasi 12 miliardi di dollari. È troppo anche per il primo Paese petrolifero al mondo, aggiungendo che il 50% della popolazione, le donne, praticamente non produce reddito.
I tagli alla spesa e ai sussidi previsti dal bilancio, dice ancora il rapporto, «non incideranno sulla vasta maggioranza del popolo saudita. Colpiranno solo chi è interessato a continuare i suoi elevati consumi». È un’argomentazione piuttosto severa e coraggiosa, riguardo a quei benefici che fino a poco tempo fa garantivano il consenso popolare. Ma MBS è fiducioso che austerità e riforme potranno essere sopportate in un Paese con riserve valutarie e asset internazionali di circa 650 miliardi di dollari (sebbene sia il livello più basso in cinque anni) e un surplus fiscale di 400 miliardi.