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 2016  gennaio 02 Sabato calendario

DA QUI ALL’EREDITÀ

Meno 110.125. Bilancio italiano in rosso, e stavolta non si parla di economia. Da gennaio ad agosto del 2015, la popolazione italiana è diminuita. È la prima volta che accade da un secolo. I dati sono ancora provvisori, ma con tutta probabilità l’anno appena passato segna una svolta storica. La demografia italiana imbocca la strada discendente.
Pesa un aumento anomalo dei decessi, sulle cui cause il mondo scientifico e quello politico discutono: influenza killer, grande freddo e grande caldo, tagli alle cure, sono diversi i fattori che possono aver colpito gli anziani. Ma pesa anche, e in modo più strutturale, la fine dell’effetto-stranieri. Si riducono i nuovi ingressi, vanno via molti immigrati, anche le donne straniere fanno meno figli. Questi i dati del bilancio demografico dell’Istat, che contano mese per mese i residenti che spariscono e quelli che arrivano. I numeri di una decrescita poco felice.
L’onda lunga delle ristrettezze economiche. I tagli alla sanità e alla prevenzione. Il grande freddo e il grande caldo. L’influenza, e la nuova psicosi anti-vaccini. Fino allo smog, come ha detto Grillo facendo due più due sui titoli dei giornali. I sospetti killer del 2015, quelli che hanno portato nella prima metà dell’anno a un picco anomalo dei decessi su suolo italiano, potrebbero avere vari moventi: economici, climatici, medici, contabili. Ma mentre la discussione si infiammava, e non sempre con cognizione di causa, è rimasto nell’ombra un altro dato demografico dell’anno, che porta con sé una clamorosa inversione di rotta: per la prima volta da quasi un secolo cala il numero complessivo dei residenti sul suolo italiano.
Il declino è iniziato a gennaio 2015 ed è proseguito senza interruzioni. Salvo improbabili recuperi dell’ultim’ora, siamo di fronte al primo bilancio demografico in rosso dall’anno 1919. Dovuto a tre fattori: più morti, meno nascite e – soprattutto – meno stranieri. Proprio mentre sale, sul mercato della politica, la paura dell’invasione, gli invasori se ne vanno: e con loro il contributo positivo che hanno portato alla bilancia demografica italiana da 30 anni in qua.

L’aumento dei decessi
«Qui sta succedendo qualcosa». La demografia è una scienza lunga, che ha bisogno di tempo per incamerare, elaborare e digerire i numeri. Ma Gian Carlo Blangiardo, demografo dell’università di Milano Bicocca, pensa che stavolta ci sia più di un indizio per suonare subito un campanello d’allarme. Nei primi otto mesi dell’anno che abbiamo appena salutato, ci sono stati 45.121 morti in più rispetto allo stesso periodo del 2014. Non sono pochi: in termini percentuali, l’aumento è superiore al 10%. Certo, il bilancio, benché triste, non è definitivo. Siamo per ora ai dati mensili che fornisce l’Istat, e mancano ancora i mesi da settembre a dicembre. Eppure l’incremento è netto, verificabile mese per mese, inesorabile. Speculare al declino delle nascite. Ma in tutti e due i casi, avvertono i demografi, c’è un effetto-popolazione: visto che ci sono molti meno giovani in circolazione e molti più anziani (con tantissimi “grandi anziani”, gli over 85), è ovvio che si nasce di meno e si muore di più.
«Possono esserci fluttuazioni da un anno all’altro, ma nell’ambito di una tendenza ormai storica, all’aumento dei decessi», avverte Sabrina Prati, demografa dell’Istat che segue i numeri della popolazione dalla culla alla tomba. Quello che è successo nel 2015 rientra in queste normali oscillazioni? «No, c’è qualcosa di anomalo», dice Blangiardo a pagina99. «Le modifiche della struttura della popolazione non spiegano che in minima parte la maggior frequenza di decessi», ha scritto sul quotidiano cattolico Avvenire: l’invecchiamento della popolazione giustificherebbe circa 16 mila decessi in più, da dove vengono tutti gli altri? Per dirlo con precisione, bisognerebbe aspettare i dati finali, le tavole di mortalità per età, le informazioni sulle cause dei decessi. Ma per adesso, afferma con preoccupazione Blangiardo, «vediamo con chiarezza un fenomeno di dimensioni e intensità forti, che non può essere casuale».
Il demografo si è messo sulle tracce dei killer del 2015: un indizio viene da Milano, dove i dati degli stessi mesi divisi per età segnalano un’impennata di decessi tra le persone con più di 65 anni, soprattutto tra le donne. I più colpiti sono stati gli anziani con più di 85 anni: i decessi sono quasi raddoppiati, sia tra gli uomini che tra le donne. Vecchi e grandi vecchi, i gruppi più fragili, più esposti agli eventi avversi. Tra i quali, c’è anche un ambulatorio meno aperto, un accertamento meno sollecito, una cura rinviata. «I tagli dei servizi pubblici condizionano le nostre vite. Ogni scelta pesa, stiamo attenti a quei morti».
Uno scenario greco per l’Italia, con un peggioramento della salute legato all’austerità (o ai disservizi) che arriva fino a cambiare le tavole di mortalità? Non possiamo dirlo ancora con certezza. Ma «ascoltiamo cosa ci dice questo evento straordinario, è un segnale importante che deve essere valutato sia dal mondo scientifico che da quello politico, dalla pubblica amministrazione e dai responsabili del welfare».

Vaccini e termometri
In attesa di prove scientifiche, c’è anche da guardare ad altri indizi, su quel che può essere successo. Dall’Istat Sabrina Prati è molto cauta nell’interpretazione di questi dati: in attesa del bilancio finale dell’anno, che potrebbe anche ridimensionare il fenomeno, confronta l’aumento dei decessi del 2015 con le riduzioni che si sono avute nei due anni precedenti (il 2013 segnò un calo di morti del 2%, il 2014 una riduzione molto più lieve, dello 0,4%). Se stavolta l’oscillazione sembra molto più netta, le cause potrebbero essere rintracciate anche in altri «eventi avversi»: le condizioni meteo, e l’influenza. Potrebbe esserci stato un effetto di recupero dall’anno precedente, e l’impatto di fattori climatici che aggrediscono e debilitano gli anziani. Il freddo ha fatto ammalare di più, favorendo la diffusione dell’influenza stagionale. E qui arriva un altro sospetto killer: il panico che si è diffuso nell’autunno del 2014 in seguito al ritiro del vaccino antinfluenzale Fluad, da parte della Novartis.
Quel vaccino era solo uno tra i vari disponibili, e i medici continuarono a invitare la popolazione a rischio a vaccinarsi. Ma senza riuscirci se non in parte. Anzi, i dati a consuntivo ci mostrano adesso che c’è stata, nell’inverno 2014-2015, una fuga dalla vaccinazione contro l’influenza. La copertura del vaccino nelle persone sopra i 65 anni è scesa dal 55,4 al 49%, dicono i dati del ministero della salute. E questo a fronte di un’influenza che, secondo il rapporto Influnet fatto sui dati epidemiologici che giungono al ministero della Salute, è da collocare al livello medio-alto nei confronti con gli anni precedenti, inferiore solo, per intensità, a quella del 2004-2005 e poi all’influenza dell’anno 2009-2010, l’anno dell’A/H1N1 (la “suina”). Quanto all’incidenza per età, i più colpiti sono stati ovviamente i piccolissimi (28 casi su 1000 bambini sotto i quattro anni), al secondo posto ci sono i bambini tra i 5 e i 14 anni, e al terzo, appunto, gli anziani, sopra i 65, con 4,1 casi ogni mille assistiti.
Per poter stabilire un nesso certo tra la riduzione dei vaccini antinfluenzali e l’aumento delle morti servirebbe conoscere le cause di morte. Ma uno studio pubblicato dalla rivista dell’Associazione italiana di epidemiologia, relativo proprio alla stagione di cui stiamo parlando e alla zona di Milano, stima al 34% la riduzione del rischio di morte per influenza nella popolazione over 65 vaccinata, rispetto alle persone della stessa età non vaccinate.

Invecchiati e fragili
Che siano stati i tagli alla sanità, o solo il meteo e l’influenza, la prima fotografia statistica del 2015 ci consegna l’immagine di una popolazione invecchiata e fragile. Esposta. La seconda immagine è ancora più nitida: per la prima volta scende la popolazione residente su suolo italiano. Anche in questo caso bisogna leggere i dati mensili, da gennaio ad agosto. Il saldo naturale, la differenza tra nati e morti, è costantemente negativo: ma questa non è una gran novità, visto che il calo delle nascite è ormai una tendenza di lungo periodo. Accentuata, negli ultimi tempi, dall’impatto della baby recession (siamo tra i Paesi europei quello che più ha risentito dell’impatto della crisi economica sulla fecondità) e, per lo meno da quel che si vede per il 2015, da un aumento più sensibile anche dei decessi.
«La vera novità – sottolinea Sabrina Prati – è che è scesa, piano piano, la compensazione operata dagli stranieri». Per anni l’arrivo degli immigrati, soprattutto con le ondate delle regolarizzazioni, aveva compensato il declino del saldo naturale. E questo è successo per due strade: l’iscrizione all’anagrafe dei nuovi residenti, gli stranieri appunto; e il fatto che le donne straniere facevano molti più figli delle italiane, facendo salire così il tasso medio di fecondità. Adesso tutte e due le vene che portavano nuovo sangue alla circolazione italiana si sono assottigliate. E così «si è esaurito il contributo di vivacità che gli stranieri hanno portato nella nostra dinamica demografica», dice Prati.
Sembra strano a sentirsi, in un momento nel quale il discorso pubblico è focalizzato sulla paura dell’invasione. Eppure i numeri dicono questo. In parte, il fenomeno è dovuto alla stessa composizione dell’immigrazione, descritta dall’Istat così: «Sono sempre più rappresentate le comunità straniere che si caratterizzano per un progetto migratorio in cui anche le donne lavorano e quindi hanno una fecondità più bassa», come ucraine, moldave, filippine, peruviane ed ecuadoriane. Senza contare la tendenza, che si è vista anche in paesi di immigrazione più antica della nostra, per la quale man mano le donne straniere che arrivano tendono a avvicinarsi, nei comportamenti riproduttivi, a quelle locali, insomma cominciano a fare anche loro meno figli. E poi ci sono le storie di quelli che partono.
Come Catalin Floria, 27 anni, idraulico di origine rumena. Il papà è un edile, lavora in piccoli cantieri e sa fare un po’ tutto. I figli si sono specializzati, e ne ha uno per ogni pezzo delle ristrutturazioni che fa: elettricità, acqua, rifiniture. Hanno affittato una casa grande un po’ fuori Roma, a Guidonia, e tutte le mattine col loro furgoncino entrano nella capitale per lavorare. Da tre mesi Catalin non c’è più, è andato dalle parti di Stoccarda . «Non è che non c’è lavoro in Italia, io ho sempre lavorato. Ma lì pagano meglio, e le case costano meno, e posso pensare di mettere su famiglia», ha detto Catalin prima di partire. C’è anche un altro fatto, che lo ha convinto al gran passo. «Me l’hanno detto altri parenti che sono lì: se resto senza lavoro per qualche tempo, lo Stato dà la disoccupazione, non devo avere paura di non potere più pagare l’affitto».
Non è stato il solo, a partire. Secondo l’Ismu solo nel 2014 se ne sono andati dall’Italia 300 mila stranieri residenti. Un insieme di cause che ha fatto sì che il saldo migratorio, che per anni è andato a controbilanciare quello naturale, si sia via via assottigliato. A gennaio e ad agosto del 2015 è addirittura diventato negativo. Dai 60.795.612 di inizio gennaio, ai 60.685.487 di fine agosto del 2015. Mancano gli ultimi mesi, ma le previsioni degli esperti dell’Istat sono univoche: si chiuderà in rosso. Cioè ci sarà una riduzione netta della popolazione residente in Italia. Non era mai successo dal primo dopoguerra: neanche durante la seconda guerra mondiale, né negli anni duri prima del miracolo economico, e poi finché l’esaurimento del boom demografico è stato compensato dai flussi migratori. Adesso ci siamo, l’Italia è ufficialmente in via di rimpicciolimento. E non è una decrescita felice.