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 2016  gennaio 05 Martedì calendario

PERISCOPIO

Bergamo i Campionati mondiali di Nascondino. Chi fa la Morte conta fino a 30, senza Iva fino a 25. Gianni Macheda.

La gauche, sinistra, francese ha smesso di pensare e non è più gramscianamente in situazione di egemonia culturale. Ha lasciato il monopolio del dibattito (su temi storicamente a essa cari) alla destra neogollista e al Front national, non riempie più le piazze con le sue battaglie perché di battaglie da combattere sembra non averne più, e ha perso la gioventù, quella che invece scende in strada per le manifestazioni oceaniche della Manif pour tous (un recente sondaggio dell’istituto Elabe ha evidenziato che la maggioranza dei giovani francesi tra i 18 e i 24 anni si dice di destra) e si lancia con entusiasmo verso nuove avventure editoriali (come Limite, il neonato trimestrale della gioventù cattolico-sovranista francese). Oggi, la gauche è quella che stila liste di proscrizione conto i «malpensanti», che preferisce l’insulto alla persona piuttosto che la confutazione delle sue idee. Gaël Brustier, À démain, Gramsci (Éditions du Cerf).

Dossi per tutta la vita prese appunti su casuali fogliolini, su minuscole listerelle di carta (come dice il filologo editore Dante Isella) ricopiandoli poi, in bella, su certi quadernoni 22x26, dalla copertina azzurra, da cui il titolo della raccolta impartitogli dalla moglie di: «Note azzurre» (che non è un’opera ma un insieme di quaderni privati). Sedici quadernoni scritti nell’arco di quattro decenni. Alfonso Berardinelli. Il Foglio.

Tranne alcune, sorprendenti, forse lodevoli eccezioni, non conosco nostri coetanei, cioè trentenni, quelli nati nei magnifici anni del riflusso, che abbiano letto Pier Paolo Pasolini. E un motivo dev’esserci se di fronte all’onda morta di articoli e commemorazioni che da un po’ di tempo gonfia senza tregua i quotidiani – quelli che i giovani non leggono (guarda caso) – noi trentenni abbiamo l’impressione d’assistere all’incirca a un dibattito, non tra iniziati, ma tra reduci e per reduci. Una specie di rievocazione storica in costume, come il Palio di Siena o la Giostra medievale di Arezzo, una sagra rievocativa tra sessantenni, riuniti per scambiarsi reliquie e cimeli, souvenir di memoria, pensieri d’epoca, un universo culturale e sentimentale che riguarda soltanto loro. Come neanche a un raduno degli alpini. Salvatore Merlo. Il Foglio.

Per dieci anni, dopo essere inciampato nella lite fra comari con l’altrettanto sanguigno ministro delle Finanza, il socialista pugliese Rino Formica, Beniamino Andreatta cade in disgrazia. La sua creatura, l’Arel, perde quota. Questo purgatorio acuisce il suo appetito e la sua originalità. Gli amici bolognesi, tra cui Prodi, lo chiamano indifferentemente «il ciccione» o il «matto». Sempre più spesso si infila la pipa accesa nel taschino della giacca. Giancarlo Perna, Chiaro scuri. Mondadori, 1995.

Mi sono sposato prestissimo perché ho messo incinta una ragazza. Allora questi incidenti capitavano frequentemente. Le ragazze mi piacevano, lì in Provincia ce n’erano molte, è stato un pascolo notevole. Dopodiché conosco questa ragazza, mi piace da morire, la metto incinta: due gemelle! Ma lei è morta, in conseguenza del parto. È stato uno choc terrificante: non sapevo cosa fare, dove mettere queste bambine. Nel frattempo ero stato trasferito al brefotrofio, gestito dalla Provincia come il manicomio. Allora lì ci ho portato le mie bambine. Una delle responsabili della struttura era una signora giovane. Teneva anche le mie gemelle, le guardava, le curava: l’ho sposata. Lei non mi voleva, l’ho corteggiata a lungo e poi alla fine ce l’ho fatta. E ha preso le bambine, le ha fatte diventare grandi: sono legatissime alla madre, culo e camicia. Da lei ho avuto Mattia e per ultima Fiorenza, che è arrivata per caso. Vittorio Feltri. (Silvia Truzzi). Il Fatto.

Ho conosciuto, a Cusano Milanino, la povertà, la fame, il lavoro durissimo, mio padre che andava in fabbrica poi usciva e lavorava ancora in campagna: portava a casa quel chilo di pane che doveva bastare per sette. E, tornato a casa, scopriva che il figlio giocava a pallone di nascosto e non se ne faceva una ragione. Mio fratello, vuoi per affetto, vuoi perché magari aveva capito che c’era qualcosa di concreto, mi aiutava, nascondeva il pallone con le scarpe, mi incoraggiava. Ma mio padre non lo capiva e forse non poteva: cos’è il pallone, a cosa serve, dove vuoi andare? Ci si ammala pure. Giovanni Trapattoni (Antonio Dipollina). la Repubblica.

Nelle sceneggiature i cattivi e i personaggi un po’ sinistri sono scritti meglio e quindi anche più interessanti da interpretare. Viggo Mortesen, attore (Amelia Castilla). la Repubblica.

Delio Cantimori, che aveva un passato fascista imbarazzante non amava parlare di sé. Ma era un uomo tormentato dai suoi errori. Come pure tormentate erano le sue lezioni. Parlava a voce bassissima e spesso si mangiava le parole. Ma aveva la vocazione autentica dello studioso. Anche nei suoi scritti sul nazismo, passati al setaccio, c’era la volontà di capire. C’era, in lui, quando scrisse la voce «onore» nel «Dizionario di politica» il bisogno di tenere a bada il «furibondo cavallo ideologico». Adriano Prosperi, storico (Antonio Gnoli). la Repubblica.

Fellini mi tirò molto bidoni. Uno me lo tirò a Roma, mancando all’appuntamento che mi aveva dato in un lussuoso ristorante di via Cavour. Solo che qui, ad attenderlo, c’era anche uno dei miei figli, tredicenne, armato di Kodak per immortalare l’evento. Da allora smisi di telefonargli e di volergli bene. Bruno Zanin, il Titta di Amarcord di Federico Fellini (Stefano Lorenzetto). Panorama.

Sono nato a New York da madre americana e padre danese, ho vissuto in Danimarca, Stati Uniti e Argentina e da alcuni anni nel centro di Madrid. In realtà non mi trovo a casa mia né in Danimarca, né a New York e né qui a Madrid ho particolari rapporti. Diciamo che mi trovo bene con la gente che frequento, ma non sono un tipo molto festaiolo, non partecipo alla vita mondana. Conosco delle persone, vado a trovarle, andiamo a teatro o ci si vede per strada, tutto qua. Viggo Mortesen, attore (Amelia Castilla). la Repubblica.

E quando ciò succede, io sono d’accordo con i piccioni. Stefano Bollani, pianista (Lorenzo Viganò). Corsera.

Solo un marito felice può rendere infelice la propria moglie. Roberto Gervaso. Il Messaggero.

Paolo Siepi, ItaliaOggi 5/1/2016