VARIE 3/1/2016, 3 gennaio 2016
APPUNTI PER GAZZETTA - ALL’ORIGINE DELL’ODIO TRA SUNNITI E SCIITI
REPUBBLICA.IT
RIAD - L’Arabia Saudita innesca un nuovo violentissimo scontro settario tra sciiti e sunniti che infiamma il Medio Oriente. Tutto comincia a Riad con un numero di esecuzioni capitali record - ben 47 - tra cui quella di un noto religioso sciita, Nimr al Nimr, l’uomo che nel 2011 aveva cercato di portare nella Provincia orientale, l’unica a maggioranza sciita, gli ideali della primavera araba. Un atto che scatena la rabbia dell’Iran e le proteste delle fazioni sciite in Iraq, Libano, Yemen e Bahrein e in molti altri Paesi musulmani.
E così a Teheran viene presa d’assalto l’ambasciata saudita e la polizia iraniana arresta 40 manifestanti, mentre a Mashad, nel nord dell’Iran, viene incendiato il consolato. Riad convoca l’ambasciatore iraniano accusando Teheran di "sponsorizzare il terrorismo". Nella periferia di Manama, capitale del Bahrein, scoppiano scontri tra manifestanti sciiti e polizia.
Iran, furia sciita: assalto all’ambasciata dell’Arabia Saudita a Teheran
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La Guida suprema iraniana Ali Khamenei invoca la "vendetta divina" su Riad e scrive sul suo sito web: "Senza dubbio l’illegittimo spargimento di sangue di questo martire innocente avrà un effetto rapido e la vendetta divina si abbatterà sui politici sauditi". L’ayatollah parla di "errore politico" del governo saudita, sottolineando che sottolineato che l’imam al-Nimr non aveva né invitato la gente ad armarsi, né aveva preparato complotti segreti: "L’unica cosa che ha fatto è stata quella di criticare pubblicamente" il regime. E, rivolto ai Paesi occidentali ’alleati’ dell’Arabia Saudita: "Perché non hanno detto nulla coloro che affermano di sostenere i diritti umani? Perché coloro che pretendono di sostenere la democrazia e la libertà supportano questo governo saudita?".
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Anche il presidente iraniano iraniano Hassan Rohani condanna l’esecuzione dello sceicco al-Nimr, affermando che è un atto che "viola i diritti umani e i valori islamici". In un tweet Rohani porge anche le sue condoglianze alla famiglia del religioso e al mondo islamico.
Intanto gli Stati Uniti esortano tutti i leader del Medio Oriente a "raddoppiare gli sforzi" per disinnescare le tensioni."Riaffermiamo il nostro invito al governo saudita a rispettare e proteggere i diritti umani e a garantire procedimenti giudiziari equi e trasparenti",afferma John Kirby, portavoce del Dipartimento di Stato Usa in un comunicato. Sulla stessa lunghezza d’onda una nota diffusa del ministero degli Esteri francesce.
Anche il segretario generale delle Nazioni Unite Ban Ki-Moon si è detto "profondamente turbato" dalle esecuzioni capitali in Arabia Saudita e ha invitato "tutti i leader della regione a lavorare per evitare che le tensioni settarie vengano esacerbate".
RENZO GUOLO
L’ESECUZIONE dello sceicco sciita Nimr Al Nimr, uno dei leader religiosi e politici del movimento di protesta esploso nel 2011 nella ricca provincia orientale saudita che reclamava maggiori diritti per la più grande minoranza religiosa del paese, rischia di far deflagrare un duplice scontro, politico e religioso, nella regione. Tra sunniti e sciiti. E tra le potenze confessionali, Arabia Saudita e Iran, che si sono erette, rispettivamente, protettrici di quelle stesse comunità.
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Il contrasto tra Arabia Saudita e Iran ha una storia lunga. Si nutre dell’avversione religiosa che il movimento wahabita, egemone dottrinalmente nella penisola arabica, nutre nei confronti degli sciiti, considerati non tanto musulmani quanto veri e propri apostati. Per aver contestato, sin dagli albori dell’Islam, la linea di successione profetica che i sunniti, in maggioranza nel mondo islamico, hanno legato al consenso dei compagni e dei primi seguaci del Profeta, mentre gli sciiti invocavano la qualificazione carismatica della stirpe ritenendo legittima solo la leadership che traeva origine dalla famiglia di Alì, cugino e genero di Maometto. Una differenza che, nel tempo, si è accentuata.
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Per sopravvivere alla catastrofe teologica legata alla scomparsa del dodicesimo Imam, figura che contrariamente a quanto avviene nel sunnismo non è una semplice guida della preghiera ma un mediatore tra sacro e profano, gli sciiti hanno elaborato una particolare dottrina: la teologia dell’Occultazione. E dato vita, contrariamente al sunnismo, a un vero e proprio clero stratificato per sapere religioso. Un ceto di specialisti che, tra l’altro, deve interpretare il significato nascosto del messaggio coranico, considerato testo che ha anche una dimensione esoterica e non solo, come per i sunniti, essoterica o letterale.
I wahabiti, fautori di un intransigente monoteismo e ostili ad "associare" figure come i Dodici imam a qualsiasi forma di adorazione divina, hanno sempre considerato gli sciiti idolatri da reprimere o condannare alla marginalità. Questa frattura religiosa non si è mai colmata. E, pur avendo diversa intensità in paesi con storie diverse, ha assunto un peso ancora più rilevante nel 1979, quando lo sciismo khomeinista ha preso il potere in Iran. Facendosi paladino non solo della Rivoluzione islamica - la cui "esportazione" è stata bloccata sia dal suo minoritario carattere sciita, sia dalla guerra condotta dall’Iraq di Saddam Hussein con l’appoggio degli Stati Uniti - ma anche delle minoranze sciite "oppresse" nel mondo della Mezzaluna: dal Golfo al Libano, dall’Iraq all’Afghanistan.
Lo sciismo rivoluzionario rappresenta una minaccia per i sauditi perché mette in discussione sia il loro ruolo di "custodi dei luoghi santi" sia una dottrina, come quella wahabita, ritenuta ferrea depositaria di una tradizione religiosa fondata sull’ingiustizia e la persecuzione nei confronti dello sciismo. Il sistema di alleanze internazionali poi ha accentuato le divergenze.
L’Arabia Saudita è, dal 1945, un alleato, anche se poco limpido e oggi relativamente autonomizzato, di quell’America che, dal sequestro degli ostaggi nell’ambasciata di Teheran sino alla lunga e tormentata partita sul nucleare, è stata agli occhi degli iraniani "il Grande Satana". Negli ultimi tre decenni sauditi e iraniani si sono, così, combattuti in lunghe e estenuanti guerre per procura, sostenute sul campo da movimenti e Stati alleati. È accaduto, e accade, in Libano, in Iraq, in Siria, nello Yemen, in Bahrein.
Mandando a morte Al Nimr i sauditi inviano ora al mondo un messaggio che definisce una precisa tassonomia del Nemico: categoria a cui ascrivere non solo i simpatizzanti sunniti di Al Qaeda, ma anche gli oppositori sciiti, giustiziati insieme ai primi. Un discorso rivolto, brutalmente, anche all’Iran perché comprenda che non verrà tollerata nessuna "interferenza", statuale e confessionale, nel giardino di casa saudita: a partire dal Golfo. Un messaggio che, secondo il ministro degli Esteri iraniano, costerà caro alla dinastia saudita, qualificata come "criminale" e che, secondo lo stesso leader della Repubblica islamica Khamenei, non impedirà il "risveglio" sciita. Le proteste esplose nel mondo sciita, nel Bahrein oltre che nelle province orientali saudite, in Libano come nel Kashmir, sono solo un’avvisaglia delle nuove tensioni che l’esecuzione di Al Nimr può innescare. Anche perché sia le dinamiche connesse all’autoattribuito rango di potenze confessionali, sia la battaglia senza esclusione di colpi per conquistare il ruolo di potenza regionale dominante, mandano oggettivamente in rotta di collisione strategica Teheran e Riad. Alimentando il conflitto settario. Anche in contesti dove, di fatto, sauditi e iraniani sono membri di uno schieramento, come quello fondato sulla "doppia coalizione", che ha lo stesso nemico: l’Is.
Sino a quando la duplice frattura, religiosa e di potenza, alimenterà la sfida tra i due giganti mediorientali, il vero nodo politico gordiano dello scenario mediorientale, non sarà possibile stabilizzare l’area. Come rivela la stessa costituzione, su impulso saudita, di un alleanza militare sunnita che ha come esplicito obiettivo il contrasto al terrorismo. Termine con il quale Riad non si riferisce solo all’Is o a Al Qaeda ma anche, più o meno esplicitamente, a movimenti sciiti come l’Hezbollah libanese o gli Houthi in Yemen, all’opposizione alide in Bahrein o nelle stesse province orientali del Regno. E, soprattutto, al loro grande protettore: l’Iran. Una dottrina politica e della sicurezza che, unita alle ambizioni iraniane, rischia di far deflagrare il già incendiario panorama regionale.