VARIE 2/1/2016, 2 gennaio 2016
APPUNTI PER GAZZETTA - I SAUDITI DECAPITANO 47 SCIITI, TRA CUI L’IMAM
REPUBBLICA.IT
RIYAD - L’Arabia Saudita comincia il 2016 con quarantasette esecuzioni capitali, tra cui quella di un noto religioso sciita, scatenando la rabbia dell’Iran e le proteste delle fazioni sciite in Iraq, Libano, Yemen e Bahrein.
Per il governo saudita molte delle persone condannate a morte e giustiziate sarebbero state coinvolte in una serie di attentati compiuti da al-Qaeda tra il 2003 e il 2006. Ma alcuni di essi erano oppositori del regime ultraconservatore e a maggioranza sunnita. Secondo i dati di Amnesty International, l’Arabia Saudita è tra i Paesi con il più alto numero di esecuzioni nel mondo, secondo solo a Cina e Iran: dal 1985 al 2005 sono state messe a morte oltre 2200 persone. Da gennaio ad agosto 2015, le esecuzioni sono state più di 150. Le condanne sono state eseguite tramite decapitazione.
L’esecuzione di Nimr al-Nimr. Come detto tra i condannati a morte c’è anche un influente religioso sciita, lo sceicco Nimr al-Nimr. Lo sceicco è stato uno dei leader del movimento di protesta partito nel 2011 nella Provincia Orientale del Paese, da dove viene gran parte del petrolio saudita. Molto popolare tra i giovani, aveva invitato la sua gente (la minoranza principale del paese, da sempre considerata un pericolo da Ryad per la sua vicinanza religiosa con l’arcinemico iraniano) a cavalcare l’onda delle primavere arabe per chiedere più diritti e più indipendenza al regime a maggioranza sunnita. Ma allo stesso tempo aveva invitato a non usare la violenza. Fu arrestato nel 2012 in un episodio misterioso (si disse che avesse risposto al fuoco dei poliziotti) ma non furono fornite prove. Di certo lui fu portato via ferito. Al suo fermo erano seguite proteste di piazza con morti. La sua pena capitale con l’accusa di "incitamento alla lotta settaria" è stata confermata il 25 ottobre scorso. Quando apparve di fronte ai giudici, tre anni fa, mostrava segni di torture: dopo di lui, furono arrestati il fratello Mohammed e poi il nipote diciassettenne Alì.
La reazione dell’Islam sciita. La sua morte ha scatenato l’ira dell’Islam sciita e potrebbe avere gravi conseguenze sul piano internazionale. Dura, infatti, la reazione dell’Iran, che ha avvertito l’Arabia Saudita: "L’esecuzione di Nimr vi costerà cara", ha tuonato il ministero degli Esteri iraniano. Durissimo l’ayatollah Ahmad Khatami, membro dell’influente Assemblea di esperti della repubblica islamica e tra i religiosi più in vista dell’Iran, che ha denunciato la natura "criminale" della famiglia reale saudita e ne ha preconizzato la fine. "Non ho dubbi", ha affermato, "che questo sangue puro macchierà la casa dei Saud e li spazzerà via dalle pagine della Storia".
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Unanime la condanna anche dei ribelli sciiti Houthi dello Yemen e del Supremo Consiglio islamico sciita del Libano. Il movimento sciita libanese Hezbollah, alleato dell’Iran, ha detto inoltre di ritenere "gli Usa e i suoi alleati" come "responsabili" per le esecuzioni avvenute oggi in Arabia saudita perché "coprono i crimini del Regno contro il suo popolo e quelli della regione". "Chiediamo alla comunità internazionale di condannare il crimine commesso dall’Arabia Saudita", si aggiunge in una nota di Hezbollah citata dai media libanesi. Anche i politici iracheni hanno criticato l’esecuzione di al-Nimr, affermando che questo inasprirà il conflitto settario nella regione. "L’applicazione della condanna a morte del religioso saudita Nimr Baqir al-Nimr incendierà la regione", ha detto il deputato iracheno sciita Mohammed al-Sayhood. Mentre il parlamentare sciita Kamil al-Zaidi, del blocco politico dello Stato di Diritto, ha chiesto al governo di Baghdad di eseguire le pene capitali "contro i terroristi arabi, in particolare sauditi, condannati in Iraq".
Manifestazioni di protesta. Proteste e scontri in Bahrein, dove la polizia ha usato gas lacrimogeni per disperdere i manifestanti che hanno esibito ritratti del religioso nel villaggio sciita di Abu-Saiba, a ovest della capitale Manama. Manifestazioni di protesta contro il regime anche in Arabia Saudita a Quatif, nella Provincia Orientale, l’unico distretto dove gli sciiti sono la maggioranza. Centinaia di musulmani sciiti sono scesi in piazza a Srinagar, nel Kashmir indiano. I manifestanti hanno innalzato foto dell’imam giustiziato per "terrorismo" e inneggiano slogan contro la monarchia saudita. Alcuni manifestanti hanno portato alta la bandiera del movimento libanese sciita di Hezbollah.
Arabia Saudita, proteste e scontri per l’esecuzione dello sceicco Al-Nimr
L’appello alla calma del fratello di al-Nimr. Come detto, nel braccio della morte c’è anche suo nipote Alì al-Nimr, ora ventunenne. Per salvare il giovane è partita nei mesi scorsi una mobilitazione internazionale. Amnesty International ha chiesto l’annullamento della sentenza, indagini sulle presunte torture compiute dal Paese e il rispetto dei diritti umani. Suo padre Mohammed al-Nimr (fratello dello sceicco giustiziato), evidemente preoccupato che il figlio Alì possa seguire la stessa sorte dello zio, ha espresso l’auspicio che qualsiasi risposta alle esecuzioni sia pacifica: "Nessuno deve avere reazioni al di fuori di una cornice pacifica, basta bagni di sangue".
La risposta del governo saudita. Il Gran mufti dell’Arabia Saudita Sheikh Abdul-Aziz Alal-Sheikh ha invece difeso l’esecuzione dei 47 detenuti, parlando di "grazia ai prigionieri", in quanto la morte "eviterà loro di commettere altro male e di causare caos". Il mufti saudita ha quindi affermato che le esecuzioni sono state condotte nel rispetto della Sharia, la legge islamica, e con l’obiettivo di tutelare la sicurezza nel Regno.
Condannato a morte anche Fares al Zahrani, già nella lista dei 26 super ricercati di al-Qaeda compilata dalle autorità dell’Arabia all’indomani dell’attacco alle Torri Gemelle dell’11 settembre 2001.
La reazione internazionale. Il ministro degli Esteri Tedesco ha espresso peroccupazione per le conseguenze dell’esecuzione: "L’esecuzione di al-Nimr accresce le nostre peroccupazioni per le crescenti tensioni nella Regione".
Nessuno tocchi Caino: "Arabia Saudita primo Paese -boia". "Con almeno 158 esecuzioni nel 2015, l’Arabia Saudita è il primo Paese-Boia del mondo, se si considera il numero degli abitanti". Lo afferma in una nota l’associazione ’Nessuno tocchi Caino’, che ha commentato l’esecuzione odierna come "un fatto senza precedenti nella storia del Regno Saudita di per sé già mortifera e connotata dalla sistematica violazione delle norme di diritto internazionale, a partire dai processi gravemente iniqui, nel corso dei quali agli imputati spesso non è concesso di avere un avvocato e condanne a morte sono comminate a seguito di confessioni ottenute sotto tortura". Secondo l’associazione "è facile prevedere che la ’guerra al terrorismo’ darà un contributo consistente all’escalation della pratica della pena di morte anche nel 2016, soprattutto dopo che l’Arabia Saudita si è posta alla testa della Grande Coalizione anti-Sato Islamico, in nome della quale si sentirà legittimata nel continuare a violare i diritti umani al proprio interno e perseguire e decapitare persone in realtà coinvolte solo nella opposizione pacifica o in attività sgradite al regime".
Il silenzio dell’Occidente. Infine l’accusa al silenzio dell’Occidente: "Nessuno nell’Occidente cosiddetto libero e democratico - si legge nella nota - sembra preoccuparsi del fatto che, nel nome della guerra al terrorismo, si sta affidando il governo dell’emergenza a chi ha provocato l’emergenza stessa, si stanno accreditando come ’stabilizzatori’ dell’area più infuocata del mondo, il Medio-Oriente, regimi che al proprio interno conducono una guerra di lunga durata e di terrore nei confronti dei propri popoli".
LEMONDE.FR
Les défenseurs du cheikh Al-Nimr redoutaient le pire depuis que les forces de sécurité saoudiennes avaient été mises en état d’alerte il y a quelques jours. Leurs craintes se sont révélées exactes. Le célèbre prédicateur chiite a été exécuté samedi 2 janvier, avec quarante-six autres personnes condamnées pour « terrorisme », dont des militants d’Al-Qaida. Sa mise à mort promet d’attiser les haines sectaires au Moyen-Orient, d’accroître les tensions entre l’Iran et le royaume wahhabite, qui se combattent déjà, par alliés interposés, en Syrie et au Yémen, et donc de nuire aux efforts, récemment relancés, pour régler ces deux conflits.
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« Je ne doute pas que ce sang pur tachera la maison [de la famille] Al-Saoud et qu’ils seront balayés des pages de l’histoire », a réagi l’ayatollah iranien Ahmad Khatami, en référence à la dynastie au pouvoir à Riyad. « Le monde islamique va exprimer son indignation et dénoncer ce régime infâme autant que possible », a ajouté le dignitaire iranien, membre de l’assemblée des experts. « Riyad paiera un prix élevé », a déclaré le porte-parole du ministère des affaires étrangères de l’Iran.
Désobéissance au souverain
Agé de 56 ans, Nimr Baqer Al-Nimr, avait été le chef de file des manifestations qui avaient ébranlé la province orientale du royaume, fief de la communauté chiite saoudienne, entre 2011 et 2012, en parallèle des « printemps arabes ». Dans ce pays qui se définit comme le gardien de l’orthodoxie sunnite, régi par le wahhabisme – une version ultrapuritaine de l’islam –, les chiites, qui sont deux millions sur une population dix-huit millions, s’estiment souvent marginalisés et harcelés par l’appareil policier.
Le cheikh Al-Nimr s’était distingué par quelques prêches provocateurs, notamment celui où il s’était réjoui de la mort du prince héritier Nayef, en 2012. Un an plus tôt, dans une autre diatribe, il avait appelé à une sécession de l’est de l’Arabie saoudite et à sa fusion avec le royaume voisin de Bahreïn, ébranlé à l’époque par la révolte de la majorité chiite contre la dynastie sunnite des Al-Khalifa. Surtout apprécié de la jeunesse déshéritée de Qatif, la capitale des chiites sur la côte est, le religieux était considéré comme un dur par rapport à d’autres religieux, plus modérés, comme le cheikh Hassan Al-Safar.
Il n’avait cependant jamais cautionné les actes de violence perpétrés à la fin du soulèvement, et de façon résiduelle depuis, par une poignée de radicaux, implantés principalement à Awamiyah, un quartier de Qatif. Une prudence insuffisante aux yeux des autorités. Arrêté en juillet 2012, Al-Nimr avait été condamné à mort en octobre 2014 pour sédition, désobéissance au souverain et port d’armes par un tribunal de Riyad spécialisé dans les affaires de terrorisme.
Mélanger opposants et terroristes
A l’époque, de nombreux observateurs s’attendaient à ce que la cour suprême cassât ce verdict préliminaire, unanimement condamné par les organisations internationales de défense des droits de l’homme. Ou bien à ce que le roi Abdallah le commuât en peine de prison à perpétuité. Mais celui-ci, mort trois mois plus tard, a été remplacé par un nouveau souverain, Salman, obnubilé par la menace iranienne – et par extension chiite –, comme l’a montré sa décision d’entrer en guerre contre les milices houthistes au Yémen, de confession zaïdite, une branche du chiisme.
Les deux super-ministres sur lesquels le roi s’appuie, son fils et vice-prince héritier, Mohammed Ben Salman, titulaire du portefeuille de la défense, et son neveu et dauphin Mohammed Ben Nayef, chargé de l’intérieur, ont par ailleurs construit leur ascension politique sur une image d’homme à poigne, inflexible. Ils pouvaient d’autant moins y renoncer qu’une rivalité feutrée les oppose. Le triumvirat en place à Riyad n’était donc pas porté naturellement à la clémence.
Les dirigeants saoudiens redoutaient probablement aussi d’être accusés de mollesse par le clergé wahhabite, l’autre pilier du royaume avec la famille Al-Saoud, qui considère le chiisme comme une branche déviante de l’islam. Une grâce du cheikh Al-Nimr serait mal passée dans les milieux les plus conservateurs du pays, alors que des dizaines de sunnites, impliqués dans des attaques revendiquées par Al-Qaida, s’apprêtaient à être mis à mort et que le royaume durcit le ton contre l’organisation Etat islamique, en annonçant la formation d’une coalition antiterroriste.
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La liste des personnes tuées samedi inclut le nom de Fares Al-Shuwail, présenté par les médias saoudiens comme un leader religieux d’Al-Qaida, arrêté en août 2004, à l’époque où l’organisation d’Oussama Ben Laden commettait de nombreux attentats dans le royaume. En exécutant le même jour à la fois des chiites et des sunnites, quitte à mélanger opposants et terroristes, le royaume espère désamorcer les critiques qui l’accusent de discriminations antichiites.
La manœuvre ne devrait pas avoir beaucoup de succès. Riyad a déjà envoyé des renforts de police à Qatif, en prévision d’une relance des troubles dans la province orientale. A Bahreïn, archipel satellite de l’Arabie saoudite, des manifestations de protestations ont commencé dans les villages chiites du sud de Manama, la capitale. La mise à mort d’Al-Nimr risque d’approfondir la défiance entre Téhéran et Riyad, au moment où le lancement de pourparlers de paix, sur le Yémen (un deuxième round de négociations est prévu pour la mi-janvier en Suisse) et sur la Syrie (une première rencontre entre pro et anti-Bachar Al-Assad est programmée pour le 25 janvier à Genève), nécessite au contraire un rapprochement entre les deux rivaux. Au Yémen, le mouvement houthiste a annoncé porter le deuil « d’un guerrier saint » exécuté « après une parodie de procès et en violation flagrante des droits de l’homme ». La coalition arabe menée par Riyad a enterré pour sa part le cessez-le-feu entré en vigueur le 15 décembre et violé à de multiples reprises depuis cette date.
Dans une déclaration à l’Agence France-Presse, Mohamed Al-Nimr, le frère du défunt cheikh, a espéré que « la voix de la modération et un règlement politique prévaudront ». Mais il est peu probable que ses mots de paix soient entendus.
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