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 2015  dicembre 31 Giovedì calendario

PERISCOPIO

Mangiano fino a svenire 12 anziani a Genova. Probabilmente non pagavano loro. Gianni Macheda.

Matteo Salvini potrebbe essere un mediano pesante, uno di rottura, che mena come un fabbro in campo. Gianni Rivera, Un Giorno da Pecora, Rai Radio2.

Gli italiani vengono in Albania per cercare qualcosa di se stessi che non trovano più. Il suo nome è «speranza». Niccolò Zancan. La Stampa.

Fra i contemporanei non conosco che un grande libro su, direbbe Goya, gli orrori della guerra: «La douleur» di Marguerite Duras. Che scrittrice ammirevole! E non le è stato dato nemmeno il Nobel. Carlo Coccioli, Tutta la verità. Rusconi, 1995.

La strumentalizzazione dell’uomo dalla politica o dall’ideologia, fu il principale dramma del Ventesimo secolo. Degli uomini trasformati in carne da cannone in occasione dei grandi massacri del 1914-18, ridotti a livello di materiale militare, o ancor più negati come individui liberi e degni dalle grandi ideologie totalitarie: pochi secoli hanno umiliato la persona umana come il Ventesimo secolo. Lenin e poi Stalin ripetevano che la «Grande rivoluzione» doveva farla finita con l’individualismo piccolo borghese. «Il tempo del benessere individuale è finito» proclamava Hitler da parte sua. L’uomo non era più che un atomo irrilevante del grande «tutto», il servitore utilizzabile a piacere di un grande disegno collettivo. Michel Albert, Jean Boissonat, Michel Camdessus, Notre foi dans ce siècle (La nostra fede in questo secolo). Arlea, 2002.

Vorrei sempre vedere e non limitarmi a guardare. Gianmaria Testa, cantautore. Io donna.

Certe sere, quando mia madre mi chiedeva di annaffiare i gerani e di chiudere le imposte, mentre il cielo imbruniva, gli stessi luoghi che mi erano familiari – il cortile, la strada e, oltre, il bosco – trasfiguravano di colpo: oscuri, ignoti, ostili. Mi fermavo nell’istante di serrare le persiane, e il fruscio delle foglie al vento mi pareva un sussurrio. Le ombre degli alberi, fluttuanti alla luce di un lampione, si chinavano su di me, insistenti. E credevo di sentire uno scricchiolio di passi sulla ghiaia, ma non c’era nessuno. Allora, avvertendo che una strana paura mi saliva alla gola, chiudevo precipitosamente le finestre e correvo da mia madre. Cos’hai, chiedeva lei, stupita. E io: «Niente». Sotto la lampada del soggiorno, davanti alla tavola apparecchiata, le ombre si dissolvevano. Ma a letto, poi, nel buio riprendevano vigore. I disegni della tappezzeria, nel chiarore che filtrava da fuori, mi sembravano facce, e non mi toglievo dalla mente certe leggende raccontate dai vecchi: di un piccolo lago, lassù nel bosco, che ingoiava chi ci cadeva nelle sue sabbie mobili. Serravo gli occhi allora, e schiacciavo la faccia nel cuscino. È troppo lunga la notte, pensavo. E come anelavo la luce: che avrebbe giustiziato i miei fantasmi. Tanto che al mattino, nel sole, ne avrei sorriso. Marina Corradi. Avvenire.

La crisi e le svalutazioni cinesi avevano già tolto alla Germania l’illusione di poter compensare il continuo calo dei consumi in Europa con l’esplosione dell’export verso l’Asia. Non bastasse, nubi nerissime si addensano sul destino della cassaforte dell’impero, la Deutsche Bank, il cui possibile fallimento è ormai un’ipotesi seriamente considerata negli ambienti economici internazionali e dalle agenzie di rating. Curzio Maltese, ilvenerdì.

Voi vedete qui quest’uomo così elegante, Gillo Dorfles. Eppure io sintetizzerei la sua opera pittorica con tre aggettivi: erotico, erratico, eretico. Dorfles è la prova della mobilità delle arti contemporanee. Achille Bonito Oliva. Corsera.

Per aver orchestrato la monarchia accentrata, governata con commissari dipendenti dal ministro, Mazarino fu inviso all’aristocrazia, gelosa del suo potere diffuso; parlamentari e nobili si rivoltarono nella Fronda contro l’«italianissime», l’italianissimo – straniero e machiavellico. Daria Galateri. la Repubblica.

Ad aprile dell’anno scorso, mi invitano a Porretta Terme per una retrospettiva. Bardano il paese di manifesti, espongono i dvd dei miei film nelle vetrine dei negozi, mi fanno sentire un extraterrestre. Entro in una macelleria e il padrone mi trascina da sua moglie. La cuoca. Un donnone che mi si getta addosso, mi abbraccia, si mette a piangere: «Lei non ha idea di quanto il suo lavoro mi abbia cambiato la vita». Mi capita in continuazione. In aereo. Per strada. Al cinema. Vengono e mi parlano: «Abbiamo scoperto di avere un tesoro in famiglia». Si confidano: «Ho capito molto della mia sessualità». Ferzan Ozpetek, regista e scrittore (Malcom Pagani). il Fatto.

Guareschi e gli altri prigionieri italiani irriducibili del campo di concentramento nazista in Germania, occupavano il campo di Wietzendorf dai primi di gennaio, quando, verso la fine dell’inverno, erano giunti mille ufficiali francesi anch’essi prigionieri. Questi erano, al contrario degli italiani, ben nutriti e ben vestiti perché ricevevano roba a bracciate dalla Croce rossa internazionale e dalla Francia di Pétain. L’America mandava loro, come faceva con tutti i prigionieri che l’interessavano, e non era il caso degli italiani, trecento sigarette Camel al mese a testa. Beppe Gualizzini, Guareschi. Editoriale Nuova.

Alessandria d’Egitto è un’idea della vita, più lenta e plausibile. In ogni altra città del Medio Oriente scorre la tensione, qui giace, estenuata. Puoi ammirare la fine delle giornate, concederti sogni a buon mercato, far congetture sulla tua sparizione. Ho passato ore leggendo libri sbagliati, scrivendo storie senza futuro, respirando narghilè in caffè per soli uomini. O per uomini soli, aggrappati alla zattera dell’ovvio, delle idee rassicuranti perché rimasticate da predecessori e compresenti. Gabriele Romagnoli, scrittore. la Repubblica.

Camminavano a Venezia sulle pietre delle strade deserte, e si sentivano inseguiti dall’eco dei propri passi: quasi che non in una città si muovessero ma nel salone di un antico palazzo. Nantas Salvalaggio, Calle del tempo. Mondadori, 1984.

In piedi sul pianale senza sponde di un camion c’erano il sindaco, con la fascia tricolore, l’arciprete con la cotta e la stola, il maresciallo dei carabinieri con la divisa color kaki, quello della Forestale in divisa verde, il direttore didattico e il papà intabarrati in cappotti lunghi fino ai piedi. Marco Santagata, Papà non era comunista. Guanda, 1996.

Com’è difficile, a volte, sembrare quelli che si è. Roberto Gervaso. Il Messaggero.

Paolo Siepi, ItaliaOggi 31/12/2015