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 2015  dicembre 24 Giovedì calendario

DOLLY, LA MAMMA AL PESTO DI FRANK SINATRA

Sembrava nato morto quel neonato massiccio (pesava 13 libbre e mezzo, oltre 6 chilogrammi) venuto al mondo tra le sofferenze patite dalla giovane puerpera, non aveva ancora 19 anni. Il forcipe gli aveva segnato la guancia sinistra, il collo e gli aveva perforato il timpano, un danno mai più rimediato. Una ostetrica prelevò dell’acqua calda dalla stufa a legna che riscaldava la piccola casa al 415 di Monroe Street, a Hobolen New Jersey (Stati Uniti). E con l’asciugamano bagnato strofinò energicamente ii neonato. Che finalmente emise un vagito. L’infante strappato alla morte sarebbe diventato The Voice, fu conosciuto anche come Ol’ Blue Eyes per via del colore degli occhi. Il più grande crooner di tutti i tempi: Frank Sinatra.
Era il 12 dicembre 1915. A causa dei postumi del parto la cerimonia di battesimo fu rimandata e si svolse nella parrocchia di Saint Francis, a Hoboken, il 2 aprile 1916.
La madre che lo aveve messo al mondo con sprezzo della vita era un’italiana emigrata bambina con la famiglia in America, nei primissimi anni del XX secolo, probabilmente nel 1903. Sulla data non esiste certezza. Si chiamava Natalina Garaventa, era nata il 26 dicembre 1896 nelle campagne di Lumarzo, un paesino della Valfontanabuona, alle spalle di Chiavari, in Liguria. Lande poverissime, i contadini campavano di latte, patate e castagne, spaccandosi la schiena nei campi e nei boschi. L’emigrazione era massiccia.
Se ne andarono in tanti, a cavallo del secolo, e l’America, anzi la Merica, restituì la speranza a molti di loro. Da quelle stesse montagne aspre e avare, dal paese di Favale di Malvaro era partito, diretto in California, Amedeo Giannini, futuro fondatore della Bank of America. E suor Blandina da Cicagna, missionaria in America si era messa sulle tracce del celebre bandito Billy the Kid, con l’intento di redimerlo.
La casa in località Rossi del padre di Natalina, Giovanni Antonio Garaventa, contadino, 30 anni all’epoca della nascita della figlia, e della madre Rosa Casagrande, casalinga – così recita l’atto di nascita della piccola Natalina Maria Vittoria, redatto quattro giorni dopo l’evento e firmato dall’ufficiale di stato civile Gismondo Schappacasse – è tuttora in piedi.
Natalina, poi detta Dolly (bambola) per via della statura minuscola (era alta un metro e cinquanta e pesava quaranta chili, alla nascita di Frank) e del visetto impertinente, la lasciò in lacrime separandosi dall’amica del cuore. Aveva sette anni. Altre fonti indicano tre anni.
Dolly si sposò giovanissima, aveva compiuto da poco 16 anni, nel municipio di Jersey City, il giorno di San Valentino del 1913. Aveva fatto la fuitina con Antonio Martino Sinatra, figlio di un vignaiolo di Lercara Friddi, emigrato in America dal paese in provincia di Palermo dove nacque anche il boss mafioso Lucky Luciano, al secolo Salvatore Lucania.
Tony Sinatra era pugile dilettante (categoria pesi gallo) e combatteva sotto il nome di Marty O’Brien. Divenne vigile del fuoco, corpo del quale sarebbe diventato il comandante a Hoboken, la cittadina dove i Sinatra si erano stabiliti. L’anima della famiglia e il punto di riferimento di Frank, l’unico figlio, però era lei. Dolly. Infaticabile. Brillante. Spregiudicata.
Teneva il figliolo sotto la sferza, impartendogli un’educazione severissima. Nel segno della religione cattolica, naturalmente. Il suo carattere esuberante ma fermo fu il primissimo banco di prova per il giovanissimo Frank che si era innamorato di Bing Crosby e voleva imitarne la carriera.
Dolly non fu mai tenera con lui – lo racconta la figlia di Frank, Nancy – e quella fucina di ostacoli forgiò il carattere del giovane Frank. Dolly tuttavia lo sostenne nel suo sogno di essere un cantante. Gli acquistava abiti costosi, lo presentava come fosse il figlio di una famiglia facoltosa. Un esperta di marketing ante litteram.
Durante la Grande guerra Dolly provò ad arruolarsi come infermiera ma venne scartata. Nel locale che avevano aperto a Hoboken, Frank trascorse molti giorni della sua infanzia. Dolly faceva da interprete agli immigrati italiani che non conoscevano l’inglese. Lavorò come ostetrica, a 50 dollari a parto, forse memore delle sofferenze patite nel dare alla luce il figlio.
Secondo la sua biografa Kitty Kelly, si adoperò anche a praticare aborti alle donne italiane che non potevano permettersi il peso di un figlio. Finì anche in politica, attivista del partito democratico. I suoi due fratelli, Dominick e Lawrence, erano conosciuti dalla giustizia americana.
Della radice famigliare siciliana, contrariamente a quanto si crede, Frank non andava fiero, al contrario era legatissimo alla madre e di riflesso alla Liguria. Genova divenne una delle sue mete preferite, la raggiungeva in elicottero da Montecarlo, per gustare il pesto del suo amico, Luciano Belloni, detto Zeffirino, che oggi ricorda: «Frank non parlava volentieri di sua madre. E non volle mai rivedere i luoghi di origine del ramo materno della sua famiglia.
A visitare la casa natale di Dolly andò la moglie Barbara nell’87, quando Frank tenne due concerti in Liguria. La accompagnai a Rossi, lei fece qualche foto dal balcone della casa natale della suocera e se ne andò». Fu una visita molto veloce, la signora ignorò il banco allestito in suo onore con le specialità locali e si dileguò senza parlare con gli abitanti del borgo.
Giuliana Garaventa, detta Lilly (il nonno materno e Dolly erano cugini primi) a 81 anni ricorda una lontana visita e riferisce che ogni giorno per tre giorni un corteo di limousine con i vetri oscurati percorse le stradine di Rossi, indugiando di fronte alla casa dove nacque Natalina.
Verosimilmente Frank era a bordo di una delle auto, dalla quale non discese mai e tanto meno si fece riconoscere. Testimoni ormai scomparsi raccontavano di aver notato un giorno – erano gli anni Sessanta – una elegante signora impellicciata che si aggirava tra le case del paesino. Era Dolly, venuta a ritrovare le proprie radici familiari. In forma anonima però.
Ai liguri non piacciono le rimpatriate rumorose e affollate. E così era Frank. Dice Mauro Boccaccio, giornalista e animatore col sindaco di Lumarzo, Guido Guelfo, dell’omaggio a Frank (Hello Frank!) che ad agosto da otto anni, con l’intervento sul palco di cantanti e uomini di spettacolo, celebra l’illustre concittadino (l’aula consiliare del municipio è intitolata all’artista): «Sinatra non nascose mai la sua origine ligure. Al contrario. Diceva: “Io sono un italiano di Genova”. E volle esser sepolto con la cravatta rossoblù del Genoa calcio».
Circostanza questa confermata da Zeffirino e dal paroliere Giorgio Calabrese, che collaborò con Sinatra negli ultimi anni della carriera di The Voice. Zeffirino conobbe Frank a bordo ring nello Shea Stadium nel Queens, a New York, durante il match di rinvincita per il Mondiale dei pesi medi fra Nino Benvenuti e Emile Griffith.
Vinse Griffith ai punti, e ricevette da Zeffirino il Guanto d’oro, il premio assegnato al campione vittorioso. «Fu il radiocronista della Rai, Paolo Rossi, a presentarmi Sinatra. Quando seppe che venivo da Genova mi prese in simpatia. Diventammo amici.
Appena scendeva all’Hotek de Paris, a Montecarlo, ricevevo una telefonata dal capo concierge: “È arrivato”. Sapevo che Frank sarebbe passato da me e preparavo il pesto, di cui era ghiotto, glielo spedivo anche nella sua casa di Palm Springs, in California. La prima volta che furono miei ospiti a Genova si presentarono in sei: lui, la moglie Barbara, la figlia Nancy, avuta dalla prima moglie, Nancy Barbato. E tre enormi gorilla. Frank mi convinse ad aprire un ristorante a Las Vegas, alla fine degli anni Novanta.
Doveva essere ospitato nella sua villa, poi scegliemmo uno degli hotel, il Venice. È ancora in funzione, lo gestisce uno dei miei fratelli». Non andò in porto viceversa il progetto di commercializzare il pesto di Zeffirino negli Usa vendendolo con l’etichetta Sinatra: «Frank non me la perdonò mai. Ci teneva moltissimo».
La vigilia di Ferragosto dell’84, Sinatra scese a Genova con un elicottero bianco sul quale viaggiavano anche la moglie, una figlia di lei e di Roger Moore. Non venne riconosciuto al controllo passaporti e si rifiutò di farsi intervistare. Disse semplicemente. «Sono qui perché Genova è bella». Si diresse da Zeffirino per gustare i mandilli de saea (fazzoletti di seta) al pesto.
Visitò l’atelier Odicini, su richiesta della moglie Barbara. Ancora Zeffirino. «Per l’ultimo concerto italiano, al Forum di Assago, Frank mi convocò chiedendomi di cucinare per 700 persone. Me la cavai con una cucina da campo. Sul menù scrissero che il pesto era del Savini, il celebre ristorante milanese in Galleria. Pazienza…».