Francesco Ninfole, MilanoFinanza 29/12/2015, 29 dicembre 2015
SALVABANCHE, IL PASTICCIO DELLA UE
I salvataggi bancari in Italia sono stati condizionati da un’incongruenza normativa che è ancora irrisolta e rischia di pesare anche in futuro sui risparmiatori. L’effetto combinato delle interpretazioni di Bruxelles sugli aiuti di Stato e di due direttive europee (Brrd e Dgs) di fatto impedisce l’utilizzo del Fondo interbancario di tutela dei depositi (Fitd), che renderebbe meno oneroso il costo dei salvataggi per il sistema bancario, gli azionisti e i creditori.
Il paradosso logico contenuto nelle regole Ue è emerso nei documenti del Tesoro che hanno fatto luce sul salvataggio di Banca Marche, Banca Etruria e Carife.
Consapevole delle obiezioni della Commissione Ue, il Fitd aveva proposto inizialmente un piano di ricapitalizzazione delle tre banche (non c’era ancora Carichieti), che includeva il burden sharing, ovvero la svalutazione delle azioni e la conversione dei titoli di debito subordinati. Così i creditori subordinati non avrebbero perso tutto, ma avrebbero ricevuto titoli con possono offrire una possibilità di recupero. Grazie al burden sharing, il piano era considerato da Bruxelles come un aiuto di Stato, ma conforme alle regole europee che consentono alcune deroghe. Quindi poteva essere approvato, con un sacrificio dei creditori significativamente inferiore a quello che poi c’è stato.
Del resto la direttiva sugli schemi di tutela dei depositi (Dgs) consente esplicitamente interventi del Fitd diversi dalla garanzia dei conti correnti, purché non si siano verificate le condizioni per avviare la risoluzione dell’istituto in dissesto. Il problema è però esploso a causa di alcuni vincoli posti da un’altra direttiva, quella sulla risoluzione delle banche (Brrd). Secondo quest’ultima, la risoluzione (una procedura dagli effetti più gravosi del burden sharing proposto nel piano del Fitd) scatta se si verificano alcune condizioni, tra cui il «dissesto o rischio di dissesto» di una banca, che a sua volta è identificato in caso di intervento pubblico. Poiché il Fitd è considerato intervento pubblico, allora le banche devono essere sottoposte a risoluzione, con conseguente impatto maggiore su banche e privati. Inoltre la risoluzione è una condizione che impedisce l’intervento del Fitd: ma proprio l’utilizzo del Fondo fa scattare la risoluzione. A causa di questo circolo vizioso, il Fitd è stato messo in un angolo nei salvataggi, ed è stato invece utilizzato il Fondo di risoluzione, con svalutazione integrale a carico di azionisti e creditori subordinati. Insomma le attuali direttive, per come sono scritte (e approvate dal Parlamento e dai governi Ue), aprono la strada all’intervento di un fondo di garanzia come il Fitd, ma poi la chiudono inevitabilmente. Così le autorità sono private di uno strumento che in passato è stato fondamentale per risolvere le crisi bancarie senza perdite per clienti e contribuenti, ma solo con risorse del sistema bancario. L’incongruenza è stata evidenziata dal Tesoro, ma non è stata accolta dalla direzione Concorrenza guidata dal commissario Margrethe Vestager e dalla direzione Stabilità finanziaria diretta da Jonathan Hill. Il circolo vizioso descritto è molto simile a quello del paradosso del Comma 22 («Chi è pazzo può chiedere di essere esentato dalle missioni di volo, ma chi chiede di essere esentato dimostra di essere ragionevole e quindi non è pazzo»). In apparenza si offre una scelta, che però in realtà è esclusa. Lo stesso è accaduto all’Italia. Bruxelles ha offerto apparentemente due strade (intervento del Fitd o risoluzione): alla fine però una sola era consentita (la risoluzione). La terza strada, quella dei fondi volontari, era impossibile causa l’assenza di un compratore privato. L’unica alternativa concreta sarebbe stata piuttosto la liquidazione coatta amministrativa, con conseguenze ancora più pesanti di quelle viste con la risoluzione dei quattro istituti. I meccanismi attivati dalle direttive Ue sono ancora in vigore e rendono gli effetti delle crisi bancarie più pericolosi per i privati rispetto al passato. «È necessario disporre di strumenti per gestire le crisi bancarie in maniera ordinata, anche al di fuori di procedure di risoluzione, come è nella nostra storia», ha detto nei giorni scorsi Carmelo Barbagallo, capo della Vigilanza di Banca d’Italia. «Se la posizione della Commissione Ue sul ruolo del Fitd dovesse essere confermata, sarà necessario cercare altre strade». Al momento non è ancora chiaro se in futuro saranno possibili alternative alla risoluzione (e al bail-in, dal prossimo venerdì), o se al contrario l’Italia dovrà adeguarsi al modello europeo sui salvataggi bancari, imposto dai Paesi che più di tutti hanno utilizzato aiuti di Stato.