Donato Masciandaro, Il Sole 24 Ore 29/12/2015, 29 dicembre 2015
LE PAGELLE 2015: BENE LA BCE, FED BOCCIATA, PECHINO RIMANDATA –
Quali sono le pagelle del 2015 per le tre maggiori banche centrali, per quel che riguarda la gestione della moneta e dei tassi di interesse? Il criterio è l’efficacia nella stabilizzazione macroeconomica attraverso politiche credibili, cioè coerenti e trasparenti.
Allora il giudizio è chiaro: promossa la banca centrale europea (Bce), bocciata quella americana (Fed), rimandata quella cinese (Bpc).
L’anno che si sta chiudendo è stato caratterizzato da una ripresa economica mondiale che è considerata da un lato ed in generale ancora acerba e niente affatto irreversibile. Dall’altro lato la crescita economica appare essere non sincronizzata nelle diverse maggiori aree regionali: oramai avviata negli Stati Uniti, ancora timida in Europa, con qualche affanno in Cina. Infine le prospettive: positive, ma non affatto stabili. In questo quadro, quale è il giudizio che si può dare sulle politiche monetarie?
Innanzitutto, occorre ricordare cosa abbiamo imparato sull’efficacia della politica monetaria, per quel che riguarda le economie avanzate, dall’esperienza della Grande Crisi, iniziata decisamente a partire dal 2008. Le lezioni sono almeno tre.
La prima lezione è che la politica monetaria può essere efficace nella stabilizzare il ciclo economico, quindi l’andamento sia dell’inflazione che della crescita, attraverso la stabilizzazione delle aspettative di medio periodo sulla dinamica dei prezzi. Nello stesso tempo, però, la capacità delle banche centrali di governare le aspettative ne definisce i limiti. Se le aspettative sono stabili, le recessioni economiche sono meno gravi perché la caduta della produzione non è accompagnata ed aggravata dalla caduta dei prezzi, che può innestare una dannosa spirale deflazionistica. Contemporaneamente, la ripresa economica non è accompagnata da una automatica normalizzazione dei prezzi, per cui finisce per apparire essa stessa reversibile.
Quindi la seconda lezione è che la politica monetaria ha effetti asimmetrici: più efficace nel frenare i surriscaldamenti della domanda aggregata che la sua anemia, soprattutto se la crisi economica è stata originata da un eccesso di credito e finanza. Da qui la terza lezione: le banche centrali non possono trascurare quello che avviene sui mercati finanziari, anche se tali fenomeni devono essere gestiti con un orizzonte temporale e strumenti – la politica macro prudenziali – che sono diversi da quelli della politica monetaria, ancorché tali interventi sono ancora ben lungi dall’essere compresi e definiti in modo sistematico.
Date le tre lezioni, alle banche centrali si chiede soprattutto di essere credibili. Credibilità significa avere una strategia che sia coerente e trasparente nella definizione di obiettivi e strumenti. La definizione degli obiettivi deve partire dagli obblighi statutari e dai vincoli istituzionali, per arrivare all’individuazione degli obiettivi intermedi e degli strumenti. Una strategia monetaria credibile è fattore di stabilità; in caso contrario, è essa stessa moltiplicatore di incertezza. Definiti i criteri, se si vuole dare una pagella alle banche centrali, il risultato è facile: promuovere quella europea, bocciare quella americana e rimandare quella cinese.
Partendo dalla Bce, il suo obiettivo istituzionale è garantire la stabilità monetaria, in presenza di un vincolo: la politica monetaria ha effetti su diciannove stati sovrani, tra loro anche molto eterogenei, per cui il processo decisionale risulta essere più delicato di quello che può caratterizzare gli Stati Uniti, o la Cina. L’obiettivo istituzionale è perseguito seguendo una chiara regola monetaria, con un obiettivo intermedio di un tasso di crescita dei prezzi al consumo del 2%, attraverso strumenti convenzionali e non. Dallo scorso marzo anche le espansioni quantitative sono entrambe nella scatola degli attrezzi, con una indicazione dei tempi e dei modi dell’intervento, modificati successivamente in dicembre, alla luce delle indicazioni congiunturali. La comunicazione delle azioni è stata quasi sempre coerente con la strategia complessiva. Complessivamente, la Bce ha adempiuto al meglio il suo compito.
Lo stesso non può dirsi della Fed. Il suo obiettivo istituzionale è duale, in quanto alla garanzia della stabilità monetaria deve unirsi quello della occupazione. Ma la Fed non segue una regola monetaria, anzi. Il 2015 è stato contrassegnato dall’utilizzo di una espressione priva di significato, «l’orientamento della politica monetaria dipende dai dati» . Anche la decisione di dicembre di un innalzamento dei tassi di riferimento di venticinque punti base, unita ad una generica promessa di gradualismo monetario, in assenza di una regola, è un impegno scritto sull’acqua. La politica monetaria americana risulterà così ancora caratterizzata da un eccesso di autoreferenzialità, che ne aumenta i rischi di accondiscendenza agli interessi della politica e della finanza. Rischi che saranno ancora più alti nell’anno delle elezioni presidenziali. La bocciatura è inevitabile.
Infine la Cina. Occorre subito ricordare che non stiamo parlando di una economia avanzata nel senso tradizionale del termine, e di una banca centrale che dipende dalla politica, meglio: dal partito comunista, che ha varato il suo nuovo piano quinquennale 2016-2020. La Bpc ha incentrato la sua politica sul governo del tasso di cambio, che nel 2015 ha iniziato un percorso che ha come obiettivo quello di far assumere al renminbi lo status di valuta internazionale. Ma perché questo accada, occorre, per la comunità internazionale, che sia rispettata almeno la “regola del trilemma”: in una economia di mercato, la politica monetaria deve essere indipendente, i capitali finanziari sono mobili ed i tassi di cambio flessibili.
La Cina ha intrapreso questa strada, e lo scorso agosto ha annunziato di voler attuare un cambiamento significativo: tassi di cambi sempre più flessibili, meno dirigismo nei movimenti dei capitali. È stata una classica mossa a forchetta, in quanto è risultata coerente anche con gli interessi congiunturali di mettere in atto una politica monetaria espansiva. A novembre, il renminbi ha affiancato il quartetto valutario - dollaro, euro, yen e sterlina - che oggi rappresenta il paniere delle valute di riserva. Siamo però solo ad un primo passo, e prima di considerare il renminbi, la sua gestione, ed in generale il disegno della politica monetaria cinese, nonché l’architettura istituzionale della banca centrale cinese come trasparente e coerente, quindi credibili, occorrerà una “lunga marcia”. Dunque, arrivederci a settembre.