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 2015  dicembre 24 Giovedì calendario

LAURA PAUSINI RACCONTA (E SI RACCONTA) ATTRAVERSO SEI VERSI DELLE SUE CANZONI

Laura Pausini ha 41 anni e una camicia da notte con la stampa di un grande cocomero su sfondo rosa. Sono le otto del mattino a Miami in una di quelle giornate – una decina l’anno, forse meno – in cui decide di andare in pausa-lavoro. Ha gli occhi segnati dalla sveglia presto, ma poco, pelle liscia da pubblicità, i capelli ancora freschi di piega per la trasmissione tv della sera prima. Parla, parla, sorride, ride. «Sembro molto felice? Sono molto serena, adesso, e so di essere stata molto fortunata, nel tempo».
La timida 18enne che nel 1993 vinse Sanremo con La solitudine è un ricordo custodito da Youtube. Debuttava nascosta dentro una giacca bianca a spalle larghe e una camicia nera tutta abbottonata, con quella “s” romagnola che se non ha proprio abbandonato ha sicuramente un po’ irrobustito. In questi vent’anni si è comportata da atleta: una di quelle che vanno a medaglia per cinque olimpiadi di seguito perché non si stancano di allenarsi, mai. Da quando “Marco se ne è andato e non ritorna più”, lei non si è fermata: undici album inediti, quattro live, due raccolte, sette tour mondiali. Le chiedi, al solito, se non abbia la sensazione di essere stata scippata di frammenti di vita originale, di quello che Laura sarebbe stata se-non: «Non penso di essermi persa niente», assicura alla telecamera del suo computer mentre si racconta via Skype.
Nonostante la falange di collaboratori e parenti al seguito, è lei a tenere il ritmo delle sue giornate. Non solo quello musicale. Sa tutto, segna, controlla. Provate a chiederle una data a caso degli ultimi sei anni e dei prossimi due, la vedrete abbassare la testa sul suo calendario digitale e in pochi secondi la sentirete snocciolare concerti in Sudamerica, compleanni di amici, pomeriggi in studio, lezioni di ginnastica saltate, fino alla mammografia del settembre 2016 e all’atteso primo giorno di scuola di Paola che determinerà il futuro luogo di residenza della famiglia Pausini-Carta. «Anche agli amici regalo agende, è un’ossessione, le regalo con le date importanti, importanti per me e per loro, già tutte annotate».
Lista per lista, anche la nostra conversazione è andata così: le abbiamo proposto una sequenza di versi delle sue canzoni, una timeline di connessioni a parole e pensieri che girano liberi nel mondo largo di LauraP.

Il 2016 e il ritorno
“E ritorno da te nonostante il mio orgoglio. Io ritorno perché altra scelta non c’è”.

«Sì, il 2016 sarà un anno di ritorni, tra il Festival di Sanremo e San Siro. A dire il vero sono sempre stata convinta che certe cose debbano rimanere uniche. Non potrò mai provare la stessa emozione di quando ho portato La solitudine al Festival o del concerto del 2007 allo stadio di Milano. In quello stadio ci sono tornata sì, due anni dopo, ma con le mie colleghe Amiche per l’Abruzzo. Adesso so cosa mi aspetta il prossimo giugno, l’unica paura è di salire sul palco e non vedere tutte le persone che c’erano otto anni fa. Per una donna non è facile riempire uno stadio. Altra cosa che mi spaventa è l’Olimpico di Roma, mi hanno detto che è uno spazio difficile. E, ancora una volta, non dimentichiamo – non dimentico – che sono una donna. Ad accompagnarmi in questo tour però c’è Simili, che è stato definito il mio disco più maturo. Un po’ mi fa ridere questa etichetta adesso, a 41 anni, ma effettivamente è quello che stanno scrivendo e dicendo un po’ dappertutto. Per proporlo ho fatto la scelta di partire da un singolo non radiofonico e un po’ intimista (è il Lato destro del cuore, brano scritto da Biagio Antonacci). Anche le altre canzoni di questo disco cui sono più legata sono così, come Sono solo nuvole, scritta da Giuliano Sangiorgi. Jovanotti invece mi ha regalato Innamorata, che mi farà ballare sul palco. Non vedo l’ora che sia estate».

Una canzone e l’inizio di tutto
“La solitudine fra noi, questo silenzio dentro me. È l’inquietudine di vivere la vita senza te”.

«Non so in quanti lo sappiano o lo ricordino, ma negli anni 90 a Sanremo c’era un giornalino di 3-4 pagine per gli inviati delle varie testate. Io non venivo mai menzionata tra quelli da tenere d’occhio e quando ho gareggiato fra le nuove proposte nel 1993 ero sicura di non arrivare tra i primi. Era diverso dalle ultime edizioni: adesso ti avvisano dieci minuti prima della proclamazione e ti preparano dietro al palco, invece all’epoca ci hanno messo tutti in fila dietro le quinte e ho capito di aver vinto solo quando è arrivata la mano gigante di Pippo (Baudo) a pescarmi. Ma non è stato quello il momento in cui mi sono resa conto che era fatta, che stavo per decollare, che toccava a me: non ero abituata alla televisione e non avevo telefonini, non capivo bene come funzionava e continuavo a pensare che dovevo avvertire i miei genitori. Dovevo avvertirli che avevo vinto io. Non ero consapevole del fatto che tanto mi avrebbero vista sul palco. Mio papà poi mi ha raggiunto che era quasi mezzanotte, non gli avevano dato la serata libera al piano bar, e mi ha accompagnato in hotel. Sotto la mia stanza già c’erano persone che urlavano il mio nome, siamo stati svegli tutta la notte. Il giorno dopo ho fatto Domenica In e tutti sembravano conoscermi; è stato strano, molto. A Solarolo, dove sono cresciuta, c’era gente accampata fuori da casa mia quando siamo rientrati. Proprio con le tende. Non avevamo pensato che il nostro nome e indirizzo erano sulle Pagine Gialle e chiunque poteva trovarli. Ma finché non è uscito il disco non ho davvero compreso quanto tutto fosse cambiato e sarebbe cambiato. È successo in aprile: mi hanno chiamato dall’Olanda e quando sono atterrata lì tutti cantavano La solitudine. Papà mi ha detto: sei famosa. È stato molto importante averlo al mio fianco, è lui che mi dava le regole: prova, canta, canta ancora e meglio, mangia bene, vai a dormire presto. Mi ha educata come figlia e mi ha preparato a fare un mestiere che ha bisogno di molto rispetto. Noi siamo gente di Romagna, quando c’è da lavorare lo facciamo: se vuoi la bicicletta pedali. E se devi fare 100 km li fai, e devi riuscirci senza alcun aiuto. È la mentalità della mia regione».

La figlia Paola
“Avrai gli occhi di tuo padre e la sua malinconia il silenzio senza tempo che pervade al tramonto la marea. Arriverai con la luna di settembre che verserà il suo latte dentro me e ti amerò come accade nelle favole per sempre”.

«Non sognavo di diventare famosa, diventare madre invece è qualcosa che ho voluto con tutta me stessa, qualcosa che mi ha imposto l’attesa, la resistenza alla delusione. Un desiderio che ha segnato momenti difficili, negativi, pesanti come quelli durante i quali affrontavo le cure e mi sentivo fragile e indirettamente più esposta alle critiche. Quando infine è arrivata Paola, io e Paolo, il mio compagno, abbiamo cercato di proteggerla dalla curiosità e dai riflettori. Ci siamo riusciti davvero solo in Italia, dove le leggi impediscono di pubblicare le foto di minori. Solo che spesso va a finire che scatti usciti negli altri Paesi vengano riproposti nel nostro. Proprio con Simili abbiamo iniziato a tirarla fuori dal guscio un po’ di più: nella canzone È a lei che devo l’amore si sente la sua voce. Il brano l’ha scritto Biagio Antonacci. Quando gli ho chiesto di farmi sentire qualche brano dell’album che stava preparando, mi sono accorta che era una canzone d’amore. Ma ho pensato subito che sarebbe stata perfetta anche per Paola, per una figlia. L’abbiamo registrata con lei per mandarla a Biagio, per gioco; lui ci ha detto di non tornare in studio e di lasciarla così, perché rifatta e risistemata avrebbe perso qualcosa. Adesso a Paola voglio dare stabilità. Ha imparato a sentire come spazi suoi, familiari, anche gli alberghi ma una volta ha chiesto di colpo quando saremmo tornati “a casa” ed è venuto fuori che parlava di Roma. Sarà Roma la nostra casa? Non lo so, forse, so che voglio scegliere un posto che possa essere quello in cui frequenterà una scuola normale, con gli altri bambini, tutti i giorni. Mi piacerebbe immaginarla mentre va a scuola a piedi, come facevo io. Non voglio che faccia una vita da privilegiata. I gemelli di Ricky Martin lo seguono ovunque e studiano a casa, con l’istitutore, ma io non sono convinta di un modello del genere per noi».
Integrazione e religione
“Ma arrivi tu che parli piano e chiedi scusa se ci assomigliamo. Arrivi tu da che pianeta? Io così simile a te a trasformare il suono della rabbia, io così simile a te un bacio in fronte e dopo sulle labbra. La meraviglia di essere simili, la tenerezza di essere simili, la protezione di essere simili”.

«Ovviamente non potevamo immaginare che cosa sarebbe successo a Parigi, ma Simili parla proprio dell’importanza di accettarsi nelle nostre caratteristiche comuni e nelle nostre diversità. La paura per l’altro, che sentiamo diverso, si fa sempre più potente e sottile, gli attacchi di terrorismo degli ultimi mesi sembrano aver tracciato un confine, una crepa tra le persone. Essere simili in questo momento storico non va più di moda. E soprattutto in Italia. Per quello che riguarda l’integrazione, siamo alle calende greche. Io penso che la religione spesso sia un alibi dietro cui ci si nasconde perché non si sa cosa fare. Le sto studiando tutte, le religioni, perché è un argomento che mi interessa e credo di poter affermare che nessuna religione – nessuna – possa dire che è giusto fare male agli altri. Magari non concedono pari diritti alle donne o sanciscono che i gay non si possono sposare. Ma la violenza, dare la morte in nome di Dio: tutto questo non è religioso. Bisognerebbe fare informazione su questi temi, ogni sera spiegare in televisione differenze e punti comuni, mettere insieme i pezzi. Altrimenti succederà, come sta succedendo, che anche i musulmani moderati non saranno più disposti a dire ad alta voce, e neppure a bassa voce, che non hanno nulla a che fare con gli estremisti. Che Dio è un’altra cosa. Stanno covando rabbia, tutti sembriamo covare spavento e ostilità. La situazione è sempre più tesa. Ma l’unica verità è che noi siamo simili».

Matrimonio e diritti
“Una promessa non è un documento e per amarci non ci servirà. Assomigliarci è stato semplice per noi”.

«Io e Paolo non siamo sposati. Una volta, senza consultarmi prima con lui a dire il vero, ho detto in televisione che non l’avremmo fatto finché in Italia tutti non avessero avuto pari diritti. Siamo praticamente l’ultimo Paese rimasto in cui i gay non hanno la possibilità di sposarsi e di vedere riconosciuta la loro unione. Ho vissuto in prima persona esperienze bruttissime: una coppia di amici si è vista negare il diritto a uno dei due di salire in ambulanza per accompagnare il compagno malato di cancro in ospedale. È morto durante il tragitto, non si sono potuti dire addio. Quando Paola sarà grande voglio che sia fiera del fatto che sostengo questa causa, e non in tv o sotto i riflettori, ma nella vita di tutti i giorni. Che penso delle nuove famiglie? Ho amici gay e amiche lesbiche anche con bambini, ma faccio fatica ad avere un’opinione precisa. Per alcune coppie sono portata a pensare che sia giusto, per altre meno. Non me la sento di prendere una posizione netta. Come non me la sentirei di dare una risposta unica se fossi un giudice che deve decidere a chi affidare il bambino di una coppia separata: alla madre, al padre o l’affido condiviso?
Se si parla di stepchild adoption (l’adozione del figlio del partner), però, non penso che sarebbe giusto negarla al coniuge del genitore non biologico. I diritti del bambino devono venire prima di tutto, in questo caso il diritto del bambino ad avere due genitori se è con due persone che è cresciuto o sta crescendo».

Musica (e Adele)
Io canto la vita intera e canto, io canto, per chi mi ascolterà per chi mi ascolterà”.

«Adesso ci sono dei grandissimi che stanno provando a smuovere qualcosa nel mondo della discografia. Sono un po’ le nostre cavie. Penso ad Adele e alla sua decisione di non rendere disponibile 25, il suo ultimo album, sulle piattaforme di streaming come Spotify. Io sono abbastanza d’accordo. Io ho un contratto firmato anni fa che mi obbliga a essere presente in tutti i formati, compreso lo streaming, Adele è più giovane e ha fatto una scelta che poteva fare. Penso anche io che il bene, il disco in questo caso, vada acquistato. Poi, personalmente, compro addirittura poco in digitale, sono molto legata ai supporti fisici. Quando vado a prendermi un album nuovo, mi piace toccare con mano i libretti con i testi scritti, la carta. È parte dell’esperienza della musica».