Antonio Satta, MilanoFinanza 24/12/2015, 24 dicembre 2015
AUTHORITIES SHOW
Il Governatore della Banca d’Italia a Che Tempo che fa, il presidente della Consob a Ballarò. Il bail-in non è ancora in funzione ma un cambiamento sembra averlo già prodotto. Le authority, anche le più austere, per comunicare direttamente con l’opinione pubblica si sentono in dovere di scendere nella pista virtuale del circo mediatico. È l’effetto della guerra che si è scatenata dopo che la sostanziale anticipazione delle nuove regole europee sulla risoluzione delle crisi bancarie, ha fatto capire nel modo più drastico che cosa devono aspettarsi i risparmiatori dal 1° gennaio 2016, ossia che se salta una banca oltre agli azionisti pagano anche gli investitori.
La reazione degli obbligazionisti subordinati delle quattro banche (Etruria, Marche, Ferrara e Chieti) deve aver spiazzato non solo la politica, se Ignazio Visco e Giuseppe Vegas non hanno avuto remore a correre in tv per giustificare davanti alla platea più ampia possibile l’operato delle rispettive vigilanze.
Ma molto probabilmente questa è solo mezza verità, l’altra motivazione va ricercata nello scontro che ha aperto su vari fronti il premier Matteo Renzi, che non ci sta a essere triturato come autore del decreto salva banche, un provvedimento che lui considera il frutto delle scelte fatte anni fa in Europa da altri governi, e che nei suoi vari passaggi è stato preparato più a Palazzo Koch che a Palazzo Chigi.
Non a caso quando il premier ha visto che le opposizioni, di fronte alla protesta, cominciavano a brandire la bandiera della commissione d’inchiesta sul sistema bancario, gliel’ha stappata dalle mani, facendo presentare al senatore Andrea Marcucci la proposta di legge che dovrebbe istituire l’organismo bicamerale.
E questo a costo di far salire le pressione a Visco e Vegas, che considerano un incubo la prospettiva di dover passare i prossimi mesi a fornire documenti a rispondere alle domande di un organismo parlamentare dotato degli stessi poteri di una procura, con la sicurezza che ogni cosa trasmessa o detta in quel consesso ad alta pressione politica verrà buttata nel tritacarne di un dibattito da un tanto al chilo. E questo mentre le procure, quelle vere, stanno già indagando. Ma per Renzi queste sono preoccupazioni minori, lui vuole che la commissione risalga indietro negli anni quando il sistema, con luci è ombre, ha preso forma per decisioni di governi di destra e di sinistra, ma comunque molto lontani dal suo.
Poi magari, tra due-tre mesi, quando il progetto di legge dovrà essere votato, ci sarà tempo per evitare che il lavoro della commissione serva solo ad alimentare il populismo, ma per ora la bandiera della trasparenza non la lascia agli altri.
Anche questo, però, è solo uno dei fronti aperti dal presidente del Consiglio, l’altro è quello europeo. Poco importa se finora anche lui aveva sottovalutato gli effetti delle rigidità brussellesi sui temi bancari. Preoccupavano di più i niet minacciati sulla legge di Stabilità e sul ricorso al deficit. La reazione dell’opinione pubblica ha suonato la sveglia, insieme a un’altra considerazione che si è fatta strada nei ragionamenti di Renzi e dei suoi consiglieri. Se tra i risparmiatori si diffonde il panico, se la paura innesca una fuga dagli sportelli e se il sistema bancario viene azzoppato da una crisi che è soprattutto di fiducia, allora anche la strategia di spingere ulteriormente la timida ripresa sforando i limiti di deficit andrebbe a carte quarantotto. Meglio quindi sbattere i pugni sul tavolo e sfidare i burocrati di Bruxelles e la loro principale dante causa, ossia la cancelliera Angela Merkel. Lo stesso ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, che si era imposto di calibrare ogni dichiarazione fino a marzo, cioè fino a quando la Commissione Ue dovrà dare l’ultimo voto, quello decisivo sulla legge di bilancio italiana, ha rotto gli indugi ed è arrivato a dire al Foglio, mercoledì 23 dicembre, che «in questi mesi i costi delle scelte europee, per il nostro Paese, stanno superando i benefici».
E l’occasione per rimettere in pari la bilancia con Bruxelles gliela offrono, paradossalmente, proprio le banche, Sempre nel cruciale 23 dicembre gli uffici della commissaria alla Concorrenza, Margrethe Vestager, hanno dovuto tirar fuori due documenti che s’incastrano fra loro, dando l’occasione all’Italia di portare la vicenda banche di fronte a un giudice terzo, o meglio, di fronte a un giudice, ossia la Corte di Giustizia europea. Il primo documento è la lettera a firma congiunta con il commissario alla Stabilità finanziaria Jonathan Hill, che la Vestager, ha spedito il 19 novembre al governo italiano, costringendolo di fatto a emanare il decreto salva banche nella formulazione che ora fa infuriare i risparmiatori. Con un po’ d’ipocrisia ora la Commissaria, di fronte al testo divulgato sulle agenzie, osserva che da Bruxelles non è partito alcun diktat, ma ammette che «se uno Stato membro opta per lo schema di garanzia dei depositi per ricapitalizzare una banca, allora è soggetto alle regole Ue sugli aiuti di stato». Insomma il Fitd, il Fondo di tutela dei depositi, nonostante sia finanziato da privati (le banche) per la Ue è un fondo pubblico perché i suoi apporti sono stabiliti da una legge, e quindi scatta il disco rosso. Lo stesso alzato dalla Vestager, sempre il 23 dicembre con la bocciatura del salvataggio Tercas, la banca di Teramo finita dentro la Banca popolare di Bari grazie a un finanziamento del Fitd. Vestager nello stesso comunicato si è premurata di dare la sua benedizione al piano B già predisposto dalle banche italiane, sotto la supervisione di Bankitalia, ossia la partita di giro che riporterà al fondo i soldi già anticipati, per poi restituirli alla banca, come finanziamento del braccio volontario dello stesso Fitd.
Ma ora, come scritto da MF-Milano Finanza, l’11 dicembre scorso, o il Fitd stesso o la Banca d’Italia che lo sovrintende, potranno finalmente fare ricorso alla Corte Ue, contestando l’interpretazione data da Bruxelles sulla natura di un fondo finanziato dai privati ma anche la disparità di trattamento tra banche italiane, costrette ad un simil bail-in e banche tedesche o di altre nazionalità, salvate anche di recente con fondi pubblici come Hsh Nordbank.