Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2015  dicembre 27 Domenica calendario

L’ANNO DIFFICILE DELL’EUROPA NELLE QUATTRO CRISI-CHIAVE

«La tragedia dei beni comuni», The Tragedy of Commons, è il titolo di un celebre articolo del 1968 dell’ecologo americano Garrett Hardin, ma potrebbeessere l’insegna sotto cui si apre il 2016 per l’Europa. In quel saggio su Science, Hardin esplorava il dilemma dei comportamenti umani che producono il massimo della convenienza per sé ma scaricano i costi sulla collettività. L’infinito moltiplicarsi di scelte del genere, il disinteressarsi dei «beni comuni», è la tragedia che finisce per obbligare tutti a pagare un prezzo inaccettabilmente alto. Lo stato dell’Unione europea in questa chiusura d’anno sembra la metafora perfetta di un ecologista preoccupato. Non era mai stata così acuta la tensione fra gli ingranaggi delle democrazie nazionali, con i loro sistemi interni di produzione del consenso, e i «beni comuni» di un’architettura indispensabile su scala di un continente. Il 2015 è stato segnatoda una successione di eventi nei quali questa tensione è spesso venuta fuori; il denominatore comune è stato sempre la minaccia più o meno esplicita di disintegrazione di un edificio di valori e istituzioni costruito in settant’anni. L’Unione europea non è un impero sclerotizzato, dunque probabilmente non è soggetta a cedimenti improvvisi come il blocco sovietico tre decenni fa. Esistono però anche crisi più ambigue, smottamenti protratti verso il basso. Lunghe serie di cedimenti quasi senza strappi. Per salvaguardare e far fiorire il proprio patrimonio, l’Europa deve ripartire nel 2016 dalla consapevolezza di un’eredità chiaramente in pericolo.
Nel 2015 la Grecia è stata a un passo dall’uscire dell’euro e resta ancora oggi in un tempo dolorosamente sospeso, una prognosi in permanenza riservata. Nell’ultimo biennio il tentativo dell’Ucraina di avvicinarsi all’Unione europea si è saldato nel sangue, nello smembramento del Paese e in un ritorno di guerra fredda al quale nessun governo occidentale era preparato. Lo sbarco di un milione di migranti – rifugiati dalla Siria in guerra o disperati dell’Africa subsahariana – ha rivelato la fragilità della cooperazione fra europei, del sistema di frontiere comuni con circolazione libera al loro interno, e il nazionalismo estremo presente nei Paesi emersi dall’ibernazione real-socialista. Lo stesso terrorismo jihadista, che ha colpito due volte Parigi, ha messo a nudo la riluttanza dei sistemi di intelligence in Europa a lavorare insieme e dei sistemi di difesa a mettersi a fattor comune.
L’elenco potrebbe continuare. C’è il referendum sulla possibile secessione di Londra dalla Ue convocato per il 2016; c’è la paralisi politica nella penisola iberica, frutto dell’attrito fra vecchie élite di partito sorde ai cambiamenti e nuove forze prive di un progetto credibile. Questi fattori in gran parte non sono nuovi, vengono dagli ultimi anni.
All’alba del 2016 colpisce piuttosto che nessun leader europeo abbia una diagnosi coerente – fuori dal suo «particulare» – di ciò che sta accadendo all’Unione. Viene da chiedersi come sia possibile che nessuno sembri avere un piano di lungo periodo per portare il patrimonio dell’Europa fuori da queste sabbie mobili. Naturalmente, è del tutto possibile. È la Tragedy of Commons, la tragedia dei beni comuni. Democrazie nazionali gestite solo per generare il massimo di consensi immediati al proprio interno, senza poter trovare dentro di sé le forze per far fronte ai problemi comuni, cercheranno sempre di scaricare all’esterno i costi delle proprie scelte. Ricordano aziende che tendono a massimizzare il profitto disinteressandosi dell’inquinamento che producono. Su scalaeuropea, si rischia di creare un’aria irrespirabile.
Non è vero che il 2015 ha portato solo cattive notizie. Spalle al muro, alla fine i greci hanno deciso che non volevano rinunciare all’Europa a nessun costo. E la ripresa economica si è diffusa, anche in Italia. La domanda è in quale stato si troverà l’Unione e se sarà abbastanza forte da resistere alla prossima recessione che, fisiologicamente, nei prossimi cinque o dieci anni arriverà. Il 2016 deve iniziare a dare una risposta.