Gabriele Romagnoli, la Repubblica 27/12/2015, 27 dicembre 2015
LA STORIA CORRE SULLA ROTTA FRA LA LIBIA E ABANO TERME
La storia di tutti noi è una porta girevole: ci conduce dove dobbiamo. Da Abano Terme, in Veneto, a Jadu, in Libia, per esempio. Non sono mai stato in nessuno di questi posti. Per ogni domenica di questo 2015 ho rivisitato le 50 città della mia memoria e le ho riviste con gli occhi di un altro: l’illustratore Pierluigi Longo. All’ultima tappa, l’extra di questo viaggio, ho voluto provare a far rivedere a lui, con i miei occhi, i luoghi della sua memoria. Ci siamo incontrati in una pasticceria sospesa tra Roma e Palermo e lì mi ha raccontato questa storia di guerre non combattute, contesse generose, colpi di testa e di Stato.
Comincia ad Abano Terme nel 1912, l’anno in cui nascono sia Wanda che Silvio, destinati a sposarsi 27 anni più tardi in Africa. Lei, la nonna dell’illustratore Pierluigi Longo, è di famiglia umile, provvede ai molti fratelli lavorando fin da bambina: porta l’acqua nelle case, fa le pulizie, poi trova un impiego come guardarobiera all’hotel Todeschini e lì conosce una contessa, madre di due bambini. Sia la nobildonna che i suoi figli si affezionano a Wanda e le chiedono di andare a servizio da loro, a Padova. Lei li segue, benché nel frattempo abbia conosciuto Silvio, coetaneo, falegname, uno che lavora sodo a costruire mobili per alberghi: la sera del primo bacio lui ha appena finito, con altri, una splendida porta che andrà all’ingresso di uno degli hotel che si affacciano sulla piazza. Sono lussi riflessi, come quando la contessa affida a Wanda un collier di pietre preziose perché glielo consegni a palazzo Ducale, a Venezia. Lo trasporta in treno, fra patemi e orgoglio: sarà premiata con un passaggio sulla gondola reale.
Silvio, invece, viene dal regio esercito richiamato per la guerra d’Abissinia. Parte per Tripoli e lì si ferma. Un’estrazione a sorte tra i militi del genio civile fa sì che sia tra quelli che restano a costruire la città. Non vedrà mai il fronte. In compenso vedrà il deserto, dal paese di Jadu, dove si trasferisce, sulla catena montuosa del Gebel Nefusa. Da lì scrive a Wanda, chiedendola in moglie. Lei rifiuta di farlo per procura. Risponde: piuttosto parto e ti raggiungo. La famiglia è contraria. L’avverte: in Africa, è noto, i neri si mangiano i bianchi, da qui a che arriverai lui ti avrà scordato, finirai triste e in pentola. Lei, incurante, sale sul piroscafo.
Il viaggio è lungo e all’arrivo la profezia della madre sembra realizzarsi: il futuro sposo non è venuto a prenderla, ha mandato al suo posto un nero, affamato. La perplessità dura il tempo di arrivare in quell’oasi berbera ai confini del nulla: lì si sposano e fanno la prima figlia. Lì, loro non lo raccontarono ma qui dobbiamo, sorgerà il più ferale lager gestito da italiani: contenne circa 2000 ebrei libici, ne fece morire più di 500. La famiglia dell’illustratore frattanto, per far studiare la bambina, si trasferisce nella capitale. Lui avvia una ditta d’imbottigliamento con cui fa e perde soldi. Non smarriscono mai l’amore. Vivranno a lungo e moriranno quasi insieme: nello stesso anno, come erano nati.
Era loro dolce l’espatrio, non sarebbero mai tornati, non fosse accaduto il colpo di stato del ’69, quello che portò al potere Gheddafi. L’anno successivo il colonnello decise la cacciata di tutti gli stranieri: Wanda e Silvio tornarono da dove erano partiti, ad Abano Terme. La storia si avvolge spesso su se stessa. A volte occorre un indizio chiaro per ammetterlo.
L’illustratore lo trova anni dopo, durante un trasloco. Gli capita in mano un libro che non aveva letto. Si intitola Intrigo internazionale, pubblicato da Chiarelettere e scritto da Rosario Priore, noto come “il magistrato di Ustica”. Lo sguardo gli cade su una pagina in cui appaiono due nomi che fanno parte della sua storia ma mai pensava potessero essere altrimenti collegati. Legge: «Dal 24 al 27 agosto 1969, un giovanissimo ufficiale dell’esercito libico si riunisce con i vertici dei servizi segreti italiani in un hotel di Abano Terme. In poco tempo viene congegnato un piano che consentirà il rovesciamento del regime di Idris I, Re della Libia. Gli 007 di Roma vedono il possibile catalizzatore del golpe in questo tenente vigoroso, dall’aria ribalda e genuina. Si chiama Muammar Abu Minyar al-Qadhdhafi. Nella città dei fanghi al golpe viene dato il nome di Operazione Gerusalemme».
Rilegge il nome dell’hotel dove sarebbe avvenuto il fantomatico summit. E si ricorda del nonno, di quando lo portava a spasso per Abano Terme, della volta in cui si fermò davanti proprio davanti al grande albergo e gli mostrò orgoglioso la porta girevole dicendo: «Vedi quella? Da giovane, l’ho costruita io». Ecco, pensiamo tanto alle sliding door della nostra esistenza, alle direzioni che non abbiamo preso, a come avrebbe potuto essere diverso fossimo restati, non fossimo tornati, e non ci accorgiamo che quella porta girevole ce la siamo costruita noi, per portarci dove potevamo e quel che abbiamo avuto (un amore lungo una vita, un soave esilio) era tutto quello che potevamo sognare di vivere.
Gabriele Romagnoli, la Repubblica 27/12/2015