Lorenzo Colantonio, Il Centro di Pescara 24/12//2015, 26 dicembre 2015
CHIETI
Ricattato, usato e spremuto come un limone dalla Carichieti. Gettato nella spazzatura della bad bank da Bankitalia. Andrea Repetto si sente così. Era il cliente numero uno dell’ex Cassa di Risparmio teatina. Ed è l’imprenditore che paga il prezzo più alto di tutti. Ma Repetto non ci sta ad abbassare la testa. Non si è arreso neppure di fronte all’ultimo pugno nello stomaco che gli ha inferto il commissario straordinario pignorandogli gli immobili realizzati a Pescara e Francavilla. Ha presentato un esposto in procura. Sfruttato fino all’osso vuole soprattutto dimostrare l’entità del disastro Carichieti sull’immagine di Chieti e Pescara. Un’ecatombe di occasioni perdute. L’ARCIVESCOVO DA SALVARE. «Io ci tengo a questa regione, ci tengo ancora nonostante tutto...», sospira Repetto, che apre la sua storia con un antefatto che non finirà sott’inchiesta, ma è importante per capire un incredibile se non diabolico effetto domino. Racconta, Repetto, di quando lo chiamarono in Abruzzo, nel 2005, per salvare la faccia e soprattutto la cassa dell’ex arcivescovo di Pescara, Francesco Cuccarese. Casse in rosso per decine di milioni. Dieci anni fa, l’imprenditore di Bolzano, 56 anni, ingegnere, si lanciò, pieno d’entusiasmo, in un’operazione da 50 milioni, più della metà del capitale della Cassa di risparmio teatina che era di 80 milioni. Era lui il cliente numero uno, ma oggi è anche l’unico che ha la forza di rivolgersi alla procura. Il suo esposto è come un macigno in uno stagno, perché innesca la prima inchiesta penale sulla mala gestio, o presunta tale, di Carichieti. Ma la procura che ha aperto un fascicolo non è quella di Chieti. Repetto ha depositato tutto a Pescara perché gli incontri ed i reati, tutti da dimostrare, avvennero nell’agenzia di piazza Salotto. UNA MONTAGNA DI ATTI. In procura è finita una mole enorme di documenti e registrazioni di colloqui avvenuti nell’arco dei dieci anni in cui l’imprenditore del Nord Est ha fatto il tragitto Bolzano, Pescara, Chieti tante di quelle volte da far segnare sulla sua auto 80mila chilometri l’anno. L’esposto di Repetto è una bomba giudiziaria a orologeria nelle mani del procuratore aggiunto, Cristina Tedeschini. Indagati e ipotesi d’accusa? E’ presto per dirlo, ma il fascicolo c’è e ruota intorno ad un frase, questa: «Ritengo assolutamente legittimo ipotizzare che sin dalle prime battute di questa lunga vicenda, ci sia stato un piano preordinato all’impiego di una “testa di legno” da utilizzare, controllare e successivamente eliminare una volta esaurito il compito, ovvero sbarazzarsi di un periodo iniziato con il primo finanziamento alla Ivec (la Fondazione di Cuccarese) e poi proseguito attraverso intimidazioni, coercizioni, ricatti ed operazioni bancarie sicuramente non lecite...», scrive Repetto UN ROMANZO DI 500 PAGINE. Sembra di leggere un romanzo ottocentesco, più che un esposto formale e freddo, da cui non riesci a staccare occhi e attenzione. Un romanzo con prelati, politici, faccendieri e dirigenti di banca, alcuni senza scrupoli. L’esposto circostanziato ha 500 pagine di allegati. Comincia, nel 2005, con un incontro ad Ancona tra Cuccarese, presidente della Fondazione Ivec (In Veritate et Charitate), Luciano Carozza, segretario della stessa, e Repetto. La frase magica di monsignore che convinse Repetto fu: «Lavorare per la Fondazione significa avere il passaporto per il mondo». Come non lasciarsi coinvolgere da un prelato che si presentava in tutta la sua clericale purezza? Il traguardo erano i Giochi del Mediterraneo, l’obiettivo era creare la Cittadella dello Sport, a Pescara, su terreni della Fondazione Ivec che stipulò il contratto con la Sogeo srl, la società di Bolzano di Repetto, subordinandolo ad una garanzia bancaria di 3,5 milioni. Ma il primo progetto tramontò subito per via delle voci su “problematiche finanziarie e giudiziarie” che pendevano sul monsignore, si legge nell’esposto. LA CITTADELLA DELLA CARITA’. L’esposto-romanzo va avanti con l’ingresso sulla scena dell’imprenditore Renzo Pagliai, della Sangro Invest, ed un secondo progetto, quello della Cittadella della Carità, in via Salara Vecchia a Pescara, sempre su terreni dell’arcivescovo, che la Ivec aveva rilevato dalla Napolplast dell’imprenditore Napoleone. Parte così il più grande degli affari Carichieti, un’operazione immobiliare che iniziò con la mediazione di Luciano D’Alfonso, quando era sindaco di Pescara. «Il vicario di Cristo non può essere messo in imbarazzo», è la seconda frase chiave che nell’esposto viene attribuita a D’Alfonso. Repetto diventa per la politica, la chiesa e la banca, una “gallina dalle uova d’oro”, il costruttore che avrebbe dovuto tirare fuori dai guai il monsignore che gestiva 80 milioni di euro attraverso Fondazioni benefiche. Quel Cuccarese, oggi canonico di San Pietro in Vaticano, che da arcivescovo di Pescara si era indebitato fino al collo con Carichieti attraverso un’operazione finanziaria di multicurrency, 31 milioni di euro tramutati in valuta estera, in particolare yen, che con gli utili derivanti dalle trasformazioni avrebbe dovuto coprire gli interessi passivi. Non fu per carità che Repetto si accollò i debiti di Monsignore, ma per spirito d’impresa. Una scelta per lui fatale. L’AIUTO DI D’ALFONSO. Cuccarese era il monsignore che una sera si ritrovò nella stanza di D’Alfonso, in Comune, per imploragli aiuto tra le lacrime. L’aiuto però non venne dalla Divina provvidenza, ma da Repetto che scese da Bolzano perché credeva nell’Abruzzo. E ci crede ancora adesso che la debacle di Carichieti gli ha fatto andare in fumo 28 milioni di euro investiti nel multicurrency che da Cuccarese passò nelle sue mani, ma anche 16 milioni in obbligazioni zero coupon che Carichieti gli fece acquistare e poi altri 15 milioni in un mutuo ipotecario, acceso sempre in Carichieti e infine 3,5 milioni come garanzia che gli venne chiesta quando subentrò al monsignore. Se a tutto questo aggiungiamo gli immobili realizzati in via Salara Vecchia attraverso la società Pescara Project, sua per il 51 per cento e per il resto di Pagliai, il risultato è quello di un uomo che dalla vita dice di volere solo una cosa: riavere ciò che gli è stato tolto, nel nome di un business che gli si presentò sotto forma di carità cristiana. L’OBIETTIVO DI CARICHIETI. « Il dottor Sbrolli (Roberto Sbrolli, ex dg di Carichieti, ndr) mi disse che la banca aveva assoluto bisogno di un imprenditore che mettesse un mattone sopra l’altro in quanto Bankitalia stava esercitando pressioni sempre maggiori...». Carichieti, in parole semplici, doveva trovare qualcuno che rimediasse al buco lasciato dall’arcivescovo (nel frattempo riparato prudenzialmente tra le mura leonine), cioè il super finanziamento tramutato in yen. Repetto e Pagliai si accollarono il multicurrency, e partì l’operazione Blumenpark, un intervento edilizio che di caritatevole aveva poco, su una superficie di 8.500 metri quadrati dove sono sorti palazzi con decine di appartamenti di qualità superiore a quelli che il mercato offre. Ma nel 2009 la situazione precipita. IL PRIMO STOP. Si entra nel vivo dell’esposto di Repetto quando Carichieti, gli blocca i finanziamenti mentre gli ispettori di Bankitalia mettono per la prima volta piede nell’istituto di via Colonnetta. «Non si paga nessuno», gli disse un alto dirigente della banca. Repetto denuncia che fu costretto a firmare la transazione con la Ivec di monsignore per far ripartire il finanziamento. Molti passaggi che seguono debbono per ora restare coperti dal segreto. Ma Repetto, che fa nomi e cognomi, ha registrato le voci di chi lo avrebbe ricattato, millantando conoscenze con un alto magistrato, assunzioni di figli di potenti e così imponendogli l’ennesima transazione “tombale” con la sottoscrizione di un mutuo di 15 milioni di euro, togliendogli il potere decisionale sulla vendita degli appartamenti e di effettuare i bonifici ai fornitori. Un commissariamento, un incubo, un’umiliazione. L’EPILOGO DRAMMATICO. «Si trattò di una totale e completa estromissione della società Pescara Project e del suo amministratore… Era la coercizione continua di Carichieti: se non firmi quello che vogliamo non autorizziamo i bonifici», scrive l’imprenditore alla procura documentando decine di episodi. Fino all’arrivo di Bankitalia. Fino alla decapitazione dei vertici della Cassa teatina e alle sue richieste di un incontro con il primo commissario Riccardo Sora, passato poi a Banca Etruria. «Ma la risposta non arrivò mai», conclude Repetto. Invece gli arriva un’altra cattiva notizia: la vendita anticipata del pegno multicurrency per 24 milioni. Una svendita, da parte della banca centrale, con una perdita netta (e per molti aspetti incapibile) di 4 milioni di euro seguita dal pignoramento degli immobili di via Salara Vecchia. Era venuto in Abruzzo portando lavoro e fior di milioni dal Nord Est. E’ rimasto con un pugno di mosche in mano e lo spettro di una pattumiera senza via d’uscita che si chiama bad bank. Ecco perché Repetto dice: chiedo giustizia.