Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2015  dicembre 19 Sabato calendario

LO SCACCHISTA DEL RING BOXA PER KIEV


C’è un Klitschko che ormai è sindaco di Kiev e un altro Klitschko che tra poco potrà giocarsi la rivincita per il primato mondiale dei pesi massimi contro un britannico, Tyson Fury, di dieci anni più giovane. C’è un Klitschko calcolatore e uno che sul ring è più aggressivo. C’è un Klitschko che dal pugilato è passato alla politica e un Klitschko che ha dominato la propria categoria per nove anni, secondo solo al leggendario Joe Louis. Ci sono molti Klitschko differenti, a seconda di come se ne voglia scrivere, o meglio ce ne sono due: Vitali e Wladimir, e sono fratelli.
Insieme, la coppia ha cavalcato quasi vent’anni di storia del pugilato mondiale. Il loro percorso parte da lontano, coincidendo col tramonto dell’Unione Sovietica. Vitali, classe 1971, e Wladimir, nato nel 1976, sono entrambi di buona famiglia: il padre è un ufficiale ucraino dell’Armata rossa. I ricordi della loro infanzia dicono già molto sul rapporto tra i due, rimasti inseparabili. I giovani cominciano a boxare l’uno contro l’altro nel corridoio della piccola casa in cui vivono e crescono con il culto delle arti marziali e di divi come Chuck Norris e Arnold Schwarzenegger.
Il primo a muovere i passi sul ring, Vitali, lo fa diventando kickboxer. Solo in un secondo momento i fratelli entrano nel pugilato. Nel 1995, il club della cittadina tedesca di Flensburg chiede a Vitali di combattere per loro nella divisione tedesca. Poche settimane prima dell’inizio della stagione, l’ucraino viene però squalificato per doping: «Le spese erano già state pagate e il suo nome era già nei cartelloni, eravamo davvero nei guai», racconterà Norbert Zewuhn, il manager del club all’epoca, in un documentario del 2011. «Telefonammo in Ucraina e ci assicurarono che ci avrebbero spedito un altro pugile fisicamente molto simile a Vitali, e altrettanto forte».
Quel pugile, naturalmente, era Wladimir. Per farsi notare impiega pochissimo: in Germania domina e nel 1996 conquista l’oro olimpico per l’Ucraina ad Atlanta. Abbastanza per convincere lui e il fratello a entrare nella cerchia dei professionisti. Gli inizi sono promettenti, ma non esaltanti, e i due – per quanto forti – devono lottare con lo spettro di incontri finiti male: Vitali vince il titolo dei pesi massimi Wbo già nel 1999, ma lo perde l’anno seguente contro l’americano Chris Byrd, dopo avere abbandonato il ring a causa di un infortunio alla spalla. Wladimir lo vendica, strappando la cintura a Byrd solo qualche mese più tardi, ma subisce due sconfitte pesantissime: una contro il sudafricano Come Sanders nel 2003 e un’altra nel 2004 contro l’americano Lamon Brewster, in un incontro che quasi mette fine alla sua carriera.
È proprio a partire dai pugni incassati contro Brewster che Wladimir pone le basi dei nove anni di dominio nei pesi massimi, nei quali ha conservato le cinture messe in palio da tre delle principali organizzazioni che certificano ufficialmente il titolo (Ibf, Wbo e Wba). Quando ritorna a combattere il suo stile è trasformato. «Dal 2005 non ho più fatto pugilato, ho giocato a scacchi», afferma. Wladimir diventa un combattente molto più intelligente, concentrato sulla difesa. I suoi incontri ripropongono lo stesso copione: tiene a distanza di sicurezza l’avversario utilizzando il sinistro, abbracciandolo spesso e costringendolo a un ritmo estremamente rallentato. Uno stile che gli è valso gli strali di buona parte degli appassionati, ma si è dimostrato efficace, assicurandogli un’imbattibilità durata undici anni.
Più aggressivo è invece Vitali, che dopo un temporaneo ritiro di quattro anni nel 2008 ha vinto la cintura dei pesi massimi messa in palio dalla quarta organizzazione certificatrice (Wbc), difendendola fino al ritiro avvenuto nel 2013. Oggi il suo nome è conosciuto anche in virtù dell’attivismo politico, che lo ha portato a fondare un partito e a diventare sindaco di Kiev, dopo essere stato una delle figure di spicco durante le grandi proteste del maidan ucraino. Una scelta non inattesa, a ben vedere: i due Klitschko hanno spesso coniugato lo sport all’impegno politico e sociale, diventando dei simboli per tutto il Paese e attirando frotte di connazionali, bandiere e costumi tradizionali al seguito dei loro incontri.
Istruiti (entrambi parlano tre lingue e hanno concluso un dottorato di ricerca), appassionati di scacchi e impegnati a favore dei diritti dell’infanzia e nella lotta contro l’analfabetismo, i due fratelli hanno incarnato un’immagine di pugile piuttosto atipica: «Con la loro intelligenza avrebbero potuto diventare chiunque, e invece hanno scelto di incrociare i guantoni con gente come me», dirà Lamon Brewster.
Se la saga dei Klitschko è destinata a continuare sul ring lo si vedrà nei prossimi mesi, quando Wladimir sfiderà nuovamente Fury. In molti, però, non ne sarebbero felici. Se il pugilato ha perso molta della popolarità che aveva acquisito negli ultimi trent’anni è anche per colpa dell’ucraino e del suo stile. «Non me ne frega più niente di guardare i suoi incontri», ha scritto il giornalista sportivo britannico Tim Starks. «Wladimir è così noioso che è riuscito a trasformare qualcosa di elettrizzante come un ko in un enorme sollievo, perché non dobbiamo sorbirci altre riprese».
Il giudizio è ingeneroso, per quanto giustificato. Il regno di Wladimir è durato nove anni e non è mai stato in discussione. Per lui la boxe è un fatto di testa, calcolo, strategia. Pugni e sudore, certo, ma senza rinunciare al vestito buono. Nell’ultimo decennio Wladimir ha portato gli scacchi sul ring, mentre Vitali faceva irrompere l’Ucraina nella boxe e la boxe in politica. Questione di muscoli e intelligenza, appunto, ma anche di sensibilità. Qualunque cosa riservi il futuro, l’era Klitschko ha rappresentato nella boxe l’unione di kraft und kulture, come ha puntualizzato il giornalista tedesco Hartmut Scherzer. Forza e cultura. Difficilmente gli si potrebbe dare torto.