Giulio Tremonti, estratto del libro Bugie e verità, Mondadori 2013, pubblicato il Giornale 22/12/2015, 22 dicembre 2015
C’ è
chi ha lanciato l’ allarme prima degli altri. Giulio Tremonti, economista ed ex ministro delle Finanze dei governi Berlusconi, ora senatore per il movimento 3L, nel suo libro del 2013 Bugie e verità, la ragione dei popoli (di cui pubblichiamo un estratto) analizzava i mostri economici che distruggono la vita dei cittadini italiani ed europei. Dopo il fiscal compact, che causerà un aumento dei tagli alla spesa pubblica italiana di 50 miliardi nei prossimi anni per rispettare l’ abbattimento del debito pubblico accumulato in passato. Ma è il secondo «mostro» il più temibile, il bail in.
Ovvero il salvataggio interno dei fallimenti bancari, con correntisti ed azionisti chiamati a rispondere del crac degli istituti. Una pratica che, profetizzava Tremonti due anni fa, porterà rivolte sociali. Piano piano, ci siamo arrivati.
Estratto del libro di Giulio Tremonti pubblicato da “il Giornale"
La galleria dei «mostri» europei ospita alcune nuove e ragguardevoli figure. La prima è costituita dal cosiddetto «fiscal compact». L’ idea originaria, discussa in Europa nel biennio 2009-2010, era basata sulla doppia formula, della responsabilità sopra ma anche della solidarietà sotto.
Per essere chiari, l’ idea politica che si stava sviluppando in Europa in quel biennio era questa: se la nuova geopolitica del mondo sviluppatasi con la globalizzazione e poi drammatizzata dalla crisi da una parte poneva termine all’ età dell’ oro dell’ Europa, impedendole di fare più deficit pubblici che prodotti interni lordi e dall’ altra parte disegnava un sistema mondiale articolato nel confronto-competizione, non più tra Stati-nazione ma tra blocchi continentali, allora l’ Europa non aveva altra scelta se non quella di prenderne atto cercando di cambiare a sua volta, iniziando un suo processo di reazione-riorganizzazione.
(...) Alla base, dal lato dell’ Italia c’ erano allora tre obiettivi essenziali:
1) calcolare le percentuali di riduzione del debito pubblico italiano non solo in base al valore assoluto del debito, e dunque in modo rigidamente matematico, ma anche in considerazione di «altri fattori rilevanti». In particolare si trattava di fattori quali la ricchezza patrimoniale (gli italiani, rispetto a tanti altri, hanno molto patrimonio e pochi debiti), la riforma delle pensioni (quella italiana considerata ottima già nel 2010), l’ andamento dell’ export (in crescita in Italia quasi più che altrove). Va notato che, dopo lunga e non facile contrattazione, questa richiesta è stata alla fine accettata;
2) ma anche subordinare la sottoscrizione del relativo patto all’ avvio degli eurobond, nella forma compatibile con i vigenti trattati;
3) in ogni caso (anche come strumento negoziale), chiedere di calcolare il contributo di ogni Paese al nuovo fondo di salvataggio europeo (Esm) non in base alla percentuale di partecipazione al capitale della Bce (per l’ Italia, si è detto essere questo circa pari al 18%), ma in percentuale rispetto all’ effettivo grado di esposizione al rischio estero di ciascun sistema bancario-finanziario nazionale. Il successivo governo Monti, prodotto della «chiamata dello straniero», ha invece scelto di regredire rispetto a questa linea.
Ovvero, come si dice, ha ceduto... con fermezza! È così che ora e per il futuro, a partite dal 2015, e, per ironia, proprio per espressa volontà nostra, ci troviamo obbligati non solo a pagare il conto delle perdite bancarie degli altri, ma anche a rispettare il fiscal compact: per vent’ anni tagli di spesa pubblica più o meno per 50 miliardi di euro ogni anno.
(...) Ogni tanto ci dicono che hanno appena finito di «salvare» l’ euro. La prossima volta che lo salvano ci avvertano prima, così scappiamo! (...) E, se si parla di «cartolarizzare» le perdite bancarie per trasferirle a una «bad bank» pubblica o alla stessa Bce, è questa solo una variante del medesimo esercizio da prestigiatori: da una tasca all’ altra... fino a che ci sono tasche. La cosa triste è che tutto questo giro di «commutatori cartacei» (Luigi Einaudi) dimostra che la crisi non ha insegnato nulla. La crisi è iniziata con la cartolarizzazione dei «sub-prime» e dovrebbe finire...con un’ altra cartolarizzazione!
(...) Le perdite non sono infatti mai state addebitate a chi, all’ origine, le ha davvero prodotte, all’ interno del sistema finanziario-bancario. Non sono mai state addebitate ai loro originatoti perché allora si diceva, e ancora si dice, che essi erano «troppo grandi per fallire davvero». È proprio per questo che, a partire dal 2008, le prime perdite sono state trasferite dal sistema finanziario-bancario agli Stati. È così che da allora, in Europa, non in Italia, a causa dell’ accollo dei debiti bancari, i pubblici bilanci degli Stati sono cresciuti a dismisura.
Dato che senza regole neppure questo bastava, le stesse perdite sono state trasferite al bilancio della Bce, ormai prossimo per dimensione a quello della Fed, così risultando le due banche centrali ormai simili a due mega hedge fund. Dato che neppure questo bastava e basta ancora, si pensa oggi di mettere le mani nelle tasche dei cittadini-risparmiatori, dei correntisti e dei depositanti.
(...) Se, come si è appena scritto, il primo «mostro», che ha avuto origine nel settore bancario, tanto negli Usa quanto in Europa, è stato gestito con mezzi attinti ai bilanci degli Stati; se il secondo «mostro» (che poi era una variante cresciuta del primo) è stato fronteggiato usando i fondi delle banche centrali (alias, stampando su scala industriale moneta); se tutto ciò non è servito se non a comprare tempo, a rinviare il male, a girarlo da una tasca all’ altra, oggi nel caso non improbabile che arrivi il «terzo» mostro (che poi è e/o sarà a sua volta una variante ancora più cresciuta del secondo mostro), cosa si pensa di usare, a quali mezzi si farà ricorso?
Non ai bilanci pubblici, che ormai sono esausti, non alla creazione di liquidità, impossibile da proseguire. Si pensa appunto che, di risulta, si possa fare ricorso al cosiddetto «bail-in», al quale stanno lavorando la Banca centrale europea, la Commissione europea, il Parlamento europeo.
Detto in italiano, bail-in significa «salvataggio interno». Ancora più in italiano, significa rottura del rapporto fiduciario tra banca e cliente correntista-risparmiatore-depositante. Se una banca salta, i suoi creditori dovrebbero infatti essere alla fine pagati non solo dai suoi azionisti, ma anche da chi presso la banca ha depositato i suoi risparmi. Un conto è un prestito, che può anche essere a rischio, un conto è un deposito bancario, che per sua natura è invece fiduciario! Per proteggere il «sistema» si pensa dunque di autorizzare la distruzione del risparmio come valore fiduciario e costituzionale.
(...) Per inciso va forse ricordato che, prima dell’ Europa, nella nostra Costituzione era scritto: «La Repubblica incoraggia e tutela il risparmio in tutte le sue forme» (art. 47). Ora non sarà più così, perché le «regole» europee ormai fanno premio sulle regole interne italiane!
(...) Deutsche Bundesbank Eurosystem, la banca centrale tedesca, nel suo bollettino di gennaio 2011 propone di applicare questo stesso schema, oltre che nel caso di crisi delle banche, anche nel caso di crisi degli Stati. In questa logica, come nel caso delle banche in crisi si dovrebbe procedete con il bail-in, mettendo le mani sui soldi dei risparmiatori, così parallelamente negli Stati in crisi prima di ogni intervento di «salvataggio» si dovrebbe procedere con una patrimoniale ad hoc, così mettendo le mani sui soldi dei contribuenti «responsabili» del loro debito pubblico.
In sintesi, finora l’ Europa non ha fatto le cose che doveva fare (regole vere sul sistema finanziario-bancario), mentre sta facendo cose che non dovrebbe fare. Da ultimo, si è appena visto, sta preparando il bail-in come rimedio estremo a una crisi che è continuata, che si è anzi ancor più sviluppata proprio per l’ eccesso di liquidità che è stato creato in questi ultimi due anni, nell’ illusione che fosse un rimedio e non essa stessa causa del Male.
Con una differenza, con una novità di base, rispetto a ciò che finora è stato fatto dall’ inizio della crisi. In prima battuta usare i bilanci pubblici è stato relativamente facile, certo socialmente difficile da gestire in termini di maggiori tasse; o di minori servizi sociali, ma tanto questo era un onere, un compito dei governi: che se ne assumessero loro la responsabilità. In seconda battuta, a partire dall’ autunno del 2011 creare liquidità è stato ottimo per tutti, perché è stato asettico.
Passare al bail-in o a una patrimoniale ad hoc, perché, nel frattempo non si è fatto e non si è voluto fare niente di serio; invece è politicamente esplosivo. Esplosivo in termini di rivolta sociale popolare.
Allora, sarà comunque meglio in Europa non essere al posto dei governanti o dei governatori. E davvero non ci si potrà più limitare a lanciare dai Palazzi l’ accusa di populismo! E dunque, che fare?