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 2015  dicembre 19 Sabato calendario

IL VECCHIO ZAWAHIRI ASPETTA SULLA RIVA DEL FIUME


L’esito della contesa tra lo Stato Islamico e al Qaeda per l’egemonia del jihad globale sembra chiaro: un vincitore, Abu Bakr al Baghdadi, e uno sconfitto, Ayman al Zawahiri, il medico egiziano che ha preso il posto di Osama bin Laden. Sovrano di un territorio in cui esercita il governo, resistente sul campo di battaglia, il califfo è il regista di un progetto in espansione, suffragato dall’apertura di nuove wilayat (province) e celebrato sui social network. Veterano del jihad, barba bianca e sguardo stanco, 40 anni di logorante carriera alle spalle, il vecchio al Zawahiri non conosce Twitter. Abituato ai lunghi sermoni, a suo agio negli inospitali territori a ridosso della Durand Line, incarna la vecchia guardia. Sembra un uomo del passato. Ma non è ancora pronto alla pensione.
Lo dimostra il discorso con cui nel settembre 2014 ha annunciato la creazione di al Qaeda nel subcontinente indiano (Aqis). Un piano ambizioso, frutto «di due anni» di faticose mediazioni tra gruppi diversi, molti dei quali con una lunga esperienza sui campi di battaglia, in Pakistan e Afghanistan soprattutto. Al Qaeda nel subcontinente indiano mira però a un bacino più ampio. Al Zawahiri vuole «issare la bandiera del jihad», colpire gli interessi americani e «liberare i musulmani da ingiustizia, oppressione e sofferenza» su un’area che dall’Afghanistan passa per il Pakistan, l’India, il Bangladesh e arriva fino in Birmania.
Alla guida del gruppo c’è un veterano della guerriglia, già leader dei talebani pachistani, il maulana Asim Umar. Noto ideologo e reclutatore, ha sfornato dozzine di pamphlet sulla guerra santa, sull’Armageddon, sull’imminente terza guerra mondiale. Vede dappertutto cospirazioni di ebrei e americani. Contesta l’imperialismo, il neocolonialismo e il sistema economico internazionale. Oltre che agli interessi occidentali e alle linee di rifornimento energetico «su cui si fonda la loro forza militare», il gruppo mira a destabilizzare i governi locali. A Karachi, con la complicità di ufficiali pakistani, i suoi uomini hanno cercato di sequestrare una fregata militare, con l’obiettivo di dirigere i missili a bordo contro navi statunitensi. In India, «nazione schiava» del governo indù, Aqis gioca la carta del risentimento della minoranza musulmana. E minaccia il presidente Narendra Modi, a capo dello Stato del Gujarat quando, nel 2002, ci furono pogrom contro la comunità islamica. In Bangladesh con i movimenti affiliati attacca i liberali, blogger e professori universitari. In Kashmir recluta e tesse alleanze. Al confine tra Afghanistan e Pakistan pesca i leader e gli ideologi. E si addestra.
La rete è estesa. La nascita della branca locale di al Qaeda formalizza relazioni intrattenute da anni. Rende più fluidi canali consolidati di reclutamento, finanziamento, partnership logistica e militare.
Al Qaeda raccoglie i frutti. Lo Stato Islamico li stacca dagli alberi, prematuri. Per il Califfo la pazienza di al Zawahiri è indecisione, inconcludenza, codardia. Troppo frettoloso quel califfo, pensa invece al Zawahiri. Ha in mente un’altra strategia. Coltivata negli anni e maturata dopo le primavere arabe, quando molti davano al Qaeda per morta. Per l’attuale numero uno di al Qaeda quelle primavere confermavano una sua convinzione: il jihad è solo uno strumento, l’obiettivo è il califfato. Affrettarne i tempi è dannoso. Senza il sostegno delle masse, senza la certezza della sua longevità, l’instaurazione di uno Stato islamico è controproducente. Dietro c’è la lezione di Mao. La primazia della politica sulla guerriglia. La necessità di organizzare le masse, unificare politicamente e allargare il fronte interno, prima di imbracciare le armi.
Il califfo al contrario brucia le tappe. Vuol mettere le bandierine sulla mappa. Convinto che la violenza produca consenso politico. Dietro c’è la strategia del foquismo rivoluzionario di Che Guevara e poi di Régis Debray. L’innesco della miccia che avvampa rapidamente. La violenza che aggrega. La tattica per ora sembra funzionare. I successi dello Stato Islamico sono innegabili. Ma il califfo deve dimostrare che saranno duraturi, mentre al Zawahiri può già vantare una storia pluridecennale.
Le radici di al Qaeda sono profonde. Solide. I successi non effimeri, recita l’editoriale del primo numero di Resurgence, la rivista patinata redatta in inglese da Aqis. L’11 settembre ha risvegliato l’islam «dai più lontani angoli del mondo musulmano in Asia occidentale fino al Maghreb islamico». L’onda del jihad «inaugurato in Afghanistan è la massima speranza del subcontinente».