Francesca Caferri, Affari&Finanza – la Repubblica 21/12/2015, 21 dicembre 2015
L’ARABIA SAUDITA FA SPENDING REVIEW TAGLI AL WELFARE PER ABBASSARE I PREZZI
Riad
Il giovedì sera su Tahlia street, la strada più alla moda di Riad, è un via vai continuo di macchine costose: Ferrari, Lamborghini e fuoristrada sfilano come si trovassero a una fiera dell’auto invece che all’inizio del week end in una città sonnacchiosa e conservatrice. Ai finestrini si affacciano ragazzi con orologi costosi: dai sedili posteriori scendono donne con scarpe e borse da svariate migliaia di dollari. Se questa strada fosse lo specchio della situazione economica del paese, l’Arabia Saudita non avrebbe di che preoccuparsi per anni: ma oltre le luci dei grattacieli e dei cantieri aperti anche nel week end, c’è tutta un’altra storia. A raccontarla sono prima di tutto i numeri: con un’economia dipendente all’80% dall’estrazione di petrolio e per un altro 10% dai suoi derivati, questo è uno dei paesi al mondo che più sta soffrendo per il precipitare del prezzo del greggio. Fino al 2013 il Pil segnava rialzi di tutto rispetto, invece la previsione per l’anno in corso parla di un deficit atteso del 16% e mette in guardia da altri segni negativi per i prossimi tre anni. Per questo qualche settimana fa Standard & Poor’s ha tagliato a AA- il rating sul debito saudita e avvertito gli investitori che il paese si trova davanti a una “pronunciata curva negativa”. Tesi condivisa anche dal Fondo monetario internazionale: per gli economisti di Washington se il prezzo del petrolio non tornerà a salire intorno ai 50 dollari al barile, nel giro di cinque anni molti paesi del Golfo rimarranno a secco di contanti. Fra questi Arabia Saudita, Oman e Bahrain. Nonostante gli splendori di Tahlia Street dunque, il regno è vittima di una crisi pesante. Il paradosso è che ne è anche uno dei maggiori responsabili: la legge dei numeri e quella della tradizione vogliono che dentro all’Opec la voce dei sauditi sia quella che detta la linea. Se il prezzo del barile scende, è anche perché Riad ha deciso di giocare una partita azzardata: abbassare i prezzi per mettere in un angolo con un colpo solo l’alleato storico americano, che da anni cerca di smarcarsi dalla dipendenza energetica dal Golfo, e l’arcirivale Iran, che dopo la firma dell’accordo sul nucleare si appresta a tornare al tavolo buono dei mercati internazionali. Ma queste scelte non cambiano la realtà dei fatti: i conti dell’anno in corso si chiuderanno in rosso per la prima volta dal 2009, l’anno in cui la crisi economica fece sentire gli effetti più devastanti negli Stati Uniti. «I sauditi sono a un bivio – spiega Paul Aarts, autore del recentissimo “Saudi Arabia: a Kingdom in peril”– e che strada prenderanno è difficile dirlo. Ci sono due scuole di pensiero: quella di chi dice che le riserve finanziare del regno sono abbastanza forti da aspettare che il prezzo del barile torni a 55-60 dollari. E quella di chi sostiene che il paese deve iniziare subito un rapido processo di diversificazione dell’economia, altrimenti finirà al collasso nel giro di pochi anni». Per sciogliere i dubbi ci vorrà poco. Nei prossimi giorni Riad presenterà il budget per il 2016: l’appuntamento ha un’importanza ben superiore al passato, non solo perché sarà la prima manovra a portare la firma di re Salman – salito al trono a gennaio dopo la morte del fratellastro Abdallah – ma sopratutto perché l’impronta decisiva sarà quella di Mohammed Bin Salman, 30 anni, astro nascente della scena politica nazionale: in pochi mesi il figlio prediletto del sovrano ha collezionato i titoli di vice-erede al trono, ministro della Difesa e, fondamentale, responsabile del neonato Consiglio per gli affari giovanili e lo sviluppo, organismo creato per dare spinta alla dormiente economia nazionale. È stato lui a dettare nei mesi scorsi le linee guida che per la prima volta hanno imposto all’amministrazione pubblica uno stop alle spese folli per cui era diventata famosa. Della nuova manovra ufficialmente nulla trapela, ma gli osservatori si aspettano «un cambiamento di 180 gradi rispetto a quello a cui abbiamo assistito finora. Tagli alle spese, ai benefit per migliaia di dipendenti pubblici, aumento di alcune tasse e la fine graduale dei sussidi che per anni sono serviti a comprare la fedelta’ della popolazione alla corona» per citare le parole di una fonte ben informata. Basterà per fermare l’emorragia? «Non abbiamo debito e abbiamo delle grosse riserve, siamo in grado di sostenere le nostre politiche interne e internazionali senza problemi fino a quando i mercati non ricominceranno a salire», ha risposto nei giorni scorsi il ministro degli Esteri Adel al Jubeir nel corso di un incontro con la stampa a Roma. Ma la realtà è che la diversificazione economica è un traguardo lontano e la pressione della disoccupazione giovanile in un paese dove i due terzi degli abitanti hanno meno di 30 anni, è una sfida ancora tutta da vincere: il futuro per l’Arabia Saudita è pieno di incognite. Il Re Salman dell’Arabia Saudita.
Francesca Caferri, Affari&Finanza – la Repubblica 21/12/2015