Marco Ansaldo, Affari&Finanza – la Repubblica 21/12/2015, 21 dicembre 2015
TURCHIA, L’ECONOMIA CONDANNATA ALL’ISOLAMENTO DAL PADRE PADRONE
Trebisonda
«Non tutti in Turchia approvano quello che il partito conservatore di ispirazione islamica fa. Magari lo hanno pure votato, ma lo hanno fatto per paura, soprattutto dopo le bombe scoppiate a Diyarbakir e Ankara, per il timore di una possibile instabilità economica. Perché è il clima di paura a governare oggi il Paese, e paralizza la possibilità di poter esprimere liberamente le proprie idee». L’opinione espressa dal presidente di un importante organismo turco che ha sede a Trebisonda è richiesta per suo desiderio come espressamente anonima, e come tale va rispettata. Ma per la sua chiarezza e incisività è indicativa del clima di disagio che si respira in Turchia, anche sul fronte economico, in una provincia solo apparentemente lontana e poco frequentata come è quella del Mar Nero. Eppure è non lontano da qui, nella città di Rize, da cui proviene come origine la famiglia di Recep Tayyip Erdogan, il presidente-sultano che dopo le elezioni generali del 1 novembre scorso e il 49 e rotti voti per cento ottenuti dalla sua compagine ha sempre più in pugno il suo Paese. «Trebisonda è fra le tre città turche più vivibili – dice a Repubblica Haydar Revi, il rappresentante provinciale del Partito Giustizia e Sviluppo, ormai al potere dal 2002 – qui c’è vita e pace. Questa è una città liberale e di successo. Problemi? Solo un po’ di pioggia e un minimo di questioni occupazionali. Al di là di questo, va tutto bene». Di opinione diametralmente opposta è invece il coordinatore del Partito democratico del popolo, il curdo Hazar Dilaver: «Alle elezioni c’era gente che aveva paura persino di andare a fare lo scrutatore. Qui c’è un livello tale di nazionalismo e conservatorismo che è difficile contrastare la loro propaganda. Dopo la bomba alla stazione di Ankara, poche settimane prima del voto (102 i morti, ndr), la gente ha badato alle tasche e si è rifugiata nel partito che secondo loro assicura la stabilità. A quella manifestazione curda mi trovavo a 7-8 metri dall’ordigno: fossi stato meno fortunato non sarei qui a raccontarlo. Da quel momento il nostro partito curdo ha smesso per scelta di fare campagna elettorale, e siamo entrati in Parlamento solo per il rotto della cuffia». Trebisonda, Trabzon per i turchi, è un buon esempio per un quadro della situazione economica nazionale. Tutto o quasi è in mano al partito. E all’Università locale il rettore risponde infastidito a chi gli fa osservare che in Europa e in Occidente diversi osservatori avrebbero preferito un risultato meno univoco dalle urne, preferendo interloquire con un governo formato da una coalizione pluripartita. «Ma ormai le cose stanno così – chiosa l’ambasciatore dell’Unione europea ad Ankara, il tedesco Hansjoerg Haber – il nuovo governo è stato nominato, osserveremo come lavorerà e speriamo nell’apertura di nuovi capitoli negoziali per proseguire il percorso di ingresso della Turchia nella Ue». Detto fatto. Un nuovo capitolo, il numero 22 dei 35 previsti (solo 1 è stato chiuso dal 2005 a oggi), quello sulla politica regionale, è stato avviato. Ma il disagio sul fronte economico è forte. Il premier Ahmet Davutoglu ha portato con sé come vice, con delega all’economia, l’ex responsabile delle Finanze, Mehmet Simsek. E il nuovo responsabile del dicastero economico è ora Mustafa Elitas, un industriale e dirigente della Zona Industriale di Kayseri, città considerata il nucleo centrale del partito conservatore di origine islamica, piazzata nel mezzo dell’Anatolia, regione laboriosissima e molto pia. Alle Finanze è andato Naci Agbal, già sottosegretario al Ministero delle Finanze. Ma lo sconcerto, dentro e fuori il Paese, è stato doppio per due scelte. Innanzitutto l’estromissione dal governo di Ali Babacan, l’ex ministro considerato un astro economico, definito come “il volto migliore del partito al potere” da molti giornalisti e analisti turchi ed europei, riuniti di recente a Trebisonda per un meeting organizzato dall’Unione Europea a cui ha partecipato l’ambasciatore Stefano Manservisi, capo di gabinetto dell’Alto rappresentante della UE per gli Affari Esteri, Federica Mogherini. E poi, soprattutto, per la nomina a ministro dell’Energia di Berat Albayrak, genero del Presidente Erdogan, cioè il marito della figlia, uomo che accomunava già svariati incarichi a livello imprenditoriale. Di per sé, gli ultimi dati macroeconomici della Turchia non sarebbero negativi. Nel terzo trimestre del 2015 il tasso di crescita del Pil è stato pari al 4%, a fronte del 2,9% nello stesso periodo del 2014. E a novembre l’inflazione relativa ai beni al consumo è stata dell’8,1% su base annua. L’Italia continua a collocarsi al quinto posto fra i partner turchi con 14,3 miliardi di interscambio totale. Ma un’ombra di timori per il futuro è planata sul Paese da quando alla fine di novembre un aereo turco ha abbattuto sui cieli al confine con la Siria un caccia russo. E lo stillicidio di duelli verbali fra Erdogan e Vladimir Putin è ormai quotidiano. Le minacce russe (l’ultima dello Zar: “Provino ora i turchi a violare lo spazio aereo siriano”) fanno tremare i cuori anche dei turchi più temerari, e c’è chi teme un inverno al freddo per una Ankara privata delle abituali fonti energetiche russe. Così, sospesi come ritorsione di Mosca i negoziati bilaterali sul progetto del gasdotto sottomarino Turkish Stream, che prevedeva quattro linee per il trasporto di gas naturale tra Russia e Turchia proprio attraverso il Mar Nero, è la volta di Istanbul a farsi avanti con la sua impareggiabile attrattiva nei confronti dei turisti. Le autorità turche hanno annunciato misure per attenuare i possibili effetti negativi delle sanzioni russe e puntano sul turismo (che però dovrà fare a meno, dopo quello israeliano per i dissapori con Gerusalemme, anche di quello russo). I promoter turchi hanno così messo sotto il loro occhio l’Europa occidentale e settentrionale: da anni i proventi del settore turistico hanno consentito al Paese, più di altre voci, di finanziare il disavanzo nelle partite correnti. Le entrate nette della Turchia sul turismo, per un valore di circa 46,5 miliardi di dollari, hanno finanziato il 53% del disavanzo delle partite correnti nel 2014. Poi c’è la partita che riguarda il negoziato con la UE sui profughi. Erdogan sarebbe in realtà un leader squalificato agli occhi degli occidentali (il suo Paese è anche il quinto meno liberale al mondo nel rispetto della libertà di stampa, secondo il dato recentissimo di Reporter sans frontieres), se non fosse però considerato determinante nel poter frenare gli arrivi dei migranti verso l’Europa. E così, assieme alle aperture dei capitoli per l’ingresso di Ankara, e alla concessione più immediata dei visti per i cittadini turchi, il Sultano è riuscito ad aggiungere la richiesta di 3 miliardi di euro all’anno a una UE trovatasi senza sbarramenti ai suoi confini. Dice Ilter Turan, professore di Relazioni Internazionali alla Bilgi University di Istanbul: «Erdogan ora vuole cambiare la Costituzione e instaurare un sistema che porti alla Repubblica presidenziale. Per diventare, secondo alcuni, il Presidente Eterno della Turchia. Ma mi chiedo: quanto può incidere oggi su questo disegno l’opposizione? Non solo per opporsi, ma per essere presente nella società, e interagire? E allo stesso tempo: quanta forza può dimostrare di avere la comunità economica e affaristica della Turchia? » Sono le domande che anche l’Europa si pone, per capire se il Presidente Sultano ha davvero mano libera, o se qualche barlume di alternativa possa ancora spuntare nel compattissimo orizzonte politico della Turchia di questo inizio Millennio. 1 2 Due simboli della presenza italiana in Turchia: la fabbrica di elettrodomestici Indesit-Whirlpool (1) e il terzo ponte sul Bosforo che la Astaldi sta costruendo (2) Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan: alle recenti elezioni a forza di minacce e intimidazioni ha ottenuto una forte maggioranza. Ora però si teme l’isolamento
Marco Ansaldo, Affari&Finanza – la Repubblica 21/12/2015