di ETTORE LIVINI, Affari&Finanza – la Repubblica 21/12/2015, 21 dicembre 2015
CRAMER BALL, IL MANAGER AUSTRALIANO CHE VIENE DALL’INDIA PER RISANARE ALITALIA
La soluzione più semplice, come sempre, è stato l’uovo di Colombo. Come fare a rilanciare Alitalia dopo sei anni di perdite al ritmo di 28 milioni al mese? La risposta di Etihad adesso è chiara: affidandola a uno che conosce il mestiere. Alla cloche dell’aerolinea – nell’era turbolenta dei capitani coraggiosi – si sono alternati grandi manager arrivati da altri settori e valenti uomini di marketing del largo consumo. Una frenetica staffetta di amministratori delegati un po’ a digiuno dei fondamenti dell’aviazione civile che ha lasciato come ricordo due miliardi di buco.
Gli emiri, visti i risultati, hanno cambiato rotta. Da marzo 2016 a guidare la compagnia sarà Cramer Ball, 48enne australiano che da oltre vent’anni lavora nel settore. Un uomo cresciuto a pane e aerei, abituato al Vietnam dei conti in rosso, fresco reduce dal rilancio di Seychelles Airlines e dell’indiana Jet Airways, due altre aerolinee della galassia di Abu Dhabi. L’alchimista ideale – sperano alla Magliana – cui affidare l’ultimo faticosissimo miglio dell’interminabile risanamento di Alitalia: l’integrazione nel network di Etihad, il ridisegno delle rotte e la trasformazione della società in una sorta di "brand volante" del made in Italy. Obiettivo: il ritorno all’utile. Un traguardo fissato (mancandolo) al 2011 dall’ex cordata dei patrioti e aggiornato oggi dal presidente Luca Cordero di Montezemolo al 2017.
La scelta di Ball da parte degli emiri è, in primis, un forte segno di discontinuità. Il passaporto non italiano del nuovo ad è solo l’aspetto più eclatante. La nomina, tanto per cominciare, certifica che la compagnia ha a tutti gli effetti un nuovo padrone: l’alleato del Golfo. E’ vero che la Cai, la scatola dei soci italiani guidati dalle banche, ha il 51% del capitale. E’ vero che la designazione del manager australiano è arrivata dopo un regolare iter seguito dai cacciatori di teste. Il risultato però è sotto gli occhi di tutti: il nuovo pilota di Alitalia è un uomo di assoluta fiducia di James Hogan. L’ad di Etihad ha affidato a Ball il lancio delle attività australiane e nell’Asia del sud della compagnia. E lui – forte della sua formazione contabile-finanziaria e di una prima esperienza in compagnie come Ansett, Qantas e Gulf – ha cavalcato l’onda.
Quando gli emiri hanno iniziato a collezionare partecipazioni in altre compagnie per costruire la loro ragnatela di collegamenti mondiali, lui è stato spedito a farsi le ossa alle Seychelles Airlines. Era solo la prima palestra. Risanati i conti della società dell’arcipelago, Abu Dhabi l’ha scelto a inizio 2014 per un compito decisamente più complesso: rimettere ordine nel bilancio della Jet Airways dopo averne acquistato il 24% per 750 milioni. La situazione che ha trovato nel subcontinente allora non è troppo diversa da quello che troverà ora a Roma: una compagnia travolta da perdite record, reduce da un turnover compulsivo di manager, impegnata in un processo di ristrutturazione a base di misure lacrime e sangue e alle prese con l’integrazione con il nuovo partner.
La missione, lo certificano i risultati, è compiuta. Ball lascia dopo quasi due anni un’azienda tornata in utile dodici mesi prima del previsto e con una quota del mercato del trasporto aereo indiano (in crescita a ritmi del 20% l’anno) balzata al 26%. Nessuno così si è stupito quando nella corsa per la poltrona di amministratore delegato di Alitalia è spuntato il suo nome. Il curriculum, inclusa una moglie italo-australiana, è lì da leggere. E il salto da Mumbai a Roma – a ìl netto delle selezioni dei cacciatori di teste – è stato un passaggio quasi logico.
Come si muoverà ora? Una cosa, visti gli eventi degli ultimi mesi, è certa. Il nuovo numero uno della Magliana condividerà la guida della società con un altro numero uno: Luca Cordero di Montezemolo. Ball – forte di un know-how molto più profondo dei suoi predecessori – nel ruolo di vero manager operativo, con l’incarico di potenziare le sinergie su network, aerei, fornitori, training, manutenzione e accelerare il volo verso i profitti. Montezemolo a fare da garante dell’italianità e – grazie forse a deleghe rafforzate – a curare la regia dell’alleanza.
I tempi della staffetta, in questo caso, parlano da soli. Chiodo, dice la saggezza popolare, scaccia chiodo. E l’ex ad della Ferrari, dopo il tribolato addio al Cavallino e alla Formula Uno, è rinato a nuova vita da quando ha preso in mano un pezzo della cloche di Alitalia. Il suo compito sembrava quello di presidente "di campanello". Buono per appuntamenti di rappresentanza istituzionale. Dopo l’addio di Silvano Cassano, invece, è stato lui a prendere le redini del gruppo, mettendo in piazza gli errori fatti ("la gente non ha percepito il nostro sforzo di cambiamento") e indicando con chiarezza la strada per recuperare il tempo perduto. Hogan così si è concesso il lusso di decidere con calma. Alitalia, pur senza ad, non è senza guida. E l’"australiano" – come già lo chiamano alla Magliana – potrà arrivare con tutto comodo a marzo 2016.
Se il buongiorno si vede dal mattino, si può dire che le stelle abbiano iniziato a sorridergli. Oggi nei cieli d’Alitalia c’è una congiuntura astrale positiva, un’occasione unica per aiutarla a voltare pagina. Il socio di riferimento arabo ha le spalle larghe: sulla compagnia ha già scommesso di tasca sua oltre 500 milioni. E nessuno oggi come oggi teme che tornino i giorni bui (nemmeno troppo lontani) in cui si faticavano a mettere assieme i soldi per pagare gli stipendi.
A consentire un po’ di ottimismo è anche il prezzo del greggio. Il crollo del barile ha regalato una bella sforbiciata ai costi di gestione della compagnia. E il Bengodi, incrociano le dita al quartier generale, sembra destinato a durare. Certo una parte degli acquisti di quest’anno è stata regolata ai prezzi alti dello scorso anno, quando ci si era tutelati da choc sul greggio con della ricoperture in derivati. I vantaggi contabili dovrebbero però aumentare nei prossimi mesi, rendendo meno utopistico l’obiettivo del profitto. I conti del settore sono brillantissimi: la Iata prevede per quest’anno 33 miliardi di profitti, destinati a salire a 36 nel 2016.
Ball inizia così il suo lavoro nel migliore dei mondi possibili, con un traffico in crescita che ha consentito alla società di consolidare la pax aziendale dimezzando le persone in cassa integrazione. Di suo ci metterà l’esperienza positiva in Jet Airways replicandola su un network molto simile. Fatto di tanti (troppi, dicono tutti) collegamenti a breve-medio raggio messi sotto pressione competitiva dalle low cost e da una rete di collegamenti intercontinentali – i più redditizi – tutta da reinventare e da integrare nelle tratte dell’alleanza che ruota attorno a Etihad.
Montezemolo, al suo fianco, ci metterà del suo. L’insistenza sulla qualità del servizio, l’offerta di un autista per la business, i "tutor" dei passeggeri in transito per tutti e il nuovo look di divise e lounge sono iniziative in gran parte farina del suo sacco. E sono i primi mattoni di quella svolta che – negli auspici del management – dovrebbe riportare Alitalia ai fasti dei suoi tempi migliori, allontanandola dall’attrazione fatale delle low-cost.
L’occasione, alla Magliana l’hanno capito tutti, non solo è unica ma pure – con ogni probabilità – l’ultima. I soldi ci sono. Il partner di Abu Dhabi è in grado di metterci gli aerei. Il mercato tira come non mai. Alla cloche c’è un manager che conosce questo mondo come le sue tasche e che in più (se non altro per la lingua madre) è lontano mille miglia da quel clima consociativo con la politica e i campanili che ha impallinato in passato molti dei tentativi di rinascita di Alitalia. Il petrolio, finché dura, viaggia sotto i 40 dollari al barile, un sogno. Il salvataggio è ora o mai più. Sta passando l’ultimo treno (o meglio l’ultimo aereo). Non prenderlo sarebbe l’ultimo disastro.
di ETTORE LIVINI, Affari&Finanza – la Repubblica 21/12/2015