Riccardo Crivelli, SportWeek 19/12/2015, 19 dicembre 2015
FINALMENTE VADO A SCIARE (SENZA RACCHETTE)
[Flavia Pennetta]
Flavia ci mancherà, inutile negarlo. E non soltanto perché le emozioni della notte magica di New York, il trionfo allo Us Open nella finale tutta italiana contro Roberta Vinci, l’amica di una vita, resteranno scolpite per sempre nella pietra viva della storia del nostro sport. Flavia ci mancherà perché è sempre stata una di noi, la ragazza della porta accanto che ti ammalia con quel sorriso contagioso, la compagna di banco che ti ha fatto innamorare per la sua gioia di vivere e la semplicità dei gesti quotidiani.
La Pennetta non è mai stata la campionessa spocchiosa che abita su una nuvola, lontana dal mondo, con il fascino altezzoso e inavvicinabile di chi si sente investito di talenti e per questo non ne dispensa. Flavia sarà per sempre la presenza discreta che riscalda la casa, l’ospite ideale. Per questo non uscirà dai nostri cuori, nemmeno adesso che ha lasciato i campi di tutto il mondo orfani delle sue qualità. La fidanzata d’Italia, anche se il fidanzato vero, Fabio Fognini, adesso potrà averla tutta per sé.
Con le partite di esibizione in India del circuito Ibtl, si è chiusa la sua ufficialmente esperienza con il tennisgiocato. Ma è davvero così?
«Certo, nessun rimpianto, anche se non è cambiato nulla rispetto allo Us Open e per adesso mi vedo ancora come una giocatrice. Onestamente, però, cominciavo a sentirmi un po’ vecchia per il tennis, ma non per la quotidianità. Pensavo al ritiro già da inizio anno, perché non riuscivo più a trovare le motivazioni adatte per continuare questo tipo di vita. Annunciarlo subito dopo il trionfo di New York è stato un sogno. Nonostante il mio ritiro non sia stato magico come quello di Pete Sampras (che diede l’addio al tennis subito dopo la vittoria nello Us Open 2002; ndr), posso dire di aver fatto una carriera fantastica».
Davvero la racchetta adesso è appesa al muro della sua stanza?
«Sì. Dopo più di vent’anni in cui è stata mia fedele compagna, non se ne avrà a male se rimane sul letto per un paio di mesi senza che io la tocchi... Scherzi a parte, continuerò a restare in allenamento, a curare il fisico, perché ci tengo. Ma per un po’ non giocherò più, nemmeno per diletto. Anche perché è tornato a farmi male il polso e certo non guarisce se continuo a sollecitarlo. Il dottore mi ha detto che l’unica cura è il riposo. Lo seguirò alla lettera».
Tutti i giocatori che hanno partecipato alla Ibtl ne hanno parlato come di un’esperienza molto divertente. Ci dica la verità: non è che le partite in India le hanno fatto tornare la voglia?
«Noooo!!! Lo ripeto, non giocherò più. Ma non posso negare che il viaggio abbia rappresentato un’esperienza fantastica, c’era un clima molto sereno, la mancanza di agonismo esasperato ha facilitato i rapporti umani, ci siamo sentiti tutti amici. E poi ho scoperto Richard Krajicek (vincitore a Wimbledon nel 1996; ndr), si è ritirato quando io stavo affacciandomi sul circuito professionistico, non lo conoscevo affatto: è spiritoso, simpatico, disponibilissimo. Sono contento sia rimasto nel tennis con un ruolo dirigenziale, c’è bisogno di ex giocatori con una visione più nuova e accattivante del circuito».
Se avesse perso la finale dello Us Open sarebbe stato un dramma?
«Ovviamente vincere e perdere sono due cose differenti... Prima dello Us Open non avrei mai pensato di poter arrivare in finale. Ma quando sei lì e dall’altra parte non c’è Serena Williams ma Roberta, una sconfitta diventa più difficile da accettare. Sarei stata comunque felice ma magari dopo un po’ di tempo. Non proprio il giorno dopo o la settimana dopo».
Cosa pensa delle altre ragazze italiane come la Schiavone, la Vinci, che pure si ritirerà alla fine dell’anno prossimo, o la Errani, che hanno ancora grandissimo successo nel tennis nonostante l’età che avanza? È qualcosa che si lega al vostro modo di giocare? Oppure forse al fatto che siete cresciute tutte insieme?
«Ovviamente per l’Italia avere così tante buone giocatrici nello stesso momento è stato fantastico. Abbiamo iniziato nel 2006 con la prima vittoria in Fed Cup. Da quel momento, è stato tutto un crescendo. Quando sono diventata top ten nel 2009, credo sia stata una grande motivazione per tutte. Francesca ha vinto il Roland Garros, poi è stato il momento di Sara, poi Roberta e poi ancora io. La cosa positiva è che c’è sempre almeno una di noi che fa degli ottimi risultati. È importante restare al vertice, fa bene a tutto il movimento».
Quindi possiamo immaginare che i trionfi in Fed Cup restino tra i suoi ricordi più belli, anche se il tennis è soprattutto uno sport individuale.
«Infatti al primo posto tra le soddisfazioni in carriera metto ovviamente la vittoria a New York, poi viene l’ingresso nella top ten. Al terzo posto, comunque sul podio, le vittorie in Fed Cup, soprattutto perché le ho ottenute insieme ad amiche vere. Lo sa che con Francesca, Sara e Roberta abbiamo creato un gruppo privato di WhatsApp che si ispira proprio a quegli straordinari successi? Non le dico quanto ci piace chattare tra noi...».
E per quel posto da capitana quando Corrado Barazzutti lascerà?
«Se mi offrissero la panchina di Fed Cup, dubito fortemente che rifiuterei».
Ha sempre allontanato la possibilità di diventare allenatrice. Però non ha mai negato che le piacerebbe insegnare ai bambini. È sempre un’opzione?
«Forse. È una cosa che mi piacerebbe fare, anche solo per far capire a loro e ai genitori che tipo di vita sarebbe. C’è tanta pressione sui ragazzi giovani perché un giorno diventino dei campioni. Penso che ci sia un momento giusto per ogni cosa. Hanno bisogno di essere bambini, di divertirsi soprattutto, non devono essere professionisti a dieci anni. Hanno così tanto tempo davanti a loro. Perché correre in questo modo? Penso che siano molto spinti dagli sponsor, dalle famiglie, da altro ancora. In passato era tutto più rilassante. Ora lo vogliono troppo e troppo presto».
Ha mai ripensato a quella palla uscita di centimetri contro la Sharapova al Masters? Probabilmente l’avrebbe portata in semifinale, e poi il torneo è stato vinto dalla Radwanska che lei aveva appena battuto.
«Mi è rimasta in mente qualche giorno, in effetti. Una semifinale al Masters avrebbe dato un senso compiuto a tutta questa fantastica stagione, sarebbe stato un bel modo per congedarmi, ma non posso certo lamentarmi...».
C’è qualcosa che Flavia donna e non tennista vorrebbe fare subito? Un viaggio, magari?
«No, un viaggio proprio no. Ho passato gran parte della mia vita su un aereo o in una camera d’hotel, non ne avverto la mancanza. E poi viaggerò con Fabio per stargli al fianco in qualche torneo. Intanto mi godo la quotidianità, il piacere delle piccole cose della vita, un profumo, un colore, cucinare per gli amici. Ecco, mi manca molto la montagna, andrei a sciare, quello sì. Non lo faccio da quando avevo 14 anni, era troppo pericoloso per il mio futuro da tennista ad alto livello. Sì, credo proprio che mi concederò una bella sciata».
Barcellona diventa da oggi la sua città?
«Lo è da un po’ di tempo, tanto che ci ho preso casa con Fabio. Ma per adesso faccio avanti e indietro con Brindisi, soprattutto nei weekend. Sa, devo abituare mio padre all’idea che non giocherò più...».
A proposito della vita di coppia: una fidanzata che ha vinto uno Slam è più autorevole?
«Devo dire che quando gli faccio notare che io ho vinto un Major e lui no, improvvisamente si calma. Purtroppo Fabio è nato nella stessa era di Djokovic, Murray, Federer e Nadal, forse la migliore epoca di sempre, ma a volte i tabelloni si aprono e lui deve essere bravo ad approfittarne».
Ma chi sta decidendo l’arredamento?
«La casa sta prendendo vita grazie al gusto di entrambi, ci troviamo d’accordo su quasi tutto. Ci dividono solo i quadri: lui vorrebbe appenderli subito, farebbe mille buchi sui muri, io sono più riflessiva, mi piace studiare la posizione migliore, mi faccio guidare dalle sensazioni».
E il matrimonio?
«Fabio ha già risposto in tempi non sospetti: quando ci saranno novità, vi faremo sapere».