varie, 22 dicembre 2015
DELITTI USCITI SUL FOGLIO DEI FOGLI DEL 21 DICEMBRE 2015
Francesco Amuro, 54 anni. Napoletano, viveva con i genitori in una casa sulle colline di Piano di Sorrento e di continuo accusava il fratello Salvatore, 52 anni, che abitava lì vicino, di essere un «nullafacente». Glielo disse pure lunedì 7 dicembre e allora quello, afferrata una vanga, gliela suonò sulla testa fino a sfondargli il cranio, poi caricò il cadavere in una carriola e lo scaricò in un fosso. Quindi andò a comprare dieci litri di soda caustica e ci sciolse la salma. Una sorella dei due, il giorno dopo, denunciò la scomparsa di Francesco. Salvatore, convocato in caserma assieme ad altri parenti, ai carabinieri raccontò che aveva visto il fratello che si allontanava in auto e che da allora non ne aveva più avuto notizie. Poi, sentendosi il fiato sul collo, prese il passaporto e alcuni effetti personali e scappò via. La figlia denunciò la sua scomparsa e i carabinieri lo trovarono nelle campagne di proprietà della famiglia, dove aveva deciso di nascondersi prima di fuggire definitivamente.
Giornata di lunedì 7 dicembre sulle colline di Piano di Sorrento in provincia di Napoli.
Francesco Fiorillo, 45 anni. Di Vibo Valentia, separato, qualche precedente alle spalle, l’altra sera era sulla sua Fiat Uno vicino al cancello di casa quando arrivarono due che gli spararono alla testa e alle spalle sette colpi di pistola.
Sera di martedì 15 dicembre nella frazione Longobardi di Vibo Valentia.
Andrea Gennari, 44 anni. Di Novara, alto, robusto, viveva con la madre. L’altra sera guardò una partita in un bar di periferia con l’amico Nicola Sansarella, 40 anni, noto come uno violento e attaccabrighe, spesso coinvolto in risse e pestaggi. Dopo la partita tra i due, entrambi ubriachi, per qualche sciocchezza scoppiò una lite in strada, il Sansarella prese il Gennari a calci e pugni, lo finì a bastonate, poi trascinò il cadavere in un boschetto lì vicino, nel quartiere Santa Rita, lo seppellì sotto una coltre di sterpaglie, e come nulla fosse se ne tornò a casa sua.
Sera di lunedì 14 dicembre a Novara.
Giuseppe Mugnos, 62 anni, e Francesca Re, 60 anni. Marito e moglie, residenti a Milano, lui, titolare di una piccola impresa di pulizie, una passione per la bottiglia, un tempo era solito picchiare la moglie ma ormai stava sulla sedia a rotelle a causa di un diabete arrivato dopo una cirrosi epatica che gli aveva portato via tutte e due le gambe. Con loro abitava l’unico figlio Davide, 26 anni, tossico e alcolista, depresso, nullafacente, tornato a casa da qualche giorno dopo un periodo in una comunità vicino Frosinone, a detta dei vicini «molto aggressivo». L’altra notte, in salotto, la mamma gli disse che lo vedeva troppo strano e pertanto doveva tornare in comunità, allora lui prese un coltello da cucina e le infilò la lama almeno venti volte nel collo e nella pancia, finché la vide stecchita sul pavimento in una pozza di sangue. Poi raggiunse il padre in camera da letto e accoltellò più volte in tutto il corpo pure lui. Un poliziotto che abita al piano di sotto sentendo le grida corse su, il ragazzo gli aprì la porta in pigiama, tutto confuso, la lama ancora in mano, e gli disse: «Mi avevano fatto arrabbiare. Li odiavo». Poi, in commissariato, ripeté a verbale: «Mia madre mi voleva rimandare in comunità. Era cattiva. La odiavo. Voleva uccidermi».
Verso le quattro di notte di lunedì 14 dicembre al settimo piano di un palazzone beige in via Edison 666 a Sesto San Giovanni, Milano.
Domenico “Mimmo” Sequino, 56 anni. Tassista a Gela (Caltanissetta), sposato, tre figli, precedenti per associazione mafiosa, una passione per il gioco d’azzardo, l’altra sera chiacchierava con un amico sul sagrato del Duomo quando arrivarono due a bordo di una moto, i volti coperti da caschi integrali, che gli spararono addosso cinque colpi di pistola, tra il fuggi fuggi della gente che gremiva la piazza.
Poco dopo le 20 di giovedì 17 dicembre sul sagrato del Duomo di Gela (Caltanissetta), di fronte alla centralissima piazza Umberto e a corso Vittorio Emanuele.
SUICIDI
L. A., 28 anni. Residente in provincia di Macerata, l’altro giorno andò in un casolare di campagna, prese una corda, la legò a una balaustra, si strinse un cappio attorno al collo e si lasciò penzolare.
Verso le 13 di giovedì 17 dicembre a Montefano, Macerata.
Maria Luisa Mazzanti, 67 anni. Milanese, afflitta da tempo da problemi psichici, viveva col marito Roberto Marsi, 70 anni, avvocato in pensione, in una bella villa circondata da un parco a Bernate Ticino, piccolo comune in provincia di Milano. L’altro giorno colta da raptus impugnò la pistola del marito e gli sparò un colpo ai genitali, quindi si puntò l’arma nell’addome e fece fuoco. Lei, morta all’arrivo dei soccorritori. Lui, grave in ospedale.
Alle 13 di giovedì 17 dicembre in una villa in via del Porto a Bernate Ticino, piccolo comune in provincia di Milano.