Fabrizio Goria, Corriere Economia 21/12/2015, 21 dicembre 2015
SORPRESA: LA CRESCITA TORNERA’ (FORSE) A VIVERE QUI
Dopo un 2015 per molti versi paradigmatico, basti pensare alle mosse della Banca centrale europea (Bce) o all’andamento del prezzo del greggio, il 2016 potrebbe essere ancora più significativo. È previsto infatti un consolidamento della crescita economica globale. Non mancano però i rischi al ribasso.
Tre le incognite da tenere sotto osservazione: il trend dei prezzi delle commodity energetiche, le azioni della Federal Reserve e la risposta dei mercati emergenti alla crisi strutturale che stanno attraversando.
Le premesse, nonostante i rischi geopolitici esistenti, sono buone. L’economia mondiale sembra proiettata verso un’espansione che fino a qualche anno fa sembrava insperata. Secondo l’ultimo World economic outlook del Fondo monetario internazionale (Fmi), pubblicato in ottobre, il Pil globale crescerà del 3,6% nel 2016, cinque decimali in più del 2015. Merito soprattutto del rimbalzo del volume del commercio internazionale, che si espanderà del 4,1%, cioè lo 0,9% in più di quanto registrato nel 2015. A spingere saranno soprattutto le economie in via di sviluppo, ma è possibile anche che ci siano sorprese in quelle avanzate, che stanno confermando un generale processo di normalizzazione verso il basso. Traduzione: i Paesi avanzati dovranno fare i conti con il nuovo paradigma di tassi d’interesse relativamente bassi, una crescita modesta e il continuo deleveraging bancario.
Tuttavia, come spiega Philippe Waechter, capo economista di Natixis Asset Management, «un nuovo slancio per la crescita nel 2016 dovrebbe provenire dalla zona euro. Tale miglioramento, seppur moderato, potrebbe alimentare la ripresa degli scambi internazionali». La conseguenza è che l’espansione del Pil su scala planetaria potrebbe essere rivista al rialzo dal Fondo monetario.
I rischi maggiori sono quelli che arrivano dal mercato delle commodity. La tendenza al ribasso del prezzo del greggio non pare avere un freno, ma tutto dipende dalle decisioni dell’Opec. Secondo le previsioni di Goldman Sachs, il brent (cioè quello del Mare del Nord) raggiungerà quota 56 dollari al barile a fine 2016, mentre il Wti (quello statunitense) toccherà i 52 dollari al barile nello stesso orizzonte temporale. Se così fosse, potrebbe anche esserci miglioramento dell’inflazione a livello globale.
La crescita però potrebbe essere minata, in modo più o meno rilevante, dal processo di normalizzazione della politica monetaria della Fed. L’exit strategy è iniziata, dopo otto anni di allentamento e stimoli, ma quello che conta è il ritmo che avrà questo fenomeno. L’ultimo sondaggio condotto da Bank of America-Merrill Lynch e rivolto ai gestori dei fondi d’investimento ha fornito un risultato netto. Il 58% degli intervistati ritiene che la Fed alzerà i tassi tre volte o più nei prossimi dodici mesi. E non è poco. Resta da vedere quanto quest’ultima sarà graduale.
Janet Yellen, governatore della Fed, ha sempre ribadito che ogni decisione della banca centrale statunitense sarà basata sui dati, e non sugli umori dei mercati. Cosa accadrà quindi se ci fosse un impatto sulla liquidità globale più grande del previsto? È probabile che il percorso della Fed venga rallentato, diseallineandosi dalle aspettative degli investitori e provocando un circolo vizioso di elevata volatilità sui mercati globali, dall’azionario all’obbligazionario.
Da non sottovalutare è nemmeno la situazione in cui si trovano gli Emergenti. Sia i Brics (Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica) sia i Mikt (Messico, Indonesia, Corea del Sud, Turchia) stanno tentando di trovare un equilibrio dopo la grande correzione patita nel 2015. E la troveranno solo se riusciranno a fronteggiare la sfida più grande: mutare i fattori produttivi domestici per evitare il collasso. La Cina lo sta facendo, anche se il sentiero è lungo. Il Brasile molto meno, ma potrebbe beneficiare dalla vivacità del commercio internazionale.
La doppia sfida, quella del consolidamento di una crescita globale e del mantenimento del sottile equilibrio fra aree macroeconomiche, che devono affrontare i banchieri centrali, dalla Yellen a Mario Draghi, passando per Mark Carney, non è semplice.
Ma, come ricordano gli analisti di Morgan Stanley, «se sono riusciti a superare gli ultimi anni, allora sono pronti anche per il prossimo». Sperando che non ci siano choc esogeni.