Alberto Flores D’Arcais, la Repubblica 20/12/2015, 20 dicembre 2015
LA POLITICA USA VISTA DAL TEXAS
Quella mattina del 22 novembre 1963, in quello che sarebbe stato l’ultimo giorno della sua vita, John Fitzgerald Kennedy disse alla moglie Jackie una frase profetica: «Oggi stiamo andando nella nut country ». Un paese di nuts nel senso di pazzi, teste calde o estremisti, tanto che la coppia presidenziale era stata accolta dal più importante quotidiano cittadino (Dallas Morning News) con un finto avviso funebre listato a lutto in cui JFK e la First Lady erano definiti pro-comunisti.
Oltre mezzo secolo dopo un libro di Edward H. Miller (uno storico che insegna alla Northeastern University di Chicago) racconta come un potente gruppo di businessmen ultra-conservatori, di leader religiosi e di politici populisti hanno trasformato e rimodellato – partendo proprio da Dallas (e dal Texas) – il Grand Old Party, il partito che fu di Abraham Lincoln.
Nel saggio (Nut Country: Right Wing Dallas And The Birth Of The Southern Strategy, Chicago University Press) Miller spiega in dettaglio quella “strategia sudista” – un misto di anti-comunismo da trincea, fondamentalismo biblico, razzismo – che ha generato un nuovo populismo (anche violento) che dal Texas si è diffuso in (quasi) tutti gli States cambiando la natura stessa del partito repubblicano.
In un anno elettorale che vede in pole position (tra i candidati del Gop) uomini come Donald Trump e Ted Cruz (il più amato dai Tea Party) il libro di Edward H. Miller ci offre un’avvincente racconto del “new republican party” con i suoi linguaggi apocalittici, le sue teorie cospirative e una rigidità ideologica in un mix che rappresenta un’importante novità della politica negli Stati Uniti di oggi.