VARIE 20/12/2015, 20 dicembre 2015
APPUNTI PER GAZZETTA - LE ELEZIONI IN SPAGNA
ORE 22.11
CORRIERE.IT
[Esplora il significato del termine: Nessuno esulta in Spagna. A oltre metà dello scrutinio di quelle che sono considerate elezioni storiche, si delinea una situazione di stallo che conferma la fine del bipartitismo spagnolo. Con il 63 per cento dei seggi scrutinati i popolari del premier Mariano Rajoy sono in testa con 125 seggi e il 28.04 per cento dei voti. Un dato non sufficiente per governare da soli. Il Psoe di Pedro Sanchez ha 94 seggi e il 22.71 per cento dei voti, mentre Podemos guidato da Pablo Iglesias conquista 68 seggi e il 20.43 per cento. Ciudadanos guidato da Albert Rivera si aggiudica 34 seggi e il 13.20 per cento dei voti. I popolari del premier Mariano Rajoy sono dunque il primo partito ma senza la maggioranza in parlamento che scatta con 176 seggi. Gli scenari possibili In Andalusia, roccaforte dei socialisti, il Psoe è al primo posto, in Catalogna e nei Paesi Baschi in testa è Podemos grazie agli apparentamenti locali. In tutto il resto della Spagna, Madrid compresa, il primo partito sono i popolari. Molti dunque gli scenari possibili: un’alleanza di centrodestra tra Pp e Ciudadanos, una di centrosinistra tra socialisti e Podemos, un’amministrazione di minoranza oppure nuove elezioni. Mercoledì Rajoy aveva detto di esser pronto a considerare un’alleanza per garantire un governo stabile nei prossimi quattro anni, ma tutti gli altri movimenti si erano detti non disposti a entrare in una coalizione con il suo Pp. Fonti interne ai partiti ] Nessuno esulta in Spagna. A oltre metà dello scrutinio di quelle che sono considerate elezioni storiche, si delinea una situazione di stallo che conferma la fine del bipartitismo spagnolo. Con il 63 per cento dei seggi scrutinati i popolari del premier Mariano Rajoy sono in testa con 125 seggi e il 28.04 per cento dei voti. Un dato non sufficiente per governare da soli. Il Psoe di Pedro Sanchez ha 94 seggi e il 22.71 per cento dei voti, mentre Podemos guidato da Pablo Iglesias conquista 68 seggi e il 20.43 per cento. Ciudadanos guidato da Albert Rivera si aggiudica 34 seggi e il 13.20 per cento dei voti. I popolari del premier Mariano Rajoy sono dunque il primo partito ma senza la maggioranza in parlamento che scatta con 176 seggi.
Gli scenari possibili
In Andalusia, roccaforte dei socialisti, il Psoe è al primo posto, in Catalogna e nei Paesi Baschi in testa è Podemos grazie agli apparentamenti locali. In tutto il resto della Spagna, Madrid compresa, il primo partito sono i popolari. Molti dunque gli scenari possibili: un’alleanza di centrodestra tra Pp e Ciudadanos, una di centrosinistra tra socialisti e Podemos, un’amministrazione di minoranza oppure nuove elezioni. Mercoledì Rajoy aveva detto di esser pronto a considerare un’alleanza per garantire un governo stabile nei prossimi quattro anni, ma tutti gli altri movimenti si erano detti non disposti a entrare in una coalizione con il suo Pp. Fonti interne ai partiti "giovani" di Ciudadanos e Podemos dicono che l’obiettivo vada oltre il voto di oggi e che i rispettivi leader sino pronti ad alleanze solo in cambio di significative concessioni. Nessuno dunque esulta, mentre a Madrid sono arrivati nei quartieri generali dei rispettivi partiti Iglesias, Rivera e Sanchez. «Il bipartitismo è finito ed entriamo in una nuova era del nostro Paese», ha dichiarato il numero due e portavoce di Podemos, Inigo Errejon, nel primo commento ai risultati.
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Spagna: l’attesa dei risultati dopo il voto
Spagna: l’attesa dei risultati dopo il voto
Spagna: l?attesa dei risultati dopo il voto
Spagna: l’attesa dei risultati dopo il voto
Spagna: l?attesa dei risultati dopo il voto
Spagna: l’attesa dei risultati dopo il voto
Spagna: l?attesa dei risultati dopo il voto
Spagna: l’attesa dei risultati dopo il voto
Spagna: l?attesa dei risultati dopo il voto
Spagna: l’attesa dei risultati dopo il voto
Spagna: l?attesa dei risultati dopo il voto
Spagna: l’attesa dei risultati dopo il voto
Spagna: l?attesa dei risultati dopo il voto
Spagna: l’attesa dei risultati dopo il voto
Spagna: l?attesa dei risultati dopo il voto
Spagna: l’attesa dei risultati dopo il voto
Spagna: l?attesa dei risultati dopo il voto
Spagna: l’attesa dei risultati dopo il voto
Spagna: l?attesa dei risultati dopo il voto
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L’affluenza
L’affluenza è salita leggermente rispetto al 2011. Alle 18, secondo i dati del ministero degli Interni, aveva votato il 58.33% dei 36.5 milioni di aventi diritto al voto. Nel 2011 l’affluenza era stata del 57.65%. L’incremento è dunque di 0.72 punti percentuali. Un aumento significativo in particolare è stato registrato in Catalogna, dove la percentuale di votanti è salita dal 53,21% al 56,64%, e a Madrid, dove è passata dal 61,33% al 63,37%. Alle 14 invece, a livello nazionale, è stato registrato un leggero calo nella percentuale di votanti, con il 36,94% degli aventi diritto, circa un punto in meno rispetto alle precedenti elezioni del 2011 quando alla medesima ora la percentuale fu invece del 37,88%. Nel 2008 fu del 40.46%
La fine dell’esecutivo monocolore
I seggi si sono aperti domenica alle 9 per un voto che vede i partiti emergenti anti-casta sfidare il governo conservatore di Mariano Rajoy. Oltre 36 milioni di spagnoli sono stati chiamati a eleggere i 350 deputati e i 208 senatori delle Cortes, in un voto che stando ai sondaggi segnerà la fine degli esecutivi monocolori, l’alternanza tra socialisti e popolari che si sono spartiti il potere dalla fine del franchismo nel 1975. Si tratta delle elezioni con l’esito più imprevedibile da 40 anni a questa parte, ma l’ipotesi che sembra profilarsi è quella di una coalizione di governo. Il leader di Ciudadanos Albert Rivera è stato il primo candidato premier a votare in un seggio di L’Hospitalet, vicino Barcellona.
Anche il premier Rajoy ha votato, nel seggio di Bernadette a Madrid, e soffermandosi all’uscita con i giornalisti ha detto che oggi resterà a casa e solamente in serata si recherà nella sede del partito. Ha già messo la scheda nell’urna anche il candidato della coalizione elettorale Unità popolare (Up), il leader di Izquierda Unida Alberto Garzon, il quale si è detto convinto che nei risultati ci saranno delle sorprese. Più tardi anche il candidato premier del partito socialista spagnolo, Pedro Sanchez, è arrivato al seggio di Pozuelo, nella regione di Madrid, per votare. Iglesias ha detto ai cronisti che quello di oggi è un voto «storico» che aprirà una «nuova transizione» per la Spagna, dopo quella vissuta alla morte del dittatore Francisco Franco. Tutti i candidati hanno lanciato appelli perché gli elettori vadano a votare. «Molta gente sta votando, ha commentato Rajoy, è molto confortante».
Voto in Spagna, chi sono gli sfidantiDa Rajoy il “grigio” a Sánchez “il bello”
Voto in Spagna, chi sono gli sfidantiDa Rajoy il “grigio” a Sánchez “il bello”
Voto in Spagna, chi sono gli sfidantiDa Rajoy il “grigio” a Sánchez “il bello”
Voto in Spagna, chi sono gli sfidantiDa Rajoy il “grigio” a Sánchez “il bello”
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L’importanza del secondo
Elezioni ad «alto rischio» sicurezza
Sui 210mila seggi vigilano 91.702 uomini delle forze dell’ordine perché l’appuntamento viene considerato ad “alto rischio” terrorismo ed è stato classificato con un livello di allerta 4 su 5. Inoltre 140 incendi si sono dichiarati nel Nord della Spagna, in particolare nelle Asturie e nel Paese Basco, alimentati dalle temperature alte per la stagione e da forti venti. Decine di ettari di zone boschive sono già stati distrutti. Secondo l’assessore regionale asturiano Guillermo Martinez, «tutto sembra indicare» che gli incendi siano di origine dolosa.
Il voto sui quotidiani spagnoli
Con il voto «Gli spagnoli decidono l’inizio di una nuova era politica» titola domenica El Pais a tutta prima pagina. Diversi analisti sottolineano l’aspetto storico di queste elezioni politiche, che segneranno la fine del bipartitismo. «La Spagna valuta il cambiamento», titola El Mundo, mentre La Vanguardia sottolinea che sono «Le elezioni più incerte» dal ritorno della democrazia, dopo la morte del dittatore Francisco Franco. Per El Periodico la politica spagnola da ora diventa «A cuatro bandas», non più bipolare ma a quattro. Publico scrive che le elezioni segnano «la morte del sistema politico nato 40 anni fa e la cui configurazione è stata decisivamente influenzata dalla morte del dittatore».
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Elezioni Spagna, seggi aperti: 36,5 milioni al voto
Elezioni Spagna, seggi aperti: 36,5 milioni al voto
Elezioni Spagna, seggi aperti: 36,5 milioni al voto
Elezioni Spagna, seggi aperti: 36,5 milioni al voto
Elezioni Spagna, seggi aperti: 36,5 milioni al voto
Elezioni Spagna, seggi aperti: 36,5 milioni al voto
Elezioni Spagna, seggi aperti: 36,5 milioni al voto
Elezioni Spagna, seggi aperti: 36,5 milioni al voto
Elezioni Spagna, seggi aperti: 36,5 milioni al voto
Elezioni Spagna, seggi aperti: 36,5 milioni al voto
Elezioni Spagna, seggi aperti: 36,5 milioni al voto
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Elezioni Spagna, seggi aperti: 36,5 milioni al voto
Elezioni Spagna, seggi aperti: 36,5 milioni al voto
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Disoccupazione giovanile al centro della campagna
Incalzati a sinistra dalle forze anti-casta rappresentate da Podemos e al centro da Ciudadanos, Ppe e Psoe hanno tentato di ricucire il rapporto con cittadini esasperati da corruzione e austerità. I sondaggi hanno dato vincente il partito di Mariano Rajoy, ma la maggioranza su cui quest’ultimo potrà contare non sarà assoluta e lo costringerà a scendere a patti con altre formazioni. Gli elettori sono chiamati a indicare chi nei prossimi anni dovrà sciogliere nodi cruciali come le diseguaglianze crescenti, gli alti livelli di disoccupazione, gli scandali, e, tema centrale nell’agenda del governo da qualche mese, le ansie indipendentiste della Catalogna e il contagio che un eventuale tentativo di secessione potrebbe innescare nelle altre regioni del Paese.
Il nuovo parlamento e il nuovo governo
Il nuovo parlamento spagnolo eletto si costituirà formalmente il 13 gennaio prossimo, 20 giorni dopo che i risultati delle elezioni saranno stati resi noti ufficialmente, cioè mercoledì prossimo. L’investitura del nuovo presidente del governo, designato dal re, tradizionalmente interviene circa due settimane dopo la formazione del Congresso e del Senato. Le date più probabili, secondo la tv pubblica Tve, sarebbero fra il 25 e il 29 gennaio, salvo particolari difficoltà nella costituzione della nuova maggioranza
ORE 21.40
REPUBBLICA.IT
MADRID - In Spagna, i risultati dello spoglio in tempo reale del voto per le elezioni politiche, quando è stato scrutinato un terzo delle schede, vede il Partido Popular primo con il 26% dei consensi, il Psoe incalza con il 23%, poco dietro Podemos al 20% (includendo anche le alleanze strette localmente dal partito), Ciudadanos quarto con il 10%.
Risultato che per il momento stride con lo scenario evocato dal primo exit poll di Tve diffuso alla chiusura delle urne, con il Partido Popular di Mariano Rajoy al 26,8% dei consensi si conferma primo in Spagna ma, come ampiamente previsto, non ottiene la maggioranza assoluta. Ben più dura la lotta per il secondo posto, conteso tra i socialisti del Psoe e gli indignati anti-austherity di Podemos. Sulla base di questo sondaggio, in termini di seggi Podemos non scalzerebbe i socialisti, ma li supererebbe invece per numero di voti, aggiucandosi il 21,7% a fronte del 20,5% del Psoe. Quarti i nuovi centristi di Ciudadanos. L’exit poll attribuisce ai popolari di Rajoy tra i 114 e i 124 seggi (per la maggioranza assoluta ne occorrono 176). I socialisti otterrebbero tra i 79 e gli 85 seggi, Podemos tra 70 e 80, Ciudadanos tra 46 e 50 seggi.
Una situazione fluida in termini di governabilità, perché l’unica certezza è che il prossimo esecutivo dovrà essere sostenuto da una coalizione. Quale coalizione è uno scenario tutto da decifrare e che ricorda tanto il panorama politico italiano. Se questi numeri fossero confermati, il Partido Popular non riuscirebbe a formare l’alleanza di governo più indolore, quella con Ciudadanos. A quel punto, Rajoy potrebbe aprire a una coalizione "alla tedesca" con il Psoe, mantenendo a debita distanza gli anti-casta di Podemos.
La rilevazione a chiusura delle urne confermerebbe in ogni caso il pronosticato e storico ridimensionamento delle due grandi forze politiche, popolari e socialisti, che dal 1982 hanno governato la Spagna democratica post-franchista. Per quanto primo, si può parlare di crollo soprattutto del Pp, mentre il Psoe aveva già pagato dazio. Per contro, è inequivocabile l’affermazione delle due nuove entrate Podemos e Ciudadanos, con gli "indignados" di Pablo Iglesias in particolare che esordiscono nelle Cortes lanciando un segnale straordinario di rinnovamento.
SEGUI TUTTI I RISULTATI IN TEMPO REALE
I seggi si sono chiusi alle 20. L’affluenza è stata molto alta: già alle 18 avevano votato il 58,36% degli aventi diritto, ossia lo 0,71% in più del dato finale della partecipazione alle politiche del 2011. Oltre 36 milioni di spagnoli sono chiamati ad eleggere i 350 deputati e i 208 senatori delle Cortes, in un voto che segnerà la fine degli esecutivi monocolore, l’alternanza tra socialisti e popolari che si si sono spartiti il potere dalla fine del franchismo nel 1975. Si tratta delle elezioni con l’esito più imprevedibile da 40 anni a questa parte, ma l’ipotesi che sembra profilarsi è quella di una coalizione di governo.
Il leader di Ciudadanos Albert Rivera è stato il primo candidato premier a votare in un seggio di L’Hospitalet, vicino Barcellona. Anche il premier Mariano Rajoy ha votato, nel seggio di Bernadette a Madrid, e soffermandosi all’uscita con i giornalisti ha detto che oggi resterà a casa e stasera si recherà nella sede del partito. Ha già messo la scheda nell’urna anche il candidato della coalizione elettorale Unità popolare (Up), il leader di Izquierda Unida Alberto Garzon, il quale si è detto convinto che nei risultati ci saranno delle sorprese. Piu tardi anche il candidato premier del partito socialista spagnolo, Pedro Sanchez, è arrivato al seggio di Pozuelo, nella regione di Madrid, per votare.
Massima sicurezza. Sui 210mila seggi hanno vigilato 91.702 uomini delle forze dell’ordine perché l’appuntamento viene considerato ad "alto richio" terrorismo ed è stato classificato con un livello di allerta 4 su 5.
Boschi: "Ora chiaro quanto giusto l’Italicum". L’incertezza che si prospetta nel risultato delle elezioni politiche spagnole inducono il ministro per le Riforme Maria Elena Boschi a commentare su Twitter: "Mai come stasera è chiaro quanto sia utile e giusta la nostra legge elettorale", l’Italicum, la legge elettorale a doppio turno varata dal governo.
Fassina: "Da Podemos messaggio inequivocabile". "Nonostante l’incertezza dei primi exit poll, nelle elezioni in Spagna si afferma con un risultato straordinario Podemos. È un messaggio politico inequivocabile. È la domanda di una radicale correzione di rotta nell’eurozona dominata da austerità e svalutazione del lavoro, principi rigettati da larga parte del popolo spagnolo nonostante la propaganda martellante sul presunto successo del programma della Troika. È evidente che quando la sinistra è in campo con una visione e un’agenda autonoma e alternativa al liberismo fa argine alla destra". Lo afferma Stefano Fassina di Sinistra Italiana commentando i primi dati delle elezioni spagnole.
ORE 20.20
MADRID - Secondo il primo exit poll di Tve diffuso alla chiusura delle urne, il Partido Popular di Mariano Rajoy si conferma primo in Spagna ma, come ampiamente previsto, non ottiene la maggioranza assoluta. Sondaggi contrastanti sul secondo posto, conteso tra i socialisti del Psoe e gli indignati anti-austherity di Podemos. Quarti i nuovi centristi di Ciudadanos. L’exit poll attribuisce ai popolari di Rajoy tra i 114 e i 124 seggi (per la maggioranza assoluta ne occorrono 176). I socialisti otterrebbero tra i 79 e gli 85 seggi, Podemos tra 70 e 80, Ciudadanos tra 46 e 50 seggi. Una situazione fluida in termini di governabilità, perché l’unica certezza è che il prossimo esecutivo dovrà essere sostenuto da una coalizione. Quale è scenario tutto da decifrare.
SEGUI TUTTI I RISULTATI IN TEMPO REALE
I seggi si sono chiusi alle 20. L’affluenza è stata molto alta: già alle 18 avevano votato il 58,36% degli aventi diritto, ossia lo 0,71% in più del dato finale della partecipazione alle politiche del 2011. Oltre 36 milioni di spagnoli sono chiamati ad eleggere i 350 deputati e i 208 senatori delle Cortes, in un voto che segnerà la fine degli esecutivi monocolore, l’alternanza tra socialisti e popolari che si si sono spartiti il potere dalla fine del franchismo nel 1975. Si tratta delle elezioni con l’esito più imprevedibile da 40 anni a questa parte, ma l’ipotesi che sembra profilarsi è quella di una coalizione di governo.
Il leader di Ciudadanos Albert Rivera è stato il primo candidato premier a votare in un seggio di L’Hospitalet, vicino Barcellona. Anche il premier Mariano Rajoy ha votato, nel seggio di Bernadette a Madrid, e soffermandosi all’uscita con i giornalisti ha detto che oggi resterà a casa e stasera si recherà nella sede del partito. Ha già messo la scheda nell’urna anche il candidato della coalizione elettorale Unità popolare (Up), il leader di Izquierda Unida Alberto Garzon, il quale si è detto convinto che nei risultati ci saranno delle sorprese. Piu tardi anche il candidato premier del partito socialista spagnolo, Pedro Sanchez, è arrivato al seggio di Pozuelo, nella regione di Madrid, per votare.
Massima sicurezza. Sui 210mila seggi hanno vigilato 91.702 uomini delle forze dell’ordine perché l’appuntamento viene considerato ad "alto richio" terrorismo ed è stato classificato con un livello di allerta 4 su 5.
REPUBBLICA.IT
MADRID - Seggi aperti dalle 9 di questa mattina in Spagna per le elezioni politiche che vedono i partiti emergenti anti-casta sfidare il governo conservatore di Mariano Rajoy. Oltre 36 milioni di spagnoli sono chiamati ad eleggere i 350 deputati e i 208 senatori delle Cortes, in un voto che stando ai sondaggi segnerà la fine degli esecutivi monocolori, l’alternanza tra socialisti e popolari che si si sono spartiti il potere dalla fine del franchismo nel 1975. Si tratta delle elezioni con l’esito più imprevedibile da 40 anni a questa parte, ma l’ipotesi che sembra profilarsi è quella di una coalizione di governo.
Il leader di Ciudadanos Albert Rivera è stato il primo candidato premier a votare in un seggio di L’Hospitalet, vicino Barcellona. Anche il premier Mariano Rajoy ha votato, nel seggio di Bernadette a Madrid, e soffermandosi all’uscita con i giornalisti ha detto che oggi resterà a casa e stasera si recherà nella sede del partito. Ha già messo la scheda nell’urna anche il candidato della coalizione elettorale Unità popolare (Up), il leader di Izquierda Unida Alberto Garzon, il quale si è detto convinto che nei risultati ci saranno delle sorprese. Piu tardi anche il candidato premier del partito socialista spagnolo, Pedro Sanchez, è arrivato al seggio di Pozuelo, nella regione di Madrid, per votare.
RISULTATI IN TEMPO REALE
Massima sicurezza. Sui 210mila seggi, aperti fino alle 20, vigilano 91.702 uomini delle forze dell’ordine perché l’appuntamento viene considerato ad "alto richio" terrorismo ed è stato classificato con un livello di allerta 4 su 5.
Focus L’economia divide i partiti
Affluenza in lieve calo. L’affluenza alle ore 18 è del 58,36% degli aventi diritto, quasi un punto percentuale in più rispetto alle politiche del 2011, quando si registrò un 57.65%.
In Catalogna e nella Comunità valenciana l’affluenza è leggermente in calo, secondo i dati ufficiali. Mentre a Madrid il dato è in salita. L’affluenza più bassa è stata registrata alle Canarie.
Rajoy in testa nei sondaggi, ma Podemos e Ciudadanos avanzano. Incalzati a sinistra dalle forze anti-casta rappresentate da Podemos e al centro da Ciudadanos, Ppe e Psoe hanno tentato di ricucire il rapporto con cittadini esasperati da corruzione e austerità. I sondaggi danno vincente il partito di Mariano Rajoy, ma la maggioranza su cui quest’ultimo potrà contare non sarà assoluta e lo costringerà a scendere di volta in volta a patti con altre formazioni. Con chi, resta un mistero: gli stessi sondaggi indicano un testa-a-testa tra socialisti e Podemos da un lato e socialisti e Ciudadanos dall’altro.
Un esercito di indecisi. Almeno uno spagnolo su quattro è indeciso, e a quest’incertezza contribuisce senza dubbio il fatto che per la prima volta il sistema politico spagnolo esce dal meccanismo dell’alternanza per offrire più scelta all’elettore, chiamato a indicare chi nei prossimi anni dovrà sciogliere nodi cruciali
come le diseguaglianze crescenti, gli alti livelli di disoccupazione, gli scandali, e, tema centrale nell’agenda del governo da qualche mese, le ansie indipendentiste della Catalogna e il contagio che un eventuale tentativo di secessione potrebbe innescare nelle altre regioni del Paese.
SARA GANDOLFI SUL CORRIERE DELLA SERA
La vecchia e la nuova Spagna si incontrano e si contano oggi alle urne. Oltre 36 milioni di elettori sono chiamati ad un voto storico che comunque vada — e l’incertezza resta altissima — segnerà una svolta per l’ancor giovane democrazia: la fine del bipartitismo fra i conservatori del Partido Popular e i socialisti del Psoe, che hanno governato a fasi alterne il Paese negli ultimi 40 anni. Per la prima volta, sono protagonisti ben quattro partiti: il Pp del premier Mariano Rajoy, il Psoe guidato da Pedro Sánchez ma anche la nuova sinistra di Podemos, nato sull’onda del movimento degli «indignados», e la formazione di centro-destra Ciudadanos, che Albert Rivera ha saputo trasformare in poco più di un anno da minuscolo partito anti-separatista della Catalogna a possibile ago della bilancia delle future alleanze di governo.
Si vota per eleggere 350 deputati e 206 dei 261 senatori (gli altri 55 sono designati dalle regioni). L’ultimo sondaggio, pubblicato ieri ad Andorra dal giornale El Periòdic — in Spagna sono vietati da lunedì scorso — conferma il Pp in testa con il 26,6% (111-115 seggi al Congresso), davanti al Psoe al 20,8% (82-88 deputati), Podemos al 20,1% (70-74) e Ciudadanos al 16% (47-51).
Tra il 20 e il 40% degli elettori, però, sarebbe ancora indeciso: percentuale sufficiente a ribaltare ogni pronostico. Gli incerti potrebbero scegliere il «vecchio», e dare forza ad uno dei due partiti tradizionali, o svoltare verso il «nuovo» e l’ignoto degli anti-casta. Molti giovani avrebbero già optato per gli altrettanto giovani esponenti di Podemos, che si contende fino all’ultimo il secondo posto con il Psoe, mentre Ciudadanos sembra non riuscire a scalfire oltre lo «zoccolo duro» del Partido Popular. Lo stesso Rajoy ha fatto appello al «voto utile» per impedire avventure «pericolose» e gli ultimi sondaggi confermano un lieve calo del partito di Rivera.
Nessun partito pare comunque destinato a raggiungere i 176 seggi della maggioranza assoluta. Benché primo in tutti i sondaggi, il Pp sarebbe ben al di sotto di quei 140 deputati che sono ritenuti la soglia minima per tentare un governo di minoranza. Dopo il Portogallo, così, anche la Spagna si troverebbe costretta a delicate trattative post-voto — che a Lisbona hanno portato al potere una coalizione di sinistra — per dare via libera al nuovo esecutivo. Sempre che non decolli una Grande coalizione alla tedesca, tra Pp e Psoe, per tagliar fuori i «nuovi».
S. Gan.
OMERO CIAI SU REPUBBLICA
OMERO CIAI
DAL NOSTRO INVIATO
BARCELLONA
. Questa città ribelle, bellissima e splendente, può diventare stasera anche il simbolo del nuovo che avanza nella partita elettorale spagnola. A seggi aperti la neo-sinistra di Podemos potrebbe essere il primo partito in Catalogna, e i
liberal
di Ciudadanos diventare abbastanza forti da cancellare quasi i Popolari di Rajoy. Lo dicono i sondaggi ma è anche l’aria che respirano gli osservatori come il condirettore del
País,
Luis Bassets, o il professore di Sociologia dell’Autonoma, José Noguera, che dice: «È normale in Catalogna: quando si tratta di elezioni politiche generali, gli elettori votino pensando a Madrid, premiando partiti nazionali e non locali come sono i nazionalisti di Artur Mas».
Ma questa volta c’è il bipolarismo nel mirino. Così nella distribuzione dei 47 seggi in gioco in Catalogna per il Parlamento (le
Cortes),
i socialisti del Psoe dimezzerebbero e i Popolari ne perderebbero almeno due terzi, rispetto a quattro anni fa, diventando quasi residuali, perché è il partito di Albert Rivera, giovanissimo leader della destra “pulita” di Ciudadanos, a coagulare la reazione locale alla sommossa indipendentista. «Il nuovo gioco inizia qui», sottolinea Bassets, dove l’instabilità è già arrivata con le ultime elezioni regionali, «da tre mesi siamo senza un governo e rischiamo di tornare alle urne a marzo».
Nella marcia del sorpasso a sinistra, ormai scontato a Barcellona, di Podemos sul vecchio partito socialista, che nei mitici anni di Maragall governò citta e regione, pesa non poco la discesa in campo di Ada Colau, la sindaca eletta a giugno, divenuta famosissima per aver guidato, ai tempi della crisi, i movimenti anti- sfratto delle famiglie che non riuscivano più a pagare i mutui sulla casa. Qui, molto più di Pablo Iglesias, leader nazionale di Podemos, la Colau è il personaggio emergente, capace di tirare la volata della nuova sinistra.
E anche in questo Barcellona sembra essere avanti nei confronti del resto del Paese, dove altre due donne s’affacciano sulla scena per assorbire il terromoto in arrivo. Soraya Saenz de Santamaria è la più probabile carta che i Popolari pensano di giocare se Mariano Rajoy non riuscirà a formare il nuovo governo. Mentre Susana Diaz, governatrice dell’Andalusia, sembra destinata a guidare nel prossimo futuro i socialisti. Tre donne per il nuovo paesaggio parlamentare e una rivoluzione nella rivoluzione per il maschilismo esasperato della casta politica spagnola.
L’altra scelta forte che sospinge Podemos verso il primato in Catalogna è la decisione di schierarsi subito per «il diritto a decidere », per il referendum sulla sovranità che Rajoy da Madrid ha finora impedito. In Spagna — dicono qui — devono cambiare almeno due cose: la Costituzione, per consentire un nuovo patto con la Catalogna che contenga almeno l’anelata autonomia fiscale; e la legge elettorale, che oggi privilegia il bipartitismo e avvantaggia le zone rurali sui centri urbani. Dunque, meglio trattare con nuovi partiti a Madrid piuttosto che con forze storicamente più centraliste come socialisti e popolari.
Il professor Noguera chiosa anche sullo scontro generazionale. Il 35 per cento degli elettori è ormai formato da persone nate dopo la morte di Francisco Franco, il 20 novembre 1975. E sono loro che spingono per il cambiamento e la rottura dei vecchi equilibri che hanno portato la partitocrazia nella palude di una corruzione molto diffusa e assolutamente trasversale.
D’altra parte Podemos nasce dal movimento degli Indignados, i ragazzi che nel maggio del 2011 occuparono la Puerta del Sol a Madrid e tante altre piazze in tutto il Paese per riformare la democrazia e abbattere il bipartitismo di Psoe e Pp. E Ciudadanos ne è lo specchio, ma a destra. L’ex re Juan Carlos colse la novità abdicando in favore del figlio, i vecchi partiti rischiano invece di doverlo accettare stasera.
Le finanze pubbliche in Catalogna sono prossime al fallimento e i bond emessi dal governo locale, la Generalitat, per coprire i debiti sono a livello “spazzatura” per gli istituti di rating. Eppure oggi per le vie di Barcellona si nota la stessa vivacità da crisi economica superata come nel resto della Spagna. Ovunque, ma non qui, quest’euforia sembra destinata ad aiutare Rajoy che stasera potrebbe addirittura risorgere, meglio di quanto pronosticato dai sondaggi: 26 per cento dei voti e 115 seggi. Fosse per Barcellona non risorgerebbe proprio. Ma chissà, l’affermazione del nuovo sarà comunque incerta e indefinita. Magari sarà come ha scritto il filosofo Fernando Savater in forma d’auspicio chiudendo ieri il suo editoriale sul País: “Signore, domani dacci un terremoto! Ma con pochi danni, per favore”.
FRANCESCO OLIVO SULLA STAMPA
Per l’ultimo comizio hanno scelto di stare vicini. Se la distanza ideologica fra il leader di Podemos Pablo Iglesias e il premier popolare Mariano Rajoy è incommensurabile, quella fisica, venerdì sera era davvero ridotta, meno di due chilometri. Militanti, leader, bandiere e telecamere: tutti erano a Valencia a chiudere la campagna elettorale delle elezioni più incerte da tempo.
La scelta della città è stata ben ponderata, la partita più importate di queste elezioni così incerte si gioca, infatti, nella quarta comunità autonoma più popolata di Spagna, fino a pochissimo tempo fa terra di conquista del Partito Popolare, finita negli ultimi mesi in mano a una strana alleanza tra socialisti, Podemos e il partito regionalista, Compromis. La strada per la Moncloa di Rajoy passa necessariamente per la Comunità valenciana, il granaio di voti, al confine con la Catalogna, il «patio trasero», il giardino di casa, diventato un cumulo di macerie.
Che questa fosse una città decisiva da strappare ai nemici lo aveva capito già José Maria Aznar, che qui pose le basi per i suoi trionfi, «vincendo qui il Pp conquistò il suo accesso al mare», ragiona Enric Juliana, vicedirettore della «Vanguardia» e gran conoscitore di questo mondo. Da quel momento in poi, il Pp esercita più che un’egemonia, un dominio totale, culminato in un plebiscito di voti alle politiche quattro anni fa: 53,3%.
Turismo, edilizia e motori
Il grande consenso è determinato da due fattori principali, il turismo e soprattutto il boom dell’edilizia. La Città delle arti e delle scienze, con i suoi edifici e i ponti futuristici, è il simbolo di un’epoca grandiosa e un po’ megalomane. Luoghi affascinanti e ancora pieni di turisti, ma decisamente cari, specie per gli enormi sovraccosti. Alle grandi opere si affiancano i grandi eventi. Gli amministratori del Pp non se ne lasciano sfuggire uno, Coppa America di vela, Moto Gp, Gran Premio di Formula 1. Costi spaziali, diventati uno scandalo solo anni dopo. I calcoli degli sprechi sono ancora in corso: «Cento milioni di fondi pubblici, solo per la Formula 1, in parte ancora da pagare» ha calcolato la Generalitat pochi giorni fa. Il circuito che per cinque edizioni ha visto sfrecciare i bolidi, oggi è abbandonato e pieno di rifiuti.
Corruzione e tracollo
Quando comincia la crisi, il primo settore a pagare è quello immobiliare, ma per la politica il vero terremoto arriva dai palazzi di giustizia. Le grandi reti di corruzione partono praticamente tutte da qui, «o almeno così fanno credere a Madrid», dicono i valenciani offesi con la capitale. Il velo della corruzione si alza e il Partito Popolare affonda, vengono coinvolti quasi tutte le alte cariche, al Comune, alla Provincia e alla Regione. Esce di tutto nelle carte giudiziarie, i politici guadagnavano persino sull’installazione dei maxi schermi per la visita di Papa Ratzinger. La punizione arriva implacabile alle elezioni amministrative di maggio, nelle quali il Pp perde tutto, dopo oltre vent’anni. Il ricambio nel centrodestra è stato timido, e venerdì al comizio del Museo della scienza Rajoy non si è soffermato troppo sulle vicende più imbarazzanti: «Ci sono stati dei problemi, li conoscete tutti», è stato l’unico accenno, non proprio dettagliato agli scandali. I 5 mila militanti lo hanno applaudito, con grandi cori, anche se le masse di un tempo alla Plaza de Toros sono lontane.
A sinistra sono in arrivo altri scossoni: i socialisti, che governano la regione, saranno forse superati da Podemos, grazie all’alleanza tra gli ex indignados e il partito regionalista Compromis, guidato dalla paladina anticorruzione Monica Oltra, grande amica del leader con il codino. Ciudadanos è l’osservatore interessato, la borghesia che parla castigliano (l’altra metà usa una lingua simil catalana), delusa dal Pp guarda con simpatia Albert Rivera. La partita è apertissima.
È Saragozza il termometro
Chi vince qui, conquista Madrid
Prove di “coalizione”, qui l’intesa socialisti-Podemos ha scalzato i popolari
Marco Bresolin
Il polso della Spagna confina a Nord con i Pirenei, è attraversato come una vena dal fiume Ebro ed esporta grandi quantità di «Jamón de Teruel», il primo prosciutto spagnolo che ha ricevuto il marchio doc. È qui, nella comunità autonoma di Aragona, che sondaggisti e politologi vengono a tastare il polso per capire che aria tira nel Paese.
La chiamano «l’Ohio di Spagna» perché, come lo Stato americano, la regione aragonese è determinante per capire l’esito delle elezioni politiche. Chi vince qui, vince anche a Madrid. È sempre successo e non per caso.
Le sue caratteristiche socio-economiche, ma anche fisico-politiche, rispecchiano quelle del Paese. Vaste zone rurali e agglomerati urbani, una crescita economica del 3%, partiti autonomisti che hanno un discreto peso. Una Spagna in miniatura. I sondaggi sono in linea con quelli nazionali. «Ma noi qui siamo dati in crescita - spiega Susana Sumelzo, capolista del Psoe, passeggiando sulle rive del fiume Ebro - perché siamo un partito che è stato capace di rinnovarsi». Ma più che i sondaggi è utile raccontare ciò che è successo a maggio, alle ultime amministrative. Qui hanno preso forma quei patti «delle sinistre» che sono l’incubo di Mariano Rajoy. «E, per certi versi, anche della stessa sinistra - spiega Marta Lopez, giornalista saragozzana della Cope, una delle principali radio spagnole - perché non c’è una maggioranza chiara e governare diventa impossibile». La Moncloa, il palazzo del governo di Madrid, è avvisata.
I patti delle sinistre
In Regione ha vinto il Pp, ma senza avere il 51% dei seggi. Anche perché il possibile alleato Ciudadanos, senza il volto del leader Rivera, si è fermato sotto il 10%. E così il Psoe, secondo classificato, ha preso il potere grazie all’accordo con Cha (gli autonomisti di sinistra), Izquierda Unida e soprattutto Podemos. Il partito di Iglesias si era presentato con Pablo Echenique, uno dei big: solo seimila voti in meno dei socialisti (gli aragonesi sono 1,3 milioni). Non è bastato. E così Podemos ha sostenuto l’investitura di Javier Lambán, salvo poi limitarsi a un appoggio esterno.
In città la situazione è simile, la prospettiva però è ribaltata. Eloy Suarez, l’uomo forte del Pp, è stato il candidato sindaco più votato. «E così sarà anche per Rajoy», ripete a poche ore dal voto sotto i suoi manifesti che tappezzano Saragozza. Senza maggioranza, ha proposto un accordo al Psoe, offrendo la poltrona da sindaco.
Ottenuto il rifiuto, la palla è finita tra le mani di Pedro Santisteve Roche, «El Desconocido». Docente e penalista, «Lo Sconosciuto» è un indipendente passato direttamente dalle piazze degli Indignados all’ufficio del sindaco. È uno de «los alcaldes del cambio», quell’ondata di sindaci del cambiamento guidata da Ada Colau (Barcellona) che il vento di Podemos ha portato nelle istituzioni. Dove proseguono la loro lotta contro gli sfratti. «Il Psoe mi ha appoggiato, ma ora si è tirato indietro. Governo senza maggioranza», racconta tra le bancarelle natalizie nella Plaza del Pilar, sotto il suo Muncipio. «Noi e il Psoe in comune abbiamo solo l’elettorato. Siamo due cose diverse e loro ci vedono come nemici. Ci temono. La verità è che in Spagna serve una restaurazione democratica dopo questo regime del bipartitismo. Noi sindaci abbiamo aperto una breccia, il cambiamento è solo all’inizio». Alleanze permettendo.
E qui a Saragozza è ancora all’inizio il dopo-Expo, nonostante siano passati sette anni. L’esposizione del 2008, che ha portato in città importanti infrastrutture come il nuovo terminal dell’aeroporto, il Parco Metropolitano dell’Acqua e il Ponte del Terzo Millennio, ha lasciato anche una cabinovia inutilizzata, un debito da 250 milioni (che pesa sulle casse regionali) e una serie di edifici e padiglioni vuoti che danno all’area un aspetto spettrale. Il padiglione-ponte che attraversa l’Ebro, chiuso al pubblico, è l’emblema del fallimento dei progetti post-Expo. Oltre che un campanello d’allarme per Milano.
LA STAMPA
EMANUELE TREGLIA*
Nel 1943 Gerald Brenan pubblicò «The Spanish Labyrint», un libro in cui l’autore ricostruiva il complesso intreccio di problemi che aveva portato allo scoppio della guerra civile spagnola. Oggi, ovviamente, le circostanze e le questioni in ballo sono diverse, ma l’espressione coniata dall’ispanista britannico ben si presta alla descrizione della situazione spagnola attuale.
Seconda transizione
Il Paese di Don Chisciotte sta attraversando la fase di maggior incertezza politica dai tempi della transizione alla democrazia seguita alla morte del dittatore Francisco Franco. Non è un caso che gli osservatori concordino sul fatto che si sta vivendo una seconda transizione. Verso cosa, non si sa. L’unica certezza è che le elezioni che si terranno domenica determineranno la fine di quel bipartitismo «de facto», basato sull’alternanza Partito popolare (Pp)-Partito socialista (Psoe), che ha caratterizzato gli Anni 80. I due partiti emergenti, Podemos e Ciudadanos, competono realisticamente con i tradizionali per conquistare la maggioranza relativa e, salvo sorprese, nessuno otterrà una percentuale inferiore al 15-17%. Indipendentemente da chi sarà il vincitore si prospetta un quadro frammentato in cui, per rendere possibile la governabilità, sarà necessario un accordo tra due o più formazioni, che potrebbe tradursi in una partecipazione congiunta al nuovo esecutivo o in un appoggio esterno alla forza principale.
La strada da percorrere in questo senso è resa accidentata dalla mancanza di una cultura della negoziazione e del patto. C’è da considerare che durante la campagna nessun partito si è sbilanciato indicando quale potrebbe essere il suo eventuale partner governativo, sia per mantenersi aperti margini di manovra, sia perché ciò potrebbe risultare controproducente quando si sta lottando per occupare spazi elettorali che coincidono con quelli dei possibili alleati futuri. A ciò si aggiunga che esiste ancora un’enorme fetta di indecisi (quasi il 40%), per cercare di accaparrarsi la quale le forze politiche han fatto ricorso anche a una spettacolarizzazione della campagna che ha raggiunto livelli inediti, con i candidati che hanno partecipato a popolari programmi tv suonando la chitarra, giocando al calcio balilla o facendo da copiloti in un rally.
Da questi fattori derivano seri ostacoli al momento di azzardare previsioni. Si possono ipotizzare, comunque, alcuni scenari basandosi sui trends evidenziati dai sondaggi. Le inchieste sulle intenzioni di voto segnalano il Pp come probabile vincitore, seguito da Psoe, Podemos e Ciudadanos. Ammettiamo che i risultati rispettino quest’ordine. Il partito di Rajoy potrebbe governare? Il suo unico partner possibile è Ciudadanos però Albert Rivera, almeno stando a sue dichiarazioni, scarta la prospettiva di un appoggio a una formazione screditata dalla corruzione e che rappresenta il «vecchio». Anche nel caso di una disponibilità di Ciudadanos a supportare un governo dei popolari - eventualità non da escludere - bisognerebbe vedere la differenza di seggi tra i partiti. La somma di Psoe e Podemos potrebbe superare quella di Pp e Ciudadanos e, quindi, potrebbe sorgere un esecutivo in cui non partecipa la formazione più votata: è ciò che già accade a livello municipale a Madrid.
Gli altri scenari
Altri scenari potrebbero essere un governo socialista appoggiato anche da Ciudadanos o la ripetizione delle elezioni se non si stabilisce un nuovo equilibrio. Il tutto dipende dalla propensione al dialogo che i partiti dimostreranno da domenica sera e dai risultati reali, che potrebbero smentire i sondaggi. Gli orizzonti, insomma, appaiono fumosi. Il filo di Arianna per uscire dal labirinto spagnolo, complicato da problemi profondi come la disoccupazione e l’irrisolta questione catalana, ancora non sembra averlo trovato nessuno.
*Ricercatore presso la Luiss
Guido Carli di Roma e membro del «Centro de Investigaciones Históricas de la Democracia Española di Madrid»
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IL SISTEMA ELETTORALE SPAGNOLO
http://www.polisblog.it/post/47801/come-votano-gli-altri-il-sistema-elettorale-spagnolo
Continuiamo il viaggio tra i sistemi elettorali nel mondo. Dopo aver visto come funziona il voto in Germania, passiamo alla Spagna, dove la legge elettorale è in vigore dal 1979, ossia dall’anno in cui il paese è tornato alla democrazia dopo la dittatura franchista. La Spagna è una monarchia costituzionale, con un re (Juan Carlos) che ha ruolo di rappresentanza e di garanzia. Il potere esecutivo è nelle mani del Primo ministro, eletto dal Parlamento (Cortes Generales). Quest’ultimo è suddiviso in due rami, Camera e Senato, che si rinnovano ogni 4 anni e hanno sistemi di elezione diversi.
Il Senato consta di 259 membri, 208 dei quali sono eletti direttamente dalle province: in ogni provincia i partiti indicano tre candidati e gli elettori votano sulla scheda direttamente i nomi. Le province peninsulari eleggono 4 senatori (3 per il partito di maggioranza, 1 per il secondo), mentre le province insulari 2 o 3. Gli altri 58 senatori vengono eletti dalle comunità autonome ma indirettamente. La Camera invece adotta un sistema differente, un proporzionale che in tempi recenti è stato indicato anche da diversi politici di casa nostra come il possibile modello per una riforma elettorale italiana. Vediamo come funziona.
La Camera è composta da 350 deputati, e il paese viene diviso in 52 circoscrizioni, alcune molto piccole, in cui l’elettore vota il partito e i seggi vengono poi allocati in maniera proporzionale alla popolazione. Esiste una soglia di sbarramento al 3%, ma di fatto diventa molto più alta nelle circoscrizioni più piccole, dove il basso numero di seggi assegnati fa sì che abbiano chance di entrare in Parlamento solo i partiti che superano il 20 o 30%, con ovvio vantaggio per le due formazioni maggiori (PP e PSOE) o per i partiti con forte radicamento territoriale. Non a caso anche la Lega Nord in Italia aveva sponsorizzato questo sistema, che spesso garantisce una sovrarappresentazione per le formazioni regionali.
Oltre alla soglia di sbarramento, un altro vantaggio per i partiti maggiori viene dato dal sistema di ripartizione dei seggi, che segue il cosiddetto Metodo D’Hondt, che peraltro veniva usato nelle provinciali italiane e nel Mattarellum per eleggere i senatori. Con questo sistema, in ogni collegio i voti validi ottenuti da ciascun partito vengono divisi per numeri progressivi crescenti fino a coprire i seggi disponibili: a questo punto viene stilata una tabella da cui si selezionano i numeri più alti, che corrispondono ai deputati eletti per ciascun partito. Questo sistema, rispetto ad altri di ripartizione proporzionale, avvantaggia i grandi partiti e riduce la frammentazione.
In sintesi, quindi, si tratta di un proporzionale puro che però garantisce un sostanziale bipolarismo e permette la formazione di maggioranze stabili (grazie a un sostanziale premio di maggioranza "implicito") riducendo sia la frammentazione, sia la necessità di ricorrere a grandi coalizioni.