Laura Eduati, huffingtonpost.it 17/12/2015, 17 dicembre 2015
Omicidio di Marco Vannini, così una famiglia di Ladispoli diventa il nuovo noir italiano La morte di Marco Vannini, ventenne di Cerveteri, non è soltanto un fatto di cronaca nera
Omicidio di Marco Vannini, così una famiglia di Ladispoli diventa il nuovo noir italiano La morte di Marco Vannini, ventenne di Cerveteri, non è soltanto un fatto di cronaca nera. E’ il racconto di una ordinaria famiglia della provincia laziale che una sera di maggio, all’improvviso, svela il proprio funzionamento interno, un meccanismo primitivo e oscuro che i microfoni della caserma dei carabinieri di Civitavecchia intercettano all’insaputa dei protagonisti: la fidanzata Martina Ciontoli, a poche ore dall’uccisione di Marco, si lamenta perché "la stanno facendo troppo lunga, che esagerazione". E ricorda al fratello che soltanto due giorni dopo dovrebbe sostenere un esame. Nel video mandato in onda mercoledì dalla trasmissione "Chi l’ha visto?" Martina siede sul divano della caserma con il fratello Federico e il papà Antonio, militare della Marina temporaneamente distaccato a palazzo Chigi, che ha raccontato ai magistrati di aver sparato per errore a Marco mentre brandiva "per scherzo" una pistola. Martina ha appena perduto il suo ragazzo e tuttavia consola il padre, gli accarezza la testa: "E’ andata così eh, mo’ basta...". Poi piange: "Era destino che morisse". Parole che sembrano prese da un’altra sceneggiatura, perché Marco non era destinato a morire: come è stato ricostruito attraverso le registrazioni del 118, la famiglia Ciontoli chiamò due volte l’ambulanza ma in nessuno dei due casi avvertì che il ragazzo aveva una pallottola conficcata nel corpo. "Si è bucato col pettine", dice il capofamiglia all’operatrice del pronto soccorso durante la seconda telefonata. Vannini è morto dopo quasi 4 ore di agonia, dissanguato. In una foto felice della famiglia Ciontoli figura anche la mamma di Marco, Marina Conte. Sorride, è un’immagine normalissima, forse è Natale e lo stanno trascorrendo tutti insieme. Ora, straziata, dice che i Ciontoli sono "diavoli": non soltanto perché gli hanno ammazzato un figlio, ma anche perché quella stessa notte dell’omicidio l’hanno chiamata per avvisarla che Marco era caduto dalle scale e lo stavano portando all’ospedale. Non si doveva preoccupare. Al pronto soccorso, quando la famiglia Vannini ancora non immaginava cosa fosse successo, Antonio Ciontoli si disperava perché temeva di perdere il suo posto di lavoro così prestigioso alla Presidenza del Consiglio. Brevemente, i fatti ricostruiti dagli inquirenti sono questi. E’ il 17 maggio 2015. Marco Vannini si trova a casa della fidanzata Martina Ciontoli a Ladispoli. Stanno insieme da tre anni. Intorno alle 23 i vicini sentono delle urla: "Vedi, papà? Vedi?". Poi un ragazzo che si lamenta con una voce disumana: "Scusa Martina". In casa ci sono sei persone: oltre a Marco, Antonio Ciontoli, la moglie Maria, i figli Martina e Federico e la fidanzata di quest’ultimo, Viola Giorgini. E’ una famiglia come tutte le altre: i figli che studiano, il padre con un buon lavoro, la villetta, la macchina di grossa cilindrata. Tutti e cinque hanno giurato che Vannini si stava facendo un bagno nella vasca ed era nudo quando nella stanza è entrato Antonio con una pistola, era soltanto una guasconeria. Voleva mostrare l’arma al fidanzato della figlia, giura che fosse scarica, invece "per scherzo" ha premuto il grilletto. Erano le 23 e 20. Federico Ciontoli, coetaneo di Marco, è il primo a chiamare il 118. Non subito, verso le 23.40. Federico è l’unico ad avere la voce alterata, si sente che è spaventato, ma non rivela che il cognato è stato ferito con un colpo d’arma da fuoco. Dice: "C’è un ragazzo che si è sentito male probabilmente per uno scherzo, di botto è diventato troppo bianco e non respira più...". Farfuglia e infine ammette che l’ambulanza non serve, la telefonata si interrompe. Si comprende che qualcuno della famiglia Ciontoli gli ha detto di troncare la comunicazione, Marco è ancora vivo ma le persone che sono in quella casa di Ladispoli decidono di non soccorrerlo. Non ancora. Sul divanetto di quella caserma, il giorno dopo, Martina parla con Federico e la fidanzata Viola dicendo di essere stata presente allo sparo. Ai magistrati aveva dato una versione differente, raccontando di trovarsi nella sua camera quando ha sentito la pistola sparare. E invece ai suoi famigliari, in lacrime, rivela: "Ho visto quando papà gli ha puntato la pistola. Marco diceva "Leva un po’ sta pistola puntata", e lui diventava pallido". A decidere di chiamare una seconda volta l’ambulanza è lo sparatore, Antonio. Da poco è passata la mezzanotte. Ha un voce ferma. Chiede soccorsi. Ma nemmeno questa volta rivela che in quella casa c’è un ragazzo con una pallottola entrata dalla spalla e fuoriuscita dal fianco, tanto che la stessa Martina affermerà nelle intercettazioni di avere visto l’ogiva spuntare dalla carne. Antonio Ciontoli al 118 dice che c’è "un buchino". Marco Vannini, dice, è caduto e si è fatto male con i denti di un pettine, ma è sotto choc. E’ naturale che nessuno a bordo di quell’ambulanza pensa di dover correre per salvare la vita di un ragazzo nel panico. Il Valium basterà. E invece quando gli operatori sanitari arrivano nella villetta dei Ciontoli trovano un ventenne agonizzante, lo portano d’urgenza all’ospedale ma non c’è nulla da fare, nemmeno quando Marco viene trasportato in elicottero al Gemelli. I medici non capiscono perché abbiano atteso un tempo così prolungato prima di chiedere aiuto. A uno di loro, scrivono i carabinieri, Antonio Ciontoli rivolge delle minacce: nel referto della morte non doveva scrivere che si trattava di uno sparo altrimenti lui, che lavora a palazzo Chigi, avrebbe smosso delle persone importanti. Viola, la fidanzata di Federico, dirà: speravamo che la mattina dopo si sarebbe svegliato senza ricordare nulla. O anche: "Se fosse sopravvissuto, sarebbe rimasto handicappato, si sarebbe ammazzato comunque". Viola non fa parte della famiglia ma ha deciso di rimanere fedele ai Ciontoli. Rassicura il fidanzato Federico: "Ti ho parato il culo" con gli inquirenti. A sua volta Federico si porta le mani alla testa e sussurra: "Povero papà, perché mi immagino quando lui pensa al momento dello sparo". Martina: "Papà ha sempre fatto del bene". Tredici ore dopo l’assassinio del ragazzo che frequentava da tre anni è convinta: "Era destino che morisse". Con questa narrazione, sicuramente parziale fino al processo, il meccanismo oscuro che regola la famiglia Ciontoli sembra essere governato dall’impulso primitivo dell’unità famigliare a ogni costo. Contro tutto ciò che invece è la regola sociale, il codice penale, il soccorso dei feriti, la disperazione di aver ucciso il figlio di un altro genitore, il rimorso. Martina lo comprende perfettamente, lo esplicita al padre che sente di dover proteggere: "Tutto questo servirà per tenerci ancora più uniti dopo". Se questa vicenda fosse soltanto un romanzo, questa sarebbe la frase-fulcro. Il senso di tutto. La madre Maria, intanto, fa visita ai vicini di casa per capire cosa hanno sentito quella notte. E’ preoccupata perché, racconta alle persone che vivono intorno, la famiglia Vannini potrebbe fare una causa di risarcimento e allora quella bella villetta potrebbe finire in mano loro. I quattro componenti della famiglia Ciontoli sono indagati per omicidio volontario. Viola Giorgini è accusata di omissione di soccorso. Non hanno mai chiamato il padre o la madre di Marco.