Francesco Pacifico, IL - Il Sole24Ore 1/2016, 18 dicembre 2015
I LETTORI FORTI NON SANNO LEGGERE
Quando ci piace qualcosa, cerchiamo di impararla meglio. È ovvio nel caso delle attività manuali, pratiche: lo sport, la cucina, il fai da te. Leggere forse non è un’attività pratica, ma è indubitabile che spetti al lettore ricostruire la scatola di componenti che è il libro, e che quindi il lettore debba imparare e perfezionare l’azione di leggere. Ma allora, come mai di solito il lettore forte, che legge più di un romanzo al mese e decine di recensioni, non si dedica a migliorarsi come lettore? Forse per questo Edoardo Albinati, nel suo Oro colato. Otto lezioni sulla materia della scrittura (Fandango), dice: «Chi compra i libri mi sembra in definitiva la persona meno adatta a leggere i libri (...). Il lettore andrebbe menomato, scemato, privato della sua baldanza di acquirente di libri e dunque di persona colta ed esigente».
James Wood, il critico letterario del New Yorker che ha consacrato Elena Ferrante in America, scrive libri che fanno diventare lettori migliori. La serie di lezioni raccolte in La cosa più simile alla vita (in libreria da febbraio per Mondadori) contiene, per esempio, un ragionamento su come si fa a riconoscere un grande scrittore. È una dritta che ha fatto di me un lettore migliore. Sempre citando Albinati: «Alla lunga, per quelli che la amano, davvero interessanti in letteratura non sono quasi mai le teorie generali, o i manifesti, bensì i risvolti tecnici».
In un capitolo Wood esamina, tra le altre cose, la capacità di Saul Bellow di osservare la realtà: passando per la zona salute di un albergo, il protagonista della Resa dei conti nota due uomini che stanno giocando a ping pong con un asciugamano stretto in vita, perché sono appena usciti dal bagno turco: «Erano goffi e la palla rimbalzava alta».
È una notazione di nessuna importanza, ma è in quel dettaglio che si può trovare la grandezza. Secondo Wood, uno scrittore normale avrebbe semplicemente raccontato di due uomini che giocano a ping pong in asciugamano, ma: «Bellow non la finisce lì. Riesce a vedere che i due uomini sono resi più goffi dai loro asciugamani e che, di conseguenza, giocano male. Temendo che i loro asciugamani scivolino per terra, stanno solo fingendo di giocare, e perciò “la palla rimbalzava alta”».
È la cosa più bella che ho imparato su come leggere e scrivere, quest’anno. Da quando ho letto questo paragrafo ho cominciato a capire con più chiarezza quand’è che uno scrittore davvero mi sta dando qualcosa di unico e speciale, e quando invece sta solo usando le immagini mentali che abbiamo tutti.
Libri come questo, al margine della letteratura, raccontano con piacere e felicità come si fa a ottenere piacere e felicità dalla lettura. Non esistono solo il mercato brutale delle recensioni e l’Olimpo irraggiungibile della teoria critica. Leggere libri come quello di Wood vuol dire piano piano crescere come lettori, imparare a dirigere meglio, nell’auditorium della propria mente, l’orchestra di strumenti che è l’insieme di frasi che compongono un romanzo. D’altronde, Wood la pensa così: «Molta della critica che ammiro di più non è particolarmente analitica ma è in effetti una specie di appassionata ridescrizione».
Il concetto di ridescrizione ricorda la raccolta di Pier Paolo Pasolini Descrizioni di descrizioni, dove con il titolo si intendono le recensioni: perché una recensione non è niente se non descrive il libro; e il libro non è che una descrizione della realtà. Ce ne dimentichiamo spesso forse perché la stampa italiana di solito sacrifica la descrizione del libro recensito, di cui tante recensioni non riportano neanche una frase, col risultato che per comprare un romanzo passiamo per recensioni che non ci hanno nemmeno fatto sentire l’alito di quel romanzo. La critica, invece, se fatta come descrizione di descrizione, può essere quel movimento esaltante dell’occhio (il critico) che guarda un altro occhio (lo scrittore) che guarda un altro occhio (la persona reale che nel romanzo diventa personaggio). Se l’occhio del critico non sta davvero guardando l’occhio dello scrittore, ci si sgancia dall’opera e si finisce nell’ideologia pura.
In fuga dalla sua formazione cristiana, Wood, inglese trapiantato in America, vede nella letteratura quella forza capace di affrontare il perché? fondamentale: l’assurdo di vivere. In Come scrivere un romanzo. Breve storia delle tecniche narrative per lettori e scrittori, edito in Italia da Mondadori, Wood racconta la storia del romanzo come l’affermazione esponenziale del dettaglio, soprattutto a partire da Gustave Flaubert; e allo stesso tempo come la vittoria del discorso indiretto libero, che avvicina tanto il narratore, e quindi il lettore, alla coscienza del personaggio, portando chi legge in un territorio di libertà, di permesso, di vita. Ancorandosi al dettaglio più vero, si manifesta quella che Wood chiama «ecceità»: «Per ecceità intendo il momento in cui Emma Bovary accarezza con lo sguardo gli “scarpini“ di seta con cui ha danzato al gran ballo alla Vaubyessard, “che avevan le suole ingiallite dalla cera sdrucciolevole di quel pavimento”. (...) Poiché l’ecceità è tangibilità, tenderà alla materia: sterco bovino, seta rossa, la cera del pavimento di una sala da ballo, un calendario del 1808, sangue nelle scarpe».
Queste osservazioni, aiutandoci a capire dove trovare la vera potenza dei romanzi, ci aiutano a costruire il romanzo dal kit di assemblaggio contenuto sulla pagina.
Prendiamo le belle pagine sugli haiku di Roland Barthes in La preparazione del romanzo (Mimesis). Barthes ci dice, per esempio, che gli haiku giapponesi ci insegnano a descrivere la natura non per farne un simbolo ma per collocare l’uomo nel mondo. La natura, invece di essere una metafora, per i giapponesi sarebbe la sola vera prova che l’uomo è calato nel mondo e non astratto: se ogni poesia di tre righe ha una riga almeno dedicata alla stagione, è perché l’uomo esiste solo in quanto è sottoposto a una stagione, cioè è nel tempo e nello spazio: «Luna d’autunno / allora aprirò sul leggio / dei libri antichi. (Kikou Yamata)».
Barthes lo contrappone ai poemi francesi, dove a suo dire «c’è corruzione del contingente per brama di generalizzazione», e porta ad esempio Paul Verlaine: «I singulti lunghi / Dei violini / D’autunno».
Il confronto fra i due poeti registra la nostra capacità di distinguere il simbolo strascinato dalla freschezza della manifestazione della natura – in questo caso, la luna che permette di rimanere a leggere al suo chiarore.
Con queste indicazioni, ci troveremo a ridurre il nostro amore incondizionato per Verlaine. D’altra parte, in un romanzo veloce e volutamente cheap come Purity di Jonathan Franzen, quanta attenzione alle stagioni, alla potenza dell’oceano, della nebbia, o delle foreste tropicali. I personaggi di Franzen, per tematici che appaiano, sono davvero calati nel mondo, e non in un simbolo. Dove l’atteggiamento del lettore snob porterebbe a definire Franzen un piacere minore, imbattersi nelle pagine di Barthes sugli haiku ci fa apprezzare molto più seriamente una cosa apparentemente secondaria come le stagioni, perché sono la sola prova che abbiamo vissuto su questa Terra.
Gli strumenti per imparare a leggere si trovano dappertutto, in libreria: in un libro di Bernard Malamud curato da Francesco Longo per minimum fax, Per me non esiste altro, fra una quantità di consigli mirati agli aspiranti scrittori, si può incontrare per caso una definizione di stile che aiuta il lettore forte a capire cosa va cercato in un romanziere e nella sua opera.
1. Lo stile è la più grande espressione di voi stessi. Leggete quello che scrivete, rafforzate le parti che vi piacciono, in particolare quelle più sincere, e buttate via quello che vi sembra debole o finto. Lo stile migliora mentre in voi si sviluppa la voglia di complessità artistica o di profondità.
2. Evitate troppe informazioni, descrizioni, dati e sensazioni. Mantenete la vostra scrittura più libera possibile per le emozioni, le idee e le intuizioni.