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 2015  dicembre 18 Venerdì calendario

IL FASCINO RILUTTANTE DI ROMA

Attenzione. A Roma arrivano i soldi. Non i soldi delle benemerenze e delle prebende e della spesa pubblica, ma i soldi veri, privati. Nell’epoca delle spending review e dei patti di stabilità, flussi molto neoliberisti sono arrivati nel Grande Raccordo. Moda, grande ospitalità alberghiera, ristorazione.
Saranno in grado i romani di reggere questa pressione? Avverranno scontri di civiltà? Nasceranno dei consumi vistosi? Andrà studiata una nuova classe media come in Cina? Nascerà (addirittura) una borghesia? Come in occasione delle settimane romane della moda, quando ammennicoli di milanesità protestante (pantaloni stretti e corti, nero preponderante, anoressie e magrezze) fanno a pugni con le cofane di capelli e gioielli, le tinture da parrucchiere, gli sbuffi da saludos amigos. E però.
Piccole cose: aprono monomarca che un tempo valevano la gita a Milano (ah, la metropolitana d’Italia): Barbour, Ralph Lauren “al” centro; in via Veneto l’Hotel Excelsior finalmente passa all’Emiro del Qatar (verrebbe da dire, come Guzzanti: «A emiro, ma a Roma che t’avevamo fatto?»). Sempre “al” centro, il mammozzone di marmi bianchi già sede dell’Inps in piazza Augusto Imperatore dovrebbe diventare un hotel di massimi lussi, forse addirittura milanesemente un Bulgari Hotel.
Crescono restauri che forse significano qualcosa, a Nord e a Sud della città. Ai Parioli bistrattati nasce un altro hotel, che dovrebbe diventare quello più lussuoso della città, al posto della vecchia Zecca. A Sud, all’Eur, quelli di Fendi rimettono in piedi la balena bianca dell’architettura romana, il Palazzo della Civiltà italiana. Che cosa succederà? Cortocircuiti? Dilagherà quella cosa esotica chiamata borghesia? (Ah, quella sensazione nettissima, in gita a Milano, quella vista di famiglie abbigliate in loden compatti, scarpe lucide, con macchine tedesche e conversazioni a bassa voce in ristoranti anche troppo frequenti, senza preti). Che commozione. Del resto davvero non si sa come avrebbe potuto funzionare l’idea bizzarra di spostare la capitale (dopo avere avuto Torino bella e pronta, dopo aver sventrato Firenze) nella cittadina peggio amministrata del Mediterraneo, una teocrazia pochissimo efficiente, con nessuno fondamentalmente con cui parlare, come poi notavano sempre tutti da Leopardi a Stendhal a Andy Warhol.
Anche esportare la borghesia, non ha avuto molto successo. I torinesi ci hanno provato, a impiantare un’élite, fornendole anche palazzoni dagli standard altissimi per i tempi, ma poi il risultato è stato il core business del timbro del cartellino e una microborghesia fantozziana e imbelle, erede di quelle 650mila famiglie che si calcola vennero impiantate dall’amministrazione sabauda. C’è una triste coerenza nel fatto che la “megaditta” di Fantozzi sia stata ambientata nella sede della Regione Lazio, all’Eur. Però adesso cambia qualcosa. Forse.
I soldi! A Roma! Non erogati né pretesi né donati come nell’ultima rinascita della città, quella rutelliana pre-Giubileo 2000, ma turboliberamente arrivati adesso, col Giubileo “poraccio” 2015 senza sindaco né cantieri né fondi (non si sta male, in fondo, potrebbe dare assuefazione). Ecco appunto “al” centro, l’arrivo del monomarca Polo Ralph Lauren in via del Corso. Ecco il negozio Barbour. Poi arrivano i giapponesi di Zuma per power lunch costosi (la ristorazione è importante, per una città sempre in una sua pausa pranzo esistenziale). Ma rispettando la geopolitica e il genius loci, per un possibile fighismo di Roma serve naturalmente non inseguire la milanesità urbanistica. Città di quartieri, Roma, città agricola-balneare con qualche distretto vagamente occidentale. Città di mare. Città-paese (dei difetti si è già detto. Pregio: non porta alienazione. Quella sensazione brutta che avverti al calare del giorno in piazza del Duomo se sei solo, a Roma non c’è).
Si sa che avere un amico “in” Prati significa la solitudine, in una Salerno-Reggio Calabria di trasporti impossibili (rischiare la vita in motorino o il portafogli in autobus?). Uber prova a lanciare la sua immaginifica linea U, cioè pullmini per disgraziati che vanno a lavorare, su tratte condivise, e oltre forse al risparmio di tempo si potrà socializzare con altre forme umane che non siano il Turista Atterrito, il Pellegrino Poco Liquido e il Migrante Stanziale (non è razzismo, è che se uno va a lavorare la mattina si sente sollevato se è circondato di suoi simili).
Però dimenticando l’impossibile compattezza milanese, rassegniamoci al policentrismo. In mancanza di grandi progetti pubblici, ecco i commerci: e forse non è un caso che le due operazioni più importanti degli ultimi anni non siano in centro. Certo, c’è il grand hotel Inps che dovrebbe aprire appunto sui resti della piazza più lugubre e milanese di Roma, Augusto Imperatore, con severi portici fuoriscala (una Vittor Pisani al quadrato, e quadrata) e vista sull’Ara Pacis e soprattutto i tavoli da bistrot di Gusto, già avamposto del tramezzo-design anni Novanta e manifesto architettonico della ristorazione romana, con il suo paradigma di piastrellina da latteria e vetrata sgarrupata-Hamptons, opera del Libeskind del fritto, Roberto Liorni.
Ma poi, spostandosi a Roma Nord, nei Parioli più misconosciuti e dormienti, nelle vie dei musicisti, ecco l’operazione immobiliare più importante degli ultimi anni: l’edificio meraviglioso umbertino della Zecca, cioè dove si fabbricano i soldi (concetto molto milanese, quasi una provocazione) si trasforma in hotel lussuosissimo dei cinesi di Rosewood. Settantamila metri quadri di hotel, trentamila di residenze alberghiere, ventottomila di appartamenti e uffici per professionisti parioli, che forse scopriranno altre douceurs de vivre rispetto allo scooterone con copertina Tucano. Tutto progettato milanesemente da Antonio Citterio, con piscina aerea sul tetto che non commette nemmeno abuso edilizio perché abolisce e demolisce un piano anni Sessanta. Con parcheggi interrati di quattro piani e un progetto sempre di Citterio per risistemare la piazza Verdi su cui aggetta l’orrido Antitrust (addirittura piantando qualche albero). Operazione che creerà un epicentro di fighismo in un quartiere già molto londinese, di bow window e ottoni e oleandri, scarso degrado e quotazioni basse. Per cronache tipo Parioli Pocket, in questa parte di quartiere ci abita già Ginevra Elkann, ci abita la marchesa Sacchetti già cartolarizzatrice di palazzo Sacchetti della Grande bellezza. Si prevedono spostamenti di baricentri anche turistici a Nord di via Veneto delle mignotte tristi.
Poi, invece, a Sud, ecco l’altra grande operazione anche qui turboliberista, il restauro del Palazzo della Civiltà italiana (altrimenti detto Colosseo quadrato) e l’affitto a Fendi. La società civile in noi farebbe gridare allo scandalo per l’uso sartoriale del monumento, e una misteriosa superfetazione sul tetto rimane lì; però ci si ricorda bene delle transenne secolari, e dell’immagine tipo piccola Chernobyl, manco l’edificio potesse emettere vapori o radiazioni. Adesso vederlo illuminato dall’autostrada per Fiumicino, con i giganteschi dioscuri ormonali davanti, fa piacere. Mentre all’interno, una conferma di quello che potrebbe diventare Roma o almeno alcuni suoi quartieri. Signore in piumino senza cofana, a voce e scarpe basse, a vedere una mostrina molto interessante sullo stesso Eur, con l’Expo mai realizzato del 1942 e i progetti attuali ancora oggi di Mussolini e i suoi architetti fasci ma geniali fin nei dettagli. Studi di Piacentini e Moretti per giochi d’acqua e luce a ritmo musicale, progetti by Giò Ponti per cardi e decumani in allestimenti molto pop (effetto Expo ciao, qui è subito #orgoglioRoma).
E però l’Eur, la grande incompiuta fascistella già riciclata con successo nelle Olimpiadi del 1960 (con Cassius Clay nel Palazzo dello Sport) e tutt’ora lì, pronta, coi palazzi sfitti, potrebbe davvero diventare l’epicentro di una strana coolness romana; pronta magari per accogliere un “grande gesto” architettonico di governi che potrebbero spostare un po’ di burocrazie qui (che palle, le rovine, sempre). Zone oltretutto “servitissime”, dotate di metrò e vicine agli aeroporti. E al mare. E se il progetto architettonico più rilevante degli ultimi anni è naturalmente dello Studio Mafia Capitale (“er uoterfront”, vedi) la ferrovia Roma-Ostia è stata rilevata dalle ferrovie francesi che la trasformeranno in un metrò rendendo l’anima balneare alla città. E forse investendo ulteriormente (scoprendo magari che le tante liabilities o magagne romane son più semplici da risolvere e trasformabili in asset: tante ferrovie e metropolitane son già lì, da rimettere insieme e collegare con poca spesa).
Altro grande progetto, le Torri sorgenti Telecom di fronte al laghetto dell’Eur: la nostra Porta Nuova si estenderà sopra altri colli lungo le rive del fiume sacro sino alle sponde del Tirreno? Boh. Però farebbe piacere vedere magari Xavier Niel, grande azionista Telecom, aggirarsi per l’Eur con la morosa Delphine Arnault erede anche di Fendi, e magari fare feste fichissime, con acconciature sobrie e limo e vestiti neri tra i dioscuri lontani. La Regione Lazio apparirebbe lontanissima.