Danilo Taino, Sette 18/12/2015, 18 dicembre 2015
Sul rischio di (non) esprimere le proprie opinioni – Nelle università americane, esprimere opinioni è diventato rischioso
Sul rischio di (non) esprimere le proprie opinioni – Nelle università americane, esprimere opinioni è diventato rischioso. Un movimento che si autodefinisce di protezione dalle idee che potrebbero turbare le coscienze di una parte degli studenti sta imponendo una censura. Figure come l’ex segretario di Stato Condoleezza Rice e la managing director del Fondo monetario internazionale Christine Lagarde (e altri) hanno dovuto rinunciare a tenere discorsi in alcuni atenei per le proteste degli studenti. Avrebbero potuto dire cose per alcuni sgradevoli. In altre università, i docenti che non si piegano alle richieste di censura vengono ostracizzati. Alcuni corpi accademici e associazioni studentesche propongono la correzione di opere letterarie e storiche nelle parti che potrebbero essere percepite come offensive da parte di alcune minoranze. Una spiegazione dice che i giovani d’oggi sarebbero così viziati da faticare a sopportare discussioni che li possano mettere a disagio. Abituati a essere protetti da ogni imprevisto, si mobilitano per impedire che qualcuno li turbi. Può essere che questa spiegazione sociologica abbia qualche fondamento. In realtà, c’è qualcosa di più alla base di un fenomeno per il quale, incredibilmente, i giovani chiedono meno libertà di espressione: diversamente, non si spiegherebbe come mai anche molti loro insegnanti condividano questa ondata censoria. È che negli anni scorsi ha preso piede un racconto della vita sempre più “politicamente corretto”, un pensiero debole che, invece del confronto delle idee, impone un conformismo, un rifiuto delle diversità a favore di certezze ritenute indiscutibili. I rischi. Si poteva pensare, negli anni scorsi, che il cosiddetto “politicamente corretto” fosse un venticello. Ora si scoprono i suoi effetti perversi. Non si tratta, infatti, di un approccio alla realtà solo ideologico e conformista. Come tutti gli approcci che partono da un presupposto di superiorità – in questo caso morale – diventa normativo e totalitario. Non ammette repliche, anche quando le argomentazioni non sono sostenute dai numeri e dai fatti. Non risulta che nelle università americane il razzismo sia in crescita, che le minoranze siano tiranneggiate, che le violenze sessuali aumentino. Eppure, chi lo sostiene viene messo al bando. Come chi non boicotta Israele. Le università americane sono considerate il livello più alto dell’accademia globale, della ricerca, della moderna originalità di pensiero. Il politicamente corretto rischia di svuotarle dall’interno.