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 2015  dicembre 17 Giovedì calendario

PERISCOPIO

In Italia non sei nessuno fino a quando Saviano non chiede le tue dimissioni. Gianni Macheda.

Ingrao 10 anni. Cossutta 90. Vuoi vedere che mangiare i bambini allunga la vita? Il Rompi-spread. MF.

Renzo Bossi: «Non penso più alla politica, ma all’agricoltura 7 giorni su 7». Ha restituito le braccia. Spinoza. Il Fatto.

Non mi riuscì di raggiungere Foucoult, che svernava in Tunisia, né Althusser, il dottor Marcuse del marxismo occidentale, che, nevroticamente barricato in una stanzuccia dall’Ecole Normale da cui usciva di rado, mi disse, con un tocco ironico al telefono: «Vedermi non ha senso, parlarmi ancora meno. Se ha tempo e voglia, mi legga: lì c’è tutto anche se non tutto è sempre chiaro». Enzo Bettiza, Via Solferino. Rizzoli, 1981.

Oltre alla musica, è stato anche adattato il marchio del Leoncavallo: da «centro sociale» a «spazio pubblico autogestito», il cui beffardo acronimo è S.p.a. In compenso, continuano a chiamarsi «compagno/compagna» e stampano, in tiratura limitata, un calendario di cui vanno fierissimi: il 2015 ha in copertina un grappolo d’uva con il titolo «No Tav, No Tavernello». Carlo Verdelli. la Repubblica.

Pelizzi è un professore contestatario della Cattolica di Milano e cattolico del dissenso. Di questi marxistucci di sacrestia, non mi sono tanto insopportabili le idee, quanto le facce. Se comunismo in Italia ha da essere, che sia almeno quello di Stalin. Ma è speranza infondata. Sarà invece questo, ambiguo, clericale, onanista, dei visi pallidi alla Pellizzi. E più che da morirne ci sarà da vergognarsene. Indro Montanelli, I conti con me stesso - Diari 1957-1978. Rizzoli.

Dopo l’affermarsi del neo-liberalismo, il banchiere è diventato l’usuraio: il mondo della finanza ha reinventato la lotta di classe sotto la sua forma più dura e caricaturale. E d’altra parte la mondializzazione divide profondamente la sinistra: ci sono quelli che l’accettano anche al di là del ragionevole; e ci sono coloro che, al contrario, reinventano il protezionismo. E ciò si traduce anche in posizioni divergenti sull’Europa. È questo, probabilmente, lo spartiacque più importante, molto di più che l’opposizione fra i moderati e gli estremisti all’interno della sinistra. È la questione dell’internazionalismo che divide più profondamente la sinistra. Jacques Julliard, Les Gauches françaises: 1762-2012. Flammarion.

Mio padre non mi aveva mai detto: questa tua canzone è proprio bella. Lo spartiacque è stato Pavarotti. Quando mi chiamò per la seconda edizione di Pavarotti&friends. Portai la mamma e il babbo a vedere lo spettacolo e poi in camerino da lui. Quello fu lo spartiacque. Come le presenze alla Rai. Essendo ’l mì babbo istituzionale, contava solo la Rai. Potevo andare a Mediaset anche tutti i giorni: restava un gioco. Se mi vedeva con Pippo Baudo invece, ero legittimato. Del resto, è sempre stato democristiano. Jovanotti (Gian Antonio Stella). Sette.

Quando ci fu l’attacco a Pearl Harbur, da parte dei giapponesi, mio padre restò sconvolto. Poi, l’America dichiarò guerra. A quel punto, come tanti americani, cercammo il rientro in patria con il piroscafo ma con il mare infestato di mine e di sottomarini sarebbe stato un suicidio. Poi gli congelarono i conti. In pratica le autorità americane resero impossibile il suo rientro. Mary de Rachewiltz, figlia di Ezra Pound (Antonio Gnoli). la Repubblica.

Qui nel cuore sacro della villa, il frinire delle cicale arriva a onde, come un profumo. Walter Siti, Exit strategy. Rizzoli, 2014.

Le vecchie foto mi affascinavano fino a ipnotizzarmi. Nella casa di nonna Giuditta, in quelle estati, mi fermavo spesso a guardare, in una cornice, l’immagine di lei, giovane sposa, con il marito, il giorno delle nozze. Era vestita a festa con gli abiti ampezzani, e tutti e due erano così giovani: non potevo credere che, davvero, fossero i vecchi che io conoscevo. La sfumatura seppiata della foto mi faceva pensare che l’immagine si stesse dissolvendo, e che un giorno sarebbe svanita. Anche i miei avevano delle foto di quando erano ragazzi, piccole, confuse, ingiallite; e mi faceva quasi male non riconoscerli, tanto erano diversi, quei due, da mio padre, da mia madre. Mi pareva un sortilegio che una macchina potesse cogliere un istante di vita e bloccarlo, per sempre, mentre il tempo continuava a scorrere. Io, quando vedevo una macchina fotografica, da piccola, scappavo. Non volevo essere catturata in uno scatto e restarci imprigionata, a ingiallire negli anni. Ero un po’ come i popoli primitivi che temono che quella macchina rubi l’anima, e nascondono il viso. Nella foresta amazzonica, da adulta, ho visto negli indios yanomami, davanti a un obiettivo, la stessa ancestrale diffidenza. Li ho capiti perfettamente. Sono come me da bambina, ho pensato - e ho sorriso, riponendo la macchina. Marina Corradi. Avvenire.

Non ho paura della morte, tranne per l’ansia di non riuscire a fare tutto quello che ho in testa. Ho pile di libri da leggere. Valerio Berruti, pittore. La Stampa.

Perché le banane sono curve? Perché devono girare intorno alla Germania comunista. Barzellette nella Germania comunista. Hans Hermann Hertle, Augelacht (deriso). Ch. Links Verlag.

Si ama sempre chi sta peggio di noi. Perché si ama stare meglio. Ferdinando Camon, La mia stirpe. Garzanti, 2011.

Alla morte penso, ma non ho l’afflato dell’aldilà come gli spagnoli o i siciliani. Mi piace la vita. Però, lo so, bisogna morì. Francesco Rosi, regista (Malcom Pagani e Fabrizio Corallo). Il Fatto.

Tutte queste donne di cui gestisco i soldi sono un po’ innamorate di me. Non posso farci niente. Hanno perso mariti, figli, fratelli, sorelle. Ma un essere umano deve amare qualcuno, altrimenti si spegne come una candela. Isaac B. Singer, Anime perdute. Longanesi, 1995.

Maestro è chi sa trasmettere qualcosa e sa dare anche l’esempio. Piergiorgio Bellocchio, fondatore di Quaderni piacentini. la Repubblica (Antonio Gnoli).

Conosco dei vanitosi che passano tanto tempo a dire bene di loro stessi che non hanno neppure la possibilità di dire male degli altri. Philippe Bouvard, Journal drôle et impertinent. Diario buffo e impertinente. J’ai lu, 1997.

Sono dilaniato dal pensaggio. Paolo Celotto, cuoco, in Francesco Maino, Cartongesso. Einaudi, 2014.

Le donne non mi amano più. Se ne facciano una ragione. Roberto Gervaso. Il Messaggero.

Paolo Siepi, ItaliaOggi 17/12/2015