Carlo Bastasin, Il Sole 24 Ore 17/12/2015, 17 dicembre 2015
LA STRADA PER LA STABILITA’ FINANZIARIA È ANCORA LUNGA –
La presidente della Federal Reserve, Janet Yellen, ha ceduto alla tentazione di celebrare il rialzo di ieri dei tassi d’interesse come un ritorno alla normalità: la chiusura di un’epoca eccezionale di sofferenze, cominciata otto anni fa con lo scoppio della crisi finanziaria globale. La decisione della Federal Reserve è certamente storica: dal giugno 2006 la Banca centrale americana aveva rinunciato ad aumenti nel costo del denaro. Dal dicembre 2008, i tassi sui fondi federali erano addirittura rimasti incollati a zero. Inoltre in questi anni sia l’espansione convenzionale della politica monetaria americana sia quella non-convenzionale del bilancio della Fed si sono trasmesse alle banche centrali di tutto il mondo. Solo in Europa l’allentamento delle quantità di credito è avvenuto così in ritardo da non aver avuto ancora il tempo di tradursi in un completo recupero della recessione. Eppure, in questa normalizzazione c’è in realtà ben poco di normale.
L’economia americana in questi anni è certamente migliorata, ma il divario tra sviluppi finanziari violenti e il passo moderato della crescita economica non si è affatto ridotto. La disoccupazione è scesa dal 10% dell’ottobre 2009 al 5% dell’ottobre 2015. Il reddito reale sta crescendo un po’ più del 2% e la Banca centrale americana considera questo ritmo di crescita adatto a creare ancora nuovi posti di lavoro e a far crescere i prezzi. Tuttavia, le previsioni della Fed in materia di disoccupazione (al 4,7%) e di stabilizzazione dell’inflazione al 2% non sono del tutto convincenti e la loro coerenza sembra basata su una relazione (la curva di Phillips) che è come minimo mutevole. Mantenere per circa sei anni i tassi d’interesse al di sotto del tasso di crescita dell’economia è servito a superare la recessione e a tamponare gli squilibri, non a curare le cause della crisi, né a rimediare al declino della produttività, né a scongiurare il calo dei salari, né in ultima istanza a sanare lo squilibrio tra finanza ed economia reale.
Al contrario, in tutte le economie avanzate, tassi d’interesse azzerati continuano a provocare una ricerca aggressiva dei rischi sui mercati finanziari che contrasta con una bassa propensione al rischio nell’economia reale. Non può essere una condizione stabile.
Continua pagina 3 Carlo Bastasin
Continua da pagina 1 L’epoca della crisi finanziaria globale sarà superata solo quando questo rapporto tra rischi nell’economia finanziaria e nell’economia reale si sarà invertito, o almeno allineato. È molto probabile che ciò possa avvenire solo con il rilancio degli investimenti (per il quale però non ci sono molti margini di manovra nei bilanci), oppure quando i tassi d’interesse saranno tornati a un livello abbastanza alto da scoraggiare i rischi finanziari e invece da incoraggiare la ricerca di maggiore produttività negli investimenti reali e quindi maggior (non minore) crescita dell’economia nel medio e lungo termine.
Yellen ha fatto capire ieri che nel 2016 ci saranno altri quattro graduali incrementi dei tassi. Sarà da vedere se le autorità monetarie avranno il coraggio di proseguire sulla strada della normalizzazione finanziaria con gli elevati costi politici che essa comporterebbe (minore crescita a breve termine e minore libertà finanziaria) nel corso di una lunga ed incerta campagna presidenziale e poi con la nuova amministrazione. Ma questo coraggio è da salutare e ieri quanto meno il primo passo è stato compiuto.
Quello che vale per gli Stati Uniti non vale invece per l’euro-area. Qui la fase espansiva della politica monetaria è ancora troppo recente. Sono passati solo nove mesi dal momento in cui il livello dei tassi d’interesse europei è sceso al di sotto del tasso di crescita dell’economia, agevolando il processo di riduzione dei debiti. Nel caso degli Stati Uniti ci sono voluti tre anni per vedere gli effetti dello stimolo monetario. È difficile dire quanti ne serviranno nei paesi europei che hanno condizioni dell’economia molto differenziate tra di loro, ma è probabile che ne servano almeno un paio ancora.
Prima di celebrare la “normalizzazione” bisognerà dunque aspettare ancora a lungo. Nel frattempo, le economie di tutto il mondo – comprese quelle emergenti – restano esposte all’eccesso di liquidità che da un quarto di secolo ormai non ha smesso di creare una crisi finanziaria dopo l’altra.
A qualcosa è servito il rafforzamento della supervisione sui sistemi finanziari. Prima della crisi, negli Usa c’erano banche troppo grandi “per poter fallire” e un sistema finanziario “ombra” che sfuggiva ai radar dei regolatori. Iniziative di regolazione hanno limitato un po’ i rischi sistemici che provengono da banche troppo grandi e hanno gettato un po’ di luce nelle ombre delle non-banche, ma come ha riconosciuto di recente il numero due della Fed, Stanley Fischer, tuttora non disponiamo né delle informazioni statistiche adeguate sul complesso del sistema finanziario, né di un modello teorico che descriva le connessioni tra gli attori del sistema finanziario.
La strada per la stabilizzazione dei sistemi finanziari è ancora lunga. Lo vediamo anche in Italia con la difficoltà di tenere sotto controllo perfino piccole banche di provincia. Pensare che le decisioni di investimento di chi opera nell’economia reale non siano condizionate dall’instabilità finanziaria è come minimo ingenuo.