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 2015  dicembre 15 Martedì calendario

APPUNTI PER GAZZETTA - IL CASO BANCA ETRURIA E LE EVENTUALI DIMISSIONI DELLA BOSCHI


IL PEZZO DI SAVIANO CON CUI SI CHIEDONO LE DIMISSIONI DEL MINISTRO
ILPOST.IT 11/12/2015

LA MOGLIE DI CESARE E IL PADRE DI MARIA ELENA BOSCHI
di Roberto Saviano
Molti si sono preoccupati di dare ampia pubblicità agli impegni del Ministro Boschi nella giornata in cui il Consiglio dei Ministri ha varato il decreto che ha salvato dal fallimento anche la Banca della quale il padre è vicepresidente. Molti hanno sentito la necessità di dare ampio spazio all’alibi del Ministro che, salvata la forma, ritiene di aver risolto la questione sul piano politico. Ma non è così.
Perché la Banca sia fallita – dopo essere stata oggetto nei mesi scorsi di sospette speculazioni – è compito degli organi competenti accertarlo (sempre che non si applichino al caso moratorie altrove felicemente utilizzate). Ma il conflitto di interessi del Ministro Boschi è un problema politico enorme, dal quale un esponente di primissimo piano del governo del cambiamento non può sfuggire. In epoca passata abbiamo assistito a crociate sui media per molto meno, contro esponenti di terza fila del sottobosco politico di centrodestra: oggi invece pare che di certe cose non si debba o addirittura non si possa parlare. È probabile che il Ministro Boschi non risponda come se il silenzio fosse la soluzione del problema. Ma questo è un comportamento autoritario di chi si sente sicuro nel proprio ruolo poiché (per ora) le alternative non lo impensieriscono. E se il Ministro resterà al suo posto, senza chiarire, la colpa sarà principalmente nostra e di chi, temendo di dare munizioni a Grillo o a Salvini, sta tacendo o avallando scelte politiche inaccettabili.
Quando è iniziata la paura di aprire un serio dibattito su questo governo? Quando è accaduto che a un primo ministro fosse consentito di prendere un impegno serio sul Sud ad agosto per dimenticarlo del tutto il mese successivo?
Proviamo a immaginare per un attimo che la tragedia che ha colpito Luigino D’Angelo, il pensionato che si è suicidato dopo aver perso tutti i risparmi depositati alla Banca Etruria, fosse accaduta sotto il governo Berlusconi. Tutto questo avrebbe avuto un effetto deflagrante. Quelli che ora gridano allo scandalo, gli organi di stampa vicini a Berlusconi forse avrebbero taciuto, ma per tutti gli altri non ci sarebbe stato dubbio: si sarebbero invocate le dimissioni. Dunque, cosa è successo? Come siamo passati dai politici tutti marci ai politici tutti intoccabili? Cosa ci sta accadendo?
All’alba della Terza Repubblica un ministro del governo Letta, la campionessa Josefa Idem, sfiorata da una vicenda senza alcuna rilevanza penale (aveva indicato come abitazione principale ai fini della tassazione un immobile che non lo era), decise di dimettersi. Era iniziato un nuovo corso e alle elezioni politiche il Movimento 5 Stelle, con la carica moralizzatrice che gli è propria, aveva ottenuto un risultato impensabile: c’era la necessità di marcare la differenza con il passato. Il passato era la Seconda Repubblica e la sua impostazione liberale, non nel senso classico, ma in quello icasticamente definito da Corrado Guzzanti per il quale la Casa della Libertà era solo un luogo dove ognuno – e i potenti ancor di più – facevano quello che volevano, contro la legge o con l’ausilio di leggi ad hoc.
Si torna sempre a Berlusconi, ma del resto non è vero che senza conoscere il passato non può comprendersi il presente? O si tratta di una massima di portata generale e mai particolare? I nemici di Berlusconi, tra i quali mi onoro di essere annoverato, sono una folta, foltissima schiera di scrittori, giornalisti, intellettuali, privati cittadini che nel tempo si sono sentiti investiti del compito di monitorare cosa stesse accadendo alla politica italiana, alla sua economia. Di comprendere e se possibile rendere pubblici certi meccanismi. I tentativi di censurare, di impedire il racconto della realtà e infine di diffamare chi osasse farlo, sono stati innumerevoli. Ma l’Italia non è mai diventata la Turchia di Erdoğan o la Russia di Putin – amici dichiarati del nostro ex Presidente – perché non eravamo soli. Ognuno di noi sapeva di poter contare sul supporto di altri che come noi spendevano tempo, energie e intelligenza per raccontare quanto succedeva ogni giorno, tra cronaca parlamentare e giudiziaria. Sulle pagine del quotidiano Repubblica un maestro indimenticabile del giornalismo di inchiesta, Peppe D’Avanzo, inchiodò il berlusconismo a dieci domande che non hanno mai ricevuto risposta, poiché è bene ricordare che il compito del giornalista è chiedere, il dovere del potere è rispondere. Quel potere era legittimo e democratico e quei governi frutto di libere elezioni: i media facevano il proprio dovere, tutelando quelle regole democratiche alle quali il signore di Arcore e il suo codazzo si richiamavano costantemente per fare quello che gli pareva e conveniva. Cosa è successo da allora? Cosa è cambiato nel nostro modo di leggere ciò che accade? Cosa è cambiato nella nostra capacità di indignarci? Cosa ne è di quel fronte unito contro un metodo di governo?
Perché era giusto sotto Berlusconi chiedere le dimissioni, urlare allo scandalo e all’indecenza ogni volta che qualcosa, a ragione, ci sembrava andare nel verso sbagliato e tracimare nell’autoritarismo? Perché sotto Berlusconi non ci si limitava a distinguere tra responsabilità giuridica e opportunità politica, ma si era giustizialisti sempre? E perché invece oggi noi stessi ieri zelanti siamo indulgenti anche dinanzi a una contraddizione cosi importante e oggettiva?
Se Berlusconi, che per anni abbiamo considerato causa dei mali dell’Italia, era in realtà la logica conseguenza della ingloriosa bancarotta della Prima Repubblica, così la stagione politica che stiamo vivendo adesso non ha nessuna caratteristica peculiare, nessun pregio o difetto autonomo, ma nasce dalle ceneri di quella esperienza. Il che non vuole dire in continuità, ma neanche ci si può ingannare (o ingannare gli altri) raccontandoci l’incredibile approdo sul suolo italico di una nuova generazione di politici senza passato. Banalmente – questa la narrazione dei media di centrodestra – potremmo dire che quando al potere ci sono le sinistre, si è più indulgenti. L’opinione pubblica è più indulgente. I media sono più indulgenti. È come se, a prescindere, si fidassero. Anche se ho seri dubbi che al governo ci sia la sinistra, o anche solo il centro-sinistra, e nemmeno, a dire il vero, una politica moderna: dato il ridicolo (per non dire peggio) ritardo sul tema dei diritti civili.
O forse le ragioni della attuale timidezza risiedono nell’iperattivismo del Renzi I (dato che tutti prevedono un nuovo ventennio per mancanza di alternative, forse dobbiamo prepararci alle numerazioni di epoca andreottiana) che lascia spiazzati, poiché il timore è di sembrare conservatori (con un uso improprio degli hashtag) o peggio nostalgici.
Del resto come si comunica contro gli hashtag del premier senza passare per gufi o nemici del travolgente cambiamento? Ormai si è giunti ad un passo dall’accusa di disfattismo. Imporre la furba dicotomia che criticare il governo o mostrare le sue forti mancanze sia un modo per fermare le riforme, che invece vogliamo, e per armare il populismo, verso cui nutriamo sempiterna diffidenza, è un modo per anestetizzare tutto, per portare all’autocensura.
Ma non cadiamo nella trappola: la felicità di Stato non esiste, è argomento che riguarda gli individui, non si impone, si raggiunge e noi ne siamo lontani. E la critica non è insoddisfazione malinconica, non è mal di vivere, non è spleen: e considerarla tale è quanto di peggio possa fare un capo di governo. Che il ministro Boschi risponda e subito della contraddizione che ha visto il governo salvare la banca di suo padre con un’operazione veloce e ambigua. Lo chiederò fino a quando non avrò risposta.

RENZI
"Chi ha truffato dovrà pagare. Se ci sarà dimostrazione di una truffa, i truffati dovranno essere risarciti, altrimenti sarà una cosa diversa e non possiamo farci niente secondo le regole europee". Lo ha detto il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, parlando del dl salva-banche nel corso della registrazione di Porta a Porta. "Non c’è da fare tanti discorsi - ha aggiunto il premier
- sono contento di aver firmato quel dl, abbiamo salvato Perche cosi abbiamo salvato 7.200 posti di lavoro e 1 milione di correntisti, e gli stipendi" dei dipendenti. "Ci sarà un arbitrato cui accederanno migliaia di persone".

REPUBBLICA.IT
ROMA - Una mozione di sfiducia del centro-destra contro il governo di Matteo Renzi sulla questione del salva-banche. A dare il via all’attacco è il leader della Lega, Matteo Salvini, che esordisce con toni violenti. "Quell’infame di Renzi parla di sciacalli che si approfittano dei morti, lo vada a dire alla vedova del pensionato che si è suicidato. La morte del pensionato è colpa sua, sì", dice Salvini, intervenendo a ’La Zanzara’ su Radio 24, che ne ha diffuso il testo. Rincara la dose Renato Brunetta di Fi, mentre contrattacca, unito, il Pd: "Salvini pensi al fallimento di Credieuronord".
L’attacco di Salvini. "Il Pd in parlamento salverà la poltrona della Boschi. Con quello che hanno combinato lei e Renzi, con gli intrecci oscuri (neanche tanto) fra banche e famiglie, rovinando centinaia di migliaia di risparmiatori, si dovrebbe dimettere. Per quanto ci riguarda, abbiamo già pronta la sfiducia anche al presidente del consiglio con l’auspicio di trovare il sostegno di tutte le opposizioni. Mandiamo a casa Renzi e tutto il suo governo".
LEGGI Boschi: "Non mi spaventano. Vado avanti, mai lasciate le cose a metà" di FRANCESCO BEI
L’affondo di Fi. Ad appoggiare la volontà di presentare una mozione di sfiducia, già chiesta dal M5S, c’è un altro esponente di centro-destra, Renato Brunetta, capogruppo di Forza Italia alla Camera dei deputati. "Domani presenteremo, tutto il centrodestra unito, alla Camera come al Senato, una mozione di sfiducia contro il governo. Boschi è solo una figlia di questo governo, una figlia in conflitto di interessi, ma chi ha i più grandi conflitti di interessi è il presidente Renzi - ha detto Brunetta - . Primo perchè è abusivo, non ha mai vinto le elezioni, ha solo vinto delle primarie taroccate, secondo perchè si basa su maggioranze frutto della compravendita politica di parlamentari. Inaccettabile. La mozione di sfiducia del centrodestra unito, alla Camera come al Senato, sarà al governo".
La replica della minoranza dem. Una questione spinosa sulla quale interviene anche l’ex segretario pd Pier Luigi Bersani, uno dei leader della minoranza dem, che dice: "La Consob si occupa di trasparenza, Banca d’Italia di stabilità e della sostanza chi si occupa? Qualche volta governo e Parlamento devono mettere il dito nel mercato per difendere i cittadini dagli eccessi del mercato. Serviva la legge che ora chiede Bankitalia". "In tutti questi commenti - osserva Bersani - sfugge l’importanza della norma. Se con una norma non si fosse stabilità la trasferibilità dei mutui non ci sarebbe ancora. Qualche volta governo e Parlamento devono mettere il dito nel mercato per difendere consumatori e cittadini dagli eccessi". In particolare, "per dirne una", aggiunge, le istituzioni avrebbero dovuto approvare la legge che vieta la vendita allo sportello di obbligazioni a rischio".
LA LETTERA Da noi vittime 10 domande a Bankitalia
Il contrattacco dei renziani. Alessia Rotta, della segreteria Pd, e Emanuele Fiano, capogruppo pd in commissione Affari costituzionali della Camera, rispondono al segretario del Carroccio.
"Salvini - dice Rotta - vuole che siano gli italiani a pagare il salvataggio di un milione di correntisti e dei lavoratori. Probabilmente dice simili castronerie pensando ai bei tempi, quando falliva Credieuronord, la banca della Lega su cui giravano i soldi delle truffe delle quote latte, 4.5 mld pagati dagli italiani. Sul fallimento della sua banca chieda informazioni all’ex ministro Tremonti, soprattutto su come fu gestito il dopo di quel disastro".
"Salvini - spiega Fiano - non si è ancora ripreso dalla sconfitta della sua alleata Le Pen. Per di più, preoccupato per il calo dei consensi, prova a competere con i 5Stelle e il risultato è che ogni giorno la spara più grossa. Se i grillini presentano la mozione di sfiducia del ministro Boschi, Salvini chiede direttamente le dimissioni di Renzi. Quindi, nel delirio leghista il governo avrebbe dovuto lasciare fallire quattro banche, mettere in strada settemila dipendenti, rendere impraticabile il rimborso di migliaia di correntisti e utilizzare il denaro pubblico, invece che del sistema bancario stesso. Effettivamente da chi ha a ancora sulla coscienza il fallimento della banca padana, ci si aspettava qualche idea più brillante".
"Niente male - rincara la dose Carbone - , l’antistatalista salvini, il federalista a giorni alterni, chiede che siano gli italiani a pagare per tutti. Complimenti. Il governo ha evitato questo scempio. Tralasciamo poi lo spettacolo allucinante e squallido offerto da chi, come salvini, cerca di strumentalizzare la morte, indegno corollario- conclude carbone- della pochezza politica del personaggio".

PADOAN
MILANO - "Le istituzioni sono solidali e forti. Piena fiducia a Bankitalia e Consob". Così il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, difende le istituzioni coinvolte nella vicenda del salvataggio di CariFerrara, CariChieti, Banca Etruria e Banca delle Marche: banche in grave difficoltà gestionale per responsabilità manageriali sulle quali ci sono anche le indagini delle Procure, che sono state salvate con un decreto del governo.

"L’attività di vigilanza - ha aggiunto Padoan riferendosi alle quattro banche salvate - non è messa in discussione". Su Palazzo Koch e sull’Autorithy dei mercati finanziari si è diretta la rabbia di molti investitori inconsapevoli, che si sono fidati di quanto suggerito in filiale e hanno messo i loro risparmi su prodotti che poi sono stati svalutati nel processo di salvataggio: da loro arrivano i quesiti più pressanti sul ruolo di vigilanza preventiva e trasparenza sul collocamento di quelle obbligazioni, ma anche sulla tempestività degli interventi per bloccare la spirale gestionale negativa che poi ha portato a commissariamenti e salvataggio. Per Roberto Nicastro, presidente delle "nuove" quattro banche ripulite dai crediti in sofferenza, i problemi che hanno coinvolto i risparmiatori delle 4 banche in crisi "sono un fenomeno acuto ma fortunatamente molto più circoscritto" di quanto paventato inizialmente.

Il ministro Padoan non si è potuto esimere dal commentare anche la questione politica che riguarda il ministro Maria Elena Boschi, accusata di essere in conflitto di interessi per il ruolo che in primis il padre svolgeva in Banca Etruria (vice presidente). "La ministra Boschi uscirà alla grande da questa questione perche non c’è nulla da nascondere", ha spiegato il titolare dalle Finanze a Radio Anch’io, ribattendo alla richiesta di sfiducia del M5S. "Se ci sono state responsabilità individuali le verificheremo", ma non si può "fare lo scaricabarile" e "imbrattare" l’intero sistema.

Per quanto riguarda il ristoro dei danni subiti dagli investitori privati che hanno perso gran parte dei loro risparmi, Padoan ha frenato sulle modalità d’intervento: "E’ ancora presto per parlare di soglie, bisogna mettere in moto un meccanismo di tipo arbitrale, cosa che faremo. Vorrei pregare di evitare di dare numeri. L’unico numero su cui adesso siamo sicuri è che ci sono 100 milioni che vengono dal sistema bancario per questo strumento" e che l’intervento andrà mirato "ai più deboli".

Tornando a Nicastro, il presidente dei quattro istituti ha fatto il punto della situazione: "Stiamo facendo una ricognizione del fenomeno e abbiamo diffuso i primi elementi molto fattuali: metà del collocamento è stato fatto con istituzionali e quindi non risparmiatori, il fenomeno è acuto ma fortunatamente molto più circoscritto.Si tratta di circa un migliaio di casi molti delicati e altri 8mila casi di risparmiatori con un problema che sta tra l’1% e il 29% del loro patrimonio presso la banca e altri casi intermedi". Poi aggiunge, sul timore di fuga dei correntisti: "E’ umano sviluppare un pò di preoccupazione, ma mi sento assolutamente sereno nel dire che parliamo di quattro nuove banche con zero sofferenze
e costruite per servire la clientela; inoltre i numeri sono molto più piccoli di quanto s’ipotezziva: l’1% dei clienti e il 10% in una situazione molto delicata, si tratta di mille risparmiatori per un totale di 30 milioni, più 100 milioni per i casi intermedi".

Dieci domande per capire come i propri risparmi, investiti in azioni e obbligazioni, si siano dissolti in un batter d’occhio. Le vittime del decreto Salva banche, con l’aiuto di tecnici ed esperti in economia e finanza, scrivono alla Banca d’Italia e chiedono risposte chiare. Sotto accusa c’è il decreto Salva Banche, il provvedimento con cui il governo ha salvato quattro istituti (Banca Marche, Banca Etruria, Carife e CariChieti), ma che per loro si è tradotto in un azzeramento dei propri risparmi.

In un documento redatto dal gruppo "Vittime del Salva banche", i risparmiatori denunciano innanzitutto la mancanza di trasparenza per quanto riguarda la procedura di risoluzione. E si domandano perché l’istituto di via Nazionale si sia opposto alla decisione degli azionisti delle quattro banche di sottoscrivere un aumento di capitale. Una strada, spiegano, che poteva essere perseguita con lo stesso decreto.

Inoltre chiedono se azzerare le obbligazioni LT2 old style vendute allo sportello, in base a un contratto stipulato moti anni prima del "Bail-in" e della direttiva Brrd (Bank Recovery and Resolution Directive, che introduce in tutti i Paesi europei regole analoghe per gestire le crisi bancarie a partire dal 1° gennaio 2015) non significhi "non rispettare il contratto". Perché, domandano anche i risparmiatori, nell’azzeramento sono stati parificati il livello di subordinazione delle obbligazioni piazzate ai risparmiatori a strumenti ben più rischiosi? Ma l’interrogativo riguarda anche il motivo per cui è stato imposto il coinvolgimento degli azionisti/obbligazionisti nonostante il salvataggio effettuato con fondi volontari di natura privata.

Di seguito pubblichiamo le 10 domande in versione integrale.

1. Le obbligazioni vendute allo sportello, ora azzerate, sono obbligazioni LT2 “old style”. Cioè obbligazioni che prevedono, in caso di liquidazione della banca, di venir pagate dopo i crediti chirografari/privilegiati e dopo le obbligazioni senior. In pratica, per un paio di punti percentuali di rendimento in più, si accetta una recovery minore rispetto ad altri strumenti. Questo non significa che non si abbia, in base al contratto stipulato, diritto alla recovery, ma semplicemente si viene dopo qualcuno. Non pensate che tale contratto, stipulato molti anni fa, quando il “Bail-in” e la direttiva BRRD non esistevano, non verrà rispettato se il decreto “Salva-Banche” avrà luogo?

2. L’azzeramento parifica il livello di subordinazione delle LT2, piazzate ai risparmiatori, a strumenti ben più rischiosi quali le UT2 e le T1. Questa parificazione non è naturalmente prevista dal contratto. Perché, invece, sono stati parificati?

3. Per Carife ed Etruria il FITD aveva diramato la notizia dell’impegno alla sottoscrizione di AUC dedicati rispettivamente per 300 e 400 mln €. Non pensate che queste notizie siano state diramate pubblicamente distorcendo l’informativa di mercato e dando confidenza agli investitori rispetto a quanto accaduto poi con l’emissione del decreto?

4. Secondo fonti Governative "l’azzeramento del valore delle obbligazioni subordinate - come tali parte del capitale di rischio - costituisce un vincolo non eludibile, imposto dalla Direzione Generale Competitività per approvare gli interventi del fondo di risoluzione.” Essendo il salvataggio dei quattro istituti, almeno a detta degli esponenti apicali del MEF e di Banca d’Italia, effettuato con i fondi volontari di natura privata e senza toccare i risparmi dei contribuenti, si ritiene che il coinvolgimento degli azionisti/obbligazionisti (burden sharing) non possa essere assolutamente una misura obbligatoria imposta dalla Direzione Generale Competitività, che interviene solo nei casi in cui si possano configurare aiuti di stato che ovviamente non ricorrono in caso di intervento privato. Perché questa misura è stata imposta dalla Direzione Generale Competitività?

5. Dov’è l’atto con cui la Direzione Generale Competitività obbliga l’ente di risoluzione ad azzerare azioni ed obbligazioni dei 4 istituti?

6. Pur presupponendo un’imposizione da parte della Direzione Generale Competitività in merito al coinvolgimento degli azionisti/obbligazionisti nella risoluzione degli istituti, si ritiene come non sia credibile che la direzione ne abbia imposto l’azzeramento, in quanto le forme di burden sharing prevedono misure di riduzione / conversione dei crediti, che sono del tutto discrezionali in capo all’ente di risoluzione. Dobbiamo quindi dedurre che la scelta di azzerare tutto è interamente imputabile all’organo di risoluzione? A conferma di quanto detto si ricorda che, ai sensi del D.L. 183/2015, la risoluzione non prevede necessariamente la misura di conversione/riduzione di azioni ed obbligazioni, il che lascia dedurre che sia sempre una scelta discrezionale dell’organo di risoluzione e non predeterminato dalla legge agire in tal senso.

7. Abbiamo esempi recenti di salvataggi bancari (perfino in Grecia), approvati dalla stessa Direzione Competitività, in cui gli obbligazionisti hanno volontariamente convertito il proprio credito in azioni pur di salvare le banche. La necessità di chiedere il contributo degli obbligazionisti è causata dall’eccessiva svalutazione dei crediti deteriorati (svalutati al 17% quando nei bilanci bancari non sono svalutati a meno del 45%) e dal fatto che con la cessazione delle attività delle vecchie banche si siano persi centinaia di milioni di anticipi (crediti) d’imposta, per cui il deficit da ripianare è aumentato esponenzialmente.Non pensate basterebbe quindi rivalutare i crediti in sofferenza finiti nella bad bank riportandoli ad una svalutazione congruente a quelle comuni ai bilanci degli istituti di credito italiani e riportare (con decreto legge) nelle nuove banche i crediti d’imposta per scongiurare l’intervento degli obbligazionisti nel salvataggio?

8. Gli azionisti delle 4 banche erano pronti a sottoscrivere un aumento di capitale; perchè attraverso il commissariamento e il decreto non l’avete permesso?

9. Non vi sembra che vi sia stata un’assoluta mancanza di trasparenza
nella procedura di risoluzione?

10. Il decreto prevede che le nuove banche ed i crediti deteriorati debbano essere venduti in fretta entro gennaio. La mancanza di tempo, non si scontra con la necessità di rimborsare al meglio i risparmiatori?

INDAGATI
L’ultimo presidente di Banca Etruria Lorenzo Rosi e l’ex consigliere di amministrazione Luciano Nataloni, già vicepresidente di Banca Del Vecchio, sono stati iscritti nel registro degli indagati nel fascicolo aperto dalla procura aretina sul conflitto di interessi, il terzo filone di indagine dopo quello relativo alle false fatturazioni e l’altro per il reato di ostacolo alla vigilanza. La conferma da parte della procura di Arezzo è arrivata questa mattina.

I nomi di Rosi e Nataloni erano evidenziati nel verbale redatto dagli ispettori di Bankitalia al termine delle verifiche effettuate sull’istituto aretino. Per Rosi, secondo l’organo di vigilanza, il conflitto risiederebbe nelle attività della cooperativa ’La Castelnuovese’ di cui Rosi era presidente. Nove le posizioni rilevate invece nei confronti di Luciano Nataloni.

La 10 domande dei risparmiatori a Bankitalia

GLI ESPOSTI Un esposto invece è stato inviato alla Procura dal Codacons in cui si "chiede di accertare il comportamento del management della banca alla luce di una serie di reati ben precisi, dall’altro chiama direttamente in causa gli organi di vigilanza". In particolare il Codacons sollecita la Procura ad indagare su eventuali illeciti "da parte degli ex vertici amministrativi e gestionali della banca, e dagli organi di vigilanza e controllo istituzionale, Consob e Banca d’Italia, per aver permesso il prorogarsi di una situazione grave e pericolosissima per i risparmiatori e gli azionisti, ed invece di tutelare il risparmio e la proprietà - entrambi costituzionalmente garantiti - hanno permesso il disastro di perdite che oggi tutti conosciamo". Il Codacons ha chiesto inoltre alla Procura di Arezzo "di voler compiere tutte le indagini necessarie al fine di accertare se nei fatti esposti siano ravvisabili eventuali comportamenti di organi pubblici e/o istituzionali e/o soggetti privati che configurino gli estremi dei reati di truffa".

Un altro esposto lo ha presentato Federconsumatori che ha anche fatto un presidio con circa cinquanta persone con il presidente dell’associazione Pietro Paolo Ferrari e del segretario regionale Fulvio Farnesi. "Si tratta di far chiarezza sulle responsabilità di chi ha spinto le persone ad acquistare un prodotto - ha commentato Farnesi - in questo caso potrebbe configurarsi il reato di truffa ma spetterà al procuratore valutare".

IL PAESE A Chiusi della Verna, in provincia di Arezzo, nel frattempo, un intero paese si riunirà col sindaco per decidere cosa fare sul caso Banca Etruria. Nel suo territorio, infatti, abitano 160 persone che hanno affidato i propri risparmi alla banca e che li stanno perdendo. L’appuntamento è per il 18 dicembre nella sala del consiglio comunale. "Abbiamo il poco invidiabile record della più alta percentuale di risparmiatori, circa 160 in un Comune di poco più di 3.000 abitanti, che hanno visto sfumare piccoli o grandi somme che spesso erano
i risparmi di una vita", spiega il sindaco Giampaolo Tellini che ha convocato l’incontro pubblico con la popolazione. "Daremo alla nostra gente tutte le informazioni, su quello che come amministrazione andremo a fare a seconda della piega che prenderà questa vicenda - aggiunge il sindaco -. Come ho già detto nei giorni scorsi non è escluso che in caso di azione legale il Comune di Chiusi della Verna si costituisca parte civile in un eventuale processo".

BEI SU REPUBBLICA.IT
ROMA - A dimettersi non ci ha mai pensato. Il ruolo del caprio espiatorio non le si addice. Al centro del gorgo da una settimana, la ministra Maria Elena Boschi resta fedele al personaggio a una sola dimensione che si è costruita in questi 22 mesi di governo: algida, professionale. Persino quando in ballo c’è la sua famiglia, riesce in pubblico a non farsi travolgere. Parlerà, questo è certo. "Risponderò a tutti, ma in aula", promette ai parlamentari del Pd che da ieri hanno iniziato a interrogarla su come difendersi dall’attacco sferrato dall’opposizione con la mozione di sfiducia.

Chi la conosce da tempo non si stupisce di questo distacco, è il suo modo di reagire di fronte alle difficoltà, di mascherare la rabbia. Lo ha confidato in queste ore a un amico: "Non sono una che si spaventa facilmente. E non mollo. Non ho mai lasciato una cosa a metà in vita mia, nemmeno un libro ". Appare coriacea, è convinta che alla fine la "verità" sulla Banca Etruria e sul comportamento suo e della sua famiglia, verrà fuori. "Non capisco - si è sfogata in privato le ragioni di attacchi così violenti e gratuiti, ma io sono molto serena: il bene alla fine vince sempre".

Una linea attendista, il giunco che si piega in attesa che passi la piena, condivisa con Renzi nelle ore più drammatiche, quelle della Leopolda. "Il tempo e la verità - ripete il premier ai suoi - stanno dalla nostra parte". D’altronde, spiega Renzi, "che c’entra Maria Elena con Banca Etruria? La mozione di sfiducia è paradossale. Il padre è stato persino multato dalla Banca d’Italia, in cosa lo avremmo favorito con il nostro decreto? Abbiamo fatto tutto quello che si poteva fare".

Il governo, insistono a palazzo Chigi, ha agito per tutelare l’intero sistema creditizio italiano. "Se fossero fallite quattro banche, per quanto piccole, ci sarebbe stato un effetto a catena, una sfiducia generalizzata dei correntisti. Avremmo rischiato una corsa agli sportelli". Nell’incontro di ieri a palazzo Chigi Renzi e Padoan hanno verificato per l’ennesima volta il perimetro massimo di un provvedimento di parziale ristoro dei risparmiatori rimasti incastrati nel meccanismo infernale delle obbligazioni secondarie. Senza nascondersi che un rimborso generalizzato, a carico della collettività, è di fatto impossibile e vietato dalle regole europee.

Ma il buco nero delle banche, la mozione di sfiducia alla Boschi - la prima che verrà votata in parlamento durante il governo Renzi - e il risultato in chiaroscuro della Leopolda, oscurata in gran parte dalle polemiche, portano con sé degli interrogativi che esulano dal caso specifico. E inducono molti tra gli stessi renziani a chiedersi se il "tocco magico" del premier non sia svanito, se la luna di miele con il paese - durata un tempo infinito e sopravvissuta persino alle battaglie sul Jobs Act e sulla Scuola - non sia tramontata definitivamente. Se insomma il premier e il suo governo non siano entrati in una fase discendente della parabola. La domanda al momento non ha risposte, ma l’esigenza di un rilancio è avvertita in primis dal leader democratico. La stessa Leopolda, nonostante ieri Renzi se la sia presa con i giornali, rei di aver dato troppo spazio alle banche ignorando "il record di partecipanti ", sembra arrivata al capolinea. "È un format di opposizione - ammette uno degli organizzatori - non funziona ora che siamo al governo. La regista Ercolani è stata bravissima, il problema è la formula". Tanto che la Leopolda numero 6 probabilmente sarà anche l’ultima dell’era Renzi a palazzo Chigi. La numero 7, se ci sarà, sarà frammentata in tante piccole manifestazioni sparse per l’Italia "lo stesso giorno alla stessa ora". Che non è proprio la stessa cosa.

Adesso comunque c’è da concentrarsi sulle ultime due settimane dell’anno, per chiudere limitando i danni dello scandalo Banca Etruria. I grillini, fiutando il sangue, si sono scatenati. Hanno ricevuto l’ordine di non parlare d’altro, di concentrare tutti gli attacchi, tutte le ospitate in tv, tutto il fuoco contro la ministra delle riforme. Il destino della mozione di sfiducia è scontato, la sanno loro per primi. A Montecitorio i numeri sono quelli che sono, senza contare che molti fra gli stessi forzisti stanno segretamente criticando il capogruppo Brunetta per essersi unito al falò della strega "in spregio al garantismo che abbiamo sempre proclamato". Quel che conta tuttavia è picchiare duro sulla donna che finora si è dimostrata il pilastro fondamentale del governo e dell’intero "sistema Renzi". "Certo - ammette Alessandro Di Battista - avremmo potuto presentare la mozione in Senato, dove i numeri della maggioranza sono risicati e la minoranza Pd è decisiva. Sarebbe stato divertente vedere la Boschi salvata grazie al voto dei verdiniani. Ma si sarebbe scivolati all’otto di gennaio e noi invece la vogliamo discutere subito, prima di Natale ". Una fretta giustiticata dalle esigenze mediatiche - battere il ferro finché è caldo e dalla segreta speranza che siano in arrivo, come ripete il brusio di Radio Transatlantico, provvedimenti giudiziari sul caso Etruria.

Nel momento di massima debolezza del premier ci si potrebbe invece aspettare un atteggiamento aggressivo da parte della minoranza Pd. Al contrario, sul caso Boschi- Banca Etruria nessuno ha affondato il colpo. Come se ci
fosse una consapevolezza diffusa che, se dovesse saltare la ministra delle riforme, saltarebbe non solo il governo ma l’onda d’urto investirebbe anche il partito. Con conseguenze devastanti. "Bisogna fare chiarezza - osserva uno dei capi della minoranza - ma non siamo dei pazzi".