Francesco Manacorda, La Stampa 15/12/2015, 15 dicembre 2015
RISPARMIO, MANEGGIARE CON CURA –
«Maneggiare con cura». Se sul risparmio di ciascuno di noi si potesse apporre questa etichetta – così che nessuno possa dire di non averla vista o capita – ci saremmo forse evitati molti danni e qualche tragedia. Per chi si chiede chi ha «tradito» il risparmio degli italiani, la risposta in questo momento pare facile: le banche commissariate e i loro bancari che – spesso sotto la pressione delle strutture commerciali – hanno consigliato a clienti anche ignari di investire in prodotti finanziari rischiosi, tradendo perlomeno gli obblighi di correttezza professionale.
Allargare il quadro e non limitarsi a questa istantanea è però obbligatorio visto che l’Italia si trova di fronte a una situazione paradossale. Da una parte il risparmio delle famiglie è una sorta di petrolio locale, un giacimento profondo e ricco che negli ultimi anni ha diminuito il suo flusso per effetto della crisi, ma che resta comunque alto: i dati della Banca d’Italia indicano a fine 2013 una ricchezza netta di 8.728 miliardi, pari a 8 volte il reddito lordo disponibile – un rapporto superiore a quello della Germania o degli Stati Uniti. Dall’altra quello stesso risparmio sembra spesso destinato a non trovare sbocchi soddisfacenti, se non addirittura a incappare in trappole pericolose.
Perché in Italia è assente un grande polo autonomo del risparmio gestito, visto che il risparmio non manca? Forse per un ruolo eccessivo delle banche, che hanno preferito mantenere in casa la gestione del risparmio esponendosi in teoria – e non raramente in pratica – a continui conflitti di interesse? È un’ipotesi.
E hanno funzionato bene i controlli sulle stesse banche e sui loro prodotti? Difficile fare chiarezza in un momento come questo, dove volano le accuse incrociate e ciascuno pare più che altro interessato a mettersi al riparo da quelli che considera attacchi strumentali. Ma bisogna anche dire che da questa esperienza potranno e forse dovranno uscire proposte per una riforma dell’azione di Bankitalia e Consob. Non si tratta di attentare all’indipendenza delle autorità di controllo, ma di sottoporre il loro operato a un dibattito sereno e capire se ci sono correzioni da fare di fronte a problemi evidenti.
Questo porta anche alle responsabilità dei legislatori e dei governi. Gli atrusi questionari Mifid che ci fanno compilare in banca, non sono piovuti dal cielo ma sono arrivati da un processo di decisione a Bruxelles dove evidentemente qualcosa non ha funzionato; i prospetti informativi che contano centinaia di pagine, tutte incomprensibili al grande pubblico, non dovrebbero cambiare forma e sostanza?
Anche i risparmiatori devono però essere in grado di difendersi, specie se - come adesso - le regole funzionano male. Dobbiamo capire che nessun pasto è gratis, tantomeno allo sportello della banca: a maggior rendimento finanziario corrisponde maggior rischio; mentre l’inverso purtroppo non è sempre vero. La nostra banca ci propone un’operazione che non convince e ci pare scorretta? Cambiare istituto non è più impossibile, specie nell’era in cui anche gli ottantenni usano Internet. Possiamo darci come regola aurea quella di non investire i nostri risparmi in strumenti finanziari – azioni o obbligazioni – emesse dallo stesso istituto in cui teniamo i soldi. Possiamo, anzi dovremmo, decidere di affidarci a consulenti indipendenti quando decidiamo che cosa fare dei nostri soldi e tagliare così alla radice possibili conflitti d’interesse degli istituti; anche se questo significherà pagare per i suoi servizi un consulente indipendente potrebbe evitare problemi come quelli che stiamo vedendo adesso. «Maneggiare con cura» il risparmio noi per primi, insomma, per stare bene attenti che anche chi lo prende in consegna faccia lo stesso.