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 2015  dicembre 12 Sabato calendario

APPUNTI PER GAZZETTA - LA CONDANNA DEFINITIVA PER ALBERTO STASI


E’ definitiva la condanna a 16 anni di reclusione inflitta ad Alberto Stasi per l’omicidio della fidanzata Chiara Poggi, avvenuto a Garlasco il 13 agosto del 2007. La Cassazione ha infatti rigettato i ricorsi presentati dalla Procura generale di Milano e dall’imputato contro la sentenza emessa dalla Corte d’assise d’appello milanese il 17 dicembre dello scorso anno. La decisione è arrivata dopo circa due ore di camera di consiglio. E Stasi si sarebbe già costituito al carcere milanese di Bollate.
"Giustizia è stata fatta", questo il primo commento della mamma di Chiara che ha atteso la sentenza nella villetta di Garlasco. "Sono emozionata - ha aggiunto Rita Poggi -. Dopo le parole del procuratore eravamo un po’ pessimisti. Forse sarà un Natale diverso, dopo questa sentenza proviamo sollievo. Ma non si può gioire per una condanna - ha proseguito -. E’ una tragedia che ha sconvolto due famiglie. Alberto era come un figlio".
Di segno opposto, naturalmente, la reazione del difensore di Alberto Stasi. "E’ una cosa allucinante. Prendiamo atto di questa decisione. Per noi é già sufficiente quello che ha detto il procuratore generale. Come si fa a mettere in carcere qualcuno quando c’è una sentenza che é completamente illogica". Così, l’avvocato Fabio Giarda del collegio difensivo di Stasi, all’uscita dal palazzo della Cassazione dopo la sentenza. Alla domanda se Stasi andrà in carcere a questo punto, Giarda ha risposto: "Per forza, non può fare altro".
L’udienza conclusiva si era aperta con un colpo di scena: il procuratore generale, Oscar Cedrangolo, aveva chiesto alla Quinta sezione della Suprema Corte di annullare la condanna a 16 anni decisa al termine del processo di appello bis contro Alberto Stasi. "L’annullamento che chiedo è con rinvio - ha sottolineato il pg - per una questione di scrupolo e rispetto nei confronti del grido di dolore di tutte le parti. Il rinvio servirà per nuovi accertamenti prove e valutazioni".
Nell’articolata requisitoria Cedrangolo aveva scandagliato punto per punto gli indizi che hanno portato la Corte d’appello di Milano lo scorso anno, dopo il rinvio della Cassazione, a emettere la condanna. "In questa sede non si giudicano gli imputati, ma le sentenze. Io non sono in grado di stabilire se Alberto Stasi è colpevole o innocente. E nemmeno voi", aveva detto rivolgendosi al collegio, "ma insieme possiamo stabilire se la sentenza è fatta bene o fatta male. A me pare che la sentenza sia da annullare".
LA SCHEDA Un caso che divide da otto anni
Il pg aveva sottolineato che a suo avviso "potrebbero esserci i presupposti di un annullamento senza rinvio, che faccia rivivere la sentenza di primo grado" e quindi l’assoluzione di Stasi. Ma il procuratore aveva sottolineato come la prima sentenza della Cassazione dell’aprile 2013 abbia voluto "ascoltare il grido di dolore" dei genitori della vittima. "Ho apprezzato lo scrupolo della Cassazione, quando dopo le due assoluzioni ha chiesto un nuovo giudizio. E vi chiedo di concedere loro lo stesso scrupolo". Il pg aveva quindi suggerito che si dispongano "nuove acquisizioni o differenti apprezzamenti", ma ha poi precisato che "l’annullamento deve essere disposto sia in accoglimento del ricorso del pg, sia di quello dell’imputato. Perché se Alberto è innocente deve essere assolto, ma se è colpevole deve avere la pena che merita".
Il magistrato aveva sottolineato anche che l’omicidio di Garlasco, così come altri, ha sofferto di "quei processi televisivi che inquinano la capacità di giudizio degli spettatori, tra i quali, forse nessuno ci pensa, rientrano anche i giudici, togati e popolari, di queste vicende".
"Non siamo qui a rappresentare nessun grido di dolore ma la convinzione granitica che la verità sia emersa". Lo ha detto nella sua arringa l’avvocato Francesco Compagna, che assieme a Gian Luigi Tizzoni rappresenta la famiglia di Chiara Poggi. "E’ vero - ha aggiunto Compagna - come dice il procuratore, che scontiamo il peso di un processo mediatico. L’errore in cui si rischia di incorrere è farci un’idea esaminando gli atti maniera pregiudiziale".
A proposito di Alberto Stasi "non possiamo parlare di non colpevolezza ma di presunzione di innocenza". Così Angelo Giarda, legale del giovane di Garlasco. Giarda nella sua arringa definisce una sentenza "fumosa", "sgangherata",
"scritta in fretta" e "che fa acqua da tutte le parti", quella di appello bis con la quale il suo assistito è stato condannato a 16 anni di carcere. "L’indizio parte da un dato noto per arrivare a un dato ignoto - sottolinea Giarda - ma gli indizi su Stasi a che dato portano? Non c’è nessun indizio che porti al fatto storico dell’uccisione di Chiara Poggi. Stasi va assolto per non aver commesso il fatto".

COLAPRICO
La sentenza di condanna definitiva per Alberto Stasi che arriva dalla Cassazione "non può sorprendere chi conosce bene la storia processuale di Alberto Stasi". La ricostruzione del giorno dell’assassinio di Chiara Poggi è "lineare" e, dopo il lavoro del pm nel secondo grado di giudizio, inconfutabile. Pesantissime le prove: dalle scarpe del ragazzo inspiegabilmente prive di tracce di sangue, alla sua impronta sul pigiama di Chiara, al suo Dna sul portasapone del bagno

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Gli elementi dell’accusa e la strategia della difesa di Alberto Stasi: le tappe di un percorso giudiziario fatto di perizie, alibi e indizi
di PAOLO BERIZZI
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17 dicembre 2014
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Garlasco, un caso che divide da sette anni: gli errori, le omissioni e le dimenticanze
Alberto Stasi (ansa)
Colpevole o (di nuovo) innocente? Sette anni e quattro processi dopo la morte di Chiara Poggi - uccisa in casa a 26 anni la mattina del 13 agosto 2007 a Garlasco - per l’ex fidanzato Alberto Stasi, unico indiziato, già assolto in due gradi di giudizio con sentenze poi annullate dalla Cassazione, è l’ora della verità giudiziaria in quest’ultimo passaggio davanti alla Corte d’assise d’appello. Ma quali sono i "gravi indizi, precisi e concordanti" (così si è espressa il sostituto pg Laura Barbaini che chiede 30 anni di carcere per l’imputato - che incastrano Alberto e per i quali la Cassazione, nell’aprile del 2013, annulla la sua assoluzione? Che peso avranno, nella sentenza, i nuovi elementi emersi a carico dell’imputato? E le armi della difesa? Proviamo a capirlo tirando i fili della vicenda, al netto delle ultime indagini.

Le tracce di sangue. Omicidio volontario aggravato dalla crudeltà. Per la pubblica accusa la mattina del 13 agosto Alberto Stasi uccide Chiara; poi sale in macchina, va dai carabinieri a dare l’allarme (anticipato con una telefonata) sostenendo - in modo mendace, secondo i magistrati - di avere trovato il cadavere della fidanzata riverso lungo le scale che conducono al piano semi-interrato. Il salone, il corridoio, le scale della villetta sono un lago di sangue: ma le scarpe di Alberto risultano intonse. Nemmeno una traccia sulle suole. Una nuova e più approfondita perizia sulla camminata dell’imputato (estesa ai primi due gradini della scala) ha dimostrato che era impossibile attraversare la casa - come lui sostiene - senza pestare il sangue. Di più. Stando alle analisi ordinate dalla Procura, è da escludere che il sangue, una volta pestato, si sia disperso. Un esperimento scientifico effettuato sui tappetini della Golf di Stasi - l’auto con cui raggiunge la caserma - certifica che qualche traccia doveva restare. No, sostiene la difesa. Che ribatte così: essendo il sangue essicato e le scarpe consegnate ai carabinieri la mattina dopo il delitto, le suole si sono ripulite e le tracce ematiche disperse. Possibile? "Alberto - spiegano i legali - ha cercato di evitare di calpestare il sangue, e poi ha camminato sull’erba e sul vialetto della villetta".

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I buchi nelle indagini. Torniamo a quei giorni del 2007. Il 27 settembre, un mese dopo il delitto, Stasi viene arrestato: dopo quattro giorni il gip lo scarcera per insufficienza di prove. Mancano l’arma del delitto, il movente, i gravi indizi; e l’alibi fornito ("dalle 9.36 alle 12.20 ero al computer a lavorare sulla tesi di laurea") sta in piedi. In sostanza sono gli stessi motivi per cui l’ex fidanzato di Chiara, rinviato a giudizio nel 2008, viene assolto due volte: in primo grado nel 2009, in appello nel 2011. Il quadro cambia ad aprile 2013: la Suprema Corte annulla tutto e rimanda Stasi alla sbarra. Perché? Per gli ermellini della Cassazione l’inchiesta è piena di buchi: troppi gli indizi trascurati nei primi processi. Quei buchi il pg Barbaini li ripercorre uno a uno. Colmandoli con nuovi riscontri. Vediamoli. Oltre alla rivisitazione della camminata e del sangue sulle scarpe (una delle intuizioni - anticipata da Quarto Grado - è aver "catturato" il numero di scarpa con suola a pallini indossata dall’assassino: 42, lo stesso di Stasi), emergono altri elementi.

Le bici e i pedali sostituiti. Le biciclette sono al centro dell’indagine. Non più e soltanto quella nera da donna che una testimone dice di avere visto appoggiata al muretto della villetta la mattina del delitto (incredibilmente sequestrata sette anni dopo per una svista dell’ex maresciallo Francesco Marchetto, a processo per falsa testimonianza). Si scopre che Alberto aveva la disponibilità di altre bici: in particolare una nera, sempre da donna, rinvenuta nella casa al mare di Spotorno. E poi quella bordeaux, i cui pedali sono stati sostituiti. Su quei pedali furono trovate tracce di Dna di Chiara. Ancora Tracce. Sul pigiama rosa della vittima - è agli atti - c’erano quattro ditate intrise di sangue impresse all’altezza della spalla sinistra. La firma del killer. Che solleva il corpo di Chiara e lo getta giù dalle scale. La foto delle ditate è stata mostrata a processo. Peccato che fossero scomparse dall’inchiesta. Per un errore madornale. Scattata la foto, la svestizione e la rimozione del cadavere hanno fatto si che il pigiama si sia intriso di sangue: addio ditate (forse avrebbero parlato). Resta l’immagine, però. Una carta che ha permesso di irrobustire un altro indizio ritenuto "non grave" dai primi giudici: l’impronta dell’anulare destro di Stasi depositata sul dispenser del
sapone liquido. "Poteva averla lasciata in qualsiasi momento", ha sempre sostenuto la difesa. L’accusa è sicura: l’assassino si è imbrattato le mani e quindi è andato in bagno a lavarsi (ci sono due impronte "statiche" insanguinate sul tappetino). Possibile che, qualora anche il killer abbia sciacquato il dispenser, la traccia di Stasi, deposta in precedenza, sia sfuggita al lavaggio? Tutte domande senza risposta. Almeno fino alla sentenza d’appello bis.